Il ragazzo e l’airone di Miyazaki richiama Dante, la letteratura e tutte le altre cose che amiamo

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Adesso che i film di Miyazaki sono diventati troppo mainstream per i veri “intenditori dell’arte” che vogliono fare pulizia contatti e silenziare chi ne parla, ma poi in segreto si guardano tutte le puntate di Mare Fuori, vorrei parlare del perché secondo me l’autore giapponese in questione sia in grado di mettere in scena le grandi inquietudini dell’umanità travestendole da fiaba per bambini.

C’è qualcosa de Il ragazzo e l’airone di Miyazaki che ha a che fare con il realismo magico, che è qualcosa che ha a che fare la morte e con Dante. Mi sono detta questo dopo averlo guardato al cinema un paio di giorni fa. Ma dovevo elaborare. Non so nemmeno perché Miyazaki mi piaccia e quanto in fondo mi piaccia, ma credo che una delle peculiarità del suo lavoro sia lasciare piccoli nodi criptici disseminati tra le crepe del nostro divenire che si risolveranno nell’incedere nevrotico della vita, oppure rimarranno sempre irrisolti, come fiocchi di fuliggine soffiati via dal vento.

René Magritte – Idee Chiare (1958)

Se qualcuno ha mai letto Kafka, Buzzati o Borges, probabilmente ha sperimentato il cortocircuito che la percezione registra nel constatare la preoccupazione lasciata dalle storie che con tinte di colori, ironia, talvolta comicità e naturalmente trucchi di magia, cerca di ingannare la traduzione dei fatti. «Cosa provo?» è la domanda e «come dirlo?» è il problema.

Il ragazzo e l’airone prova a rispondere presentandosi come un’opera che in molti hanno definito il tentativo di Miyazaki di elaborare il lutto, o come il suo primo film d’animazione per adulti in virtù delle tematiche indistinguibili e serie trattate. Per altri, si illustrava il compendio delle altre storie che il maestro aveva raccontato.

Nella notte si guarda intorno: Dio, Dio, che cos’è quella torre grande e nera che sovrasta? La vecchia torre che gli era rimasta sempre sprofondata nell’animo da quand’era ragazzo […] Come aveva potuto dimenticare una cosa così importante, la più importante di tutte le cose? Adesso era là, di nuovo si ergeva terribile e misteriosa come sempre, anzi sembrava alquanto più grande e vicina. Si, l’amore gli aveva fatto completamente dimenticare che esisteva la Morte.

Un amore, Dino Buzzati)

Sostanzialmente Mahito, dopo aver perso sua madre, a tre anni dallo scoppio della guerra nel Pacifico si trasferisce con il padre in quello che potremmo definire un Furusato. Nella campagna giapponese d’origine della madre, il ragazzo soffre la grande perdita e instaura una complessa relazione con Natsuko, sua zia e nuova compagna del padre da cui aspetta un bambino. Mahito si colpisce con una pietra procurandosi una cicatrice e passa il tempo a perfezionare un arco e una freccia con cui uccidere uno strano e invadente airone cinerino. Quest’ultimo lo attirerà in una torre avvolta di mistero quando sua zia sparirà, deformandosi piano piano in un essere mitologico a metà strada tra l’uomo bizzarro e l’animale, compiendo una metamorfosi che si inceppa quando l’animalesco tenta di reinghiottire l’umano e l’umano tira fuori i denti. È disturbante, insidioso, bugiardo e inoltre gli confida che sua madre Himi è ancora viva. Fabbrica un fantoccio di cera che si scioglierà come i volti della folla sparsa nell’incendio nella scena di apertura. Mahito si avventurerà senza pensarci due volte con una delle governanti della residenza, Kiriko, una forte nonnina alla ricerca di sigarette: un tipo fisso abbastanza caro a Miyazaki, basta pensare al Castello Errante di Howl.

La porta dell’Inferno – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

Ad ogni modo, sulla soglia del viaggio ultramondano che Mahito sta per intraprendere guidato da un airone antropomorfizzato e bugiardo, compare una celebre dicitura “Fecemi la divina potestate”. Dante Inferno III. Poco prima di entrare per la porta dell’etterno dolore, della città dolente e tra la perduta gente. Ora, l’Inferno di Dante non è un regno ultraterreno in cui c’è spazio per la speranza e i sogni di fata. È fatto di sangue e lacrime, generato dal tradimento supremo dell’angelo più amato, castiga ogni tradimento e corruzione concependo male illimitato. Per quanto possa sembrare interessante per questo, le tinte orrorifiche non lasciano scampo. Dante non fa altro che svenire per tutta la prima parte. Non c’è luce ma solo i latrati dei dannati costretti a tormentarsi senza possibilità di salvezza che urlano e bestemmiano. C’è un’altra prerogativa, però, del tutto inaspettata: nell’Inferno dantesco ci sono anche delle sezioni molto comiche. Un punto peculiare anche del film di Miyazaki.

L’airone – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

La cattiveria dei personaggi apparentemente più spietati viene dimenticata da un gesto goffo, una debolezza da umano, come quella dei diavoli capeggiati da Malacoda: Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante, che colpiscono con l’uncino i barattieri costretti a stare immersi nella pece bollente. Ma allo stesso tempo mettono su una commedia da strapazzo quando cominciano ad azzuffarsi tra loro. D’altro canto, non sembrano così cattivi i parrocchetti che governano questo mondo di sotto, sbucando dalla torre nel mondo reale sono di mille splendidi colori e rimpiccioliscono volando liberi, eppure in quel mondo sotto la torre si cibano di esseri umani e non ci pensano due volte a preparare l’occorrente per il sacrificio di Mahito. Non sembrano così spietati neanche i pellicani che vogliono mangiare lo stesso Mahito e si cibano delle future anime umane che dovrebbero andare a nascere nel mondo di sopra. Anche a loro spetta una degna sepoltura.

Un inferno comico in cui il confine tra buono e cattivo non esiste

In questi regni ultraterreni il confine tra buono e cattivo è continuamente ridefinito, quasi non esiste, perché d’altro canto come facciamo davvero a sapere fino a che punto i piani della narrazione si sovrappongono nell’idea dell’autore? È strano l’Inferno creato da Miyazaki, ma di un inferno si tratta: nasce dal dolore profondo della perdita più che dalla necessità di punire chi non si comporta a modo. D’altro canto, è stato così anche per Dante con Beatrice. Ma la verità è che anche negli inferni più bui questi due grandi maestri lasciano spazio per un briciolo di speranza e tenerezza, è la descrizione affettuosa del maestro Brunetto Latini nell’Inferno XV che pure tra i dannati, nell’ottemperanza alla sua pena correndo pare «quelli che vince, non colui che perde», è il modo in cui Mahito aiuta il malefico buffo airone a recuperare la sua forma costruendogli un tappo per il becco e soddisfando tutte le sue vanitose richieste. È scoprire una madre bambina venerabile, contenendo ogni complesso di Elettra in un semplice abbraccio scambiato di fretta, prima di aprire la porta per ritrovarsi in due momenti del tempo diversi. È la scelta di Himi di andare comunque sapendo che morirà tra le fiamme, le stesse che adopera in quell’universo incantato per scacciare i pellicani e combattere i nemici.

Il pellicano morente – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

Non so perché i film della Disney e la reinterpretazione delle fiabe dei fratelli Grimm ci abbiano abituato a mettere da parte la violenza della magia, della deprivazione, del lutto, della morte. Qualcosa di cui potrebbe raccontarci Ernesto De Martino. Chissà perché il mondo incantato e il mondo dei sogni siano diventati la metafora di un regno protetto in cui le cose peggiori non ci possono accadere, e anzi, chi vive lì è debole e femmineo, come le principessine che sognano tutto il tempo di trovare marito e andare al ballo di mezzanotte con le scarpe di cristallo. Eppure le fiabe non sono questo e non lo sono mai state.

Arnold Boecklin – Island of the dead (1880)

Non c’è niente di delicato o fiabesco in quest’opera di Miyazaki. Tutti i viaggi ultramondani cominciano da un sogno, o da un’allucinazione. È stato così per Dante, Mahito, Paolo di Tarso, Enea, per citarne qualcuno. Il sonno non è forse, allora, a questo punto, una preparazione alla morte che viviamo ogni volta in cui ci addormentiamo? E il sogno è una porta che conduce ovunque e da nessuna parte, perché di fatto erriamo ma senza muoverci, inermi e paralizzati. Thánatos, la morte, è gemello di Hypnos, il sonno. E Óneiros, il sogno, discende dalla Notte; è stato partorito con Hypnos, arriva di fatto, con il rilassamento del sonno. Mahito dorme spesso, e non è chiaro se quello che vede nella torre sia frutto del suo primo addormentamento disperato, a inizio film, oppure l’allucinazione dovuta alla botta che si autoinfligge, da cui colano fiotti di sangue in maniera quasi disturbante.

La madre e il ragazzo – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

Ma vorrei indugiare ancora un po’ sul sogno: ciò che conta al suo interno sono le variazioni della realtà, spesso imputabili agli dèi (in questo caso rappresentati dal prozio di Mahito, la divinità demiurgo di quel mondo di sotto). Questa mutevolezza è condivisa anche dalla razza degli Óneiroi, che si modificano all’infinito e ingannano la specie umana attraverso le loro metamorfosi. In Ovidio, ad esempio (Metamorfosi, XI, vv. 529 sgg.) vengono enumerati sogni in cui Morfeo che assume sembianze umane, Ichelo o Fobetore che si trasformano in varie forme animali, e Fantaso che imita la natura. Ovidio stesso ricolloca queste capacità nello spazio del lutto e della morte, precisamente nel Paese dei Cimmeri (Metamorfosi, XI, v. 633; Odissea, XI, v. 14), dove Odisseo si reca per la Nékyia, la discesa nel regno dei morti. La stessa a cui va incontro Mahito quando decide di addentrarsi in quella torre misteriosa e terribile.

C’è un altro tassello che lega Óneiros alla perdita, perché esso è in grado di raffigurare gli assenti. Éidolon è il termine che rappresenta l’essenza sognata, è lo stesso che identifica le figure spettrali incontrate da Odisseo nella Nékyia. La madre di Odisseo, ad esempio, evoca il dolore della separazione.

Ma il rimpianto di te, il tormento per te, splendido Odisseo, / l’amore per te m’ha strappato la vita dolcezza di miele.

Odissea, XI, vv. 202-203

Odisseo desidera abbracciarla, ma la figura sfugge per quanto egli si protragga più volte, e quindi l’eroe si chiede:

o questo è un fantasma (éidolon) che la lucente Persefone / manda perché io soffra e singhiozzi di

più?

Odissea, XI, vv. 212-213
Natsuko e le governanti – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

Ma non è un inganno, lo rassicura la madre, è il destino dei morti, le cui anime, una volta consumato il corpo, si allontanano come un sogno al volo d’uccello. Non è forse questo stesso gesto quello di Mahito che si illude che la statua di cera della madre adulta, creata dall’airone, possa essere toccata? E con quanta misera freddezza l’airone si prende gioco di Mahito quando questa si scioglie e gli confessa che se non l’avesse toccata, almeno sarebbe durata un po’ di più? Non è forse lo stesso abbraccio realizzato con la versione adolescente di sua madre fantasma, o anima in attesa di ritornare al tempo in cui il suo destino di morte si potrà compiere, a destare tenerezza negli occhi dello spettatore, che forse ancora non può comprendere fino in fondo il dramma che si compie nella perdita, non già elaborazione del lutto quanto messa in scena della morte?

Parrocchetti in volo – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

Adesso che i film di Miyazaki sono diventati troppo mainstream per gli intenditori d’arte, spero che possano dire lo stesso della Commedia di Dante, dell’Odissea, delle Metamorfosi, delle opere date al mondo per urlare quanto possano fare male le cose del mondo. Spero possano capire che questo film di Miyazaki è brutale e meschino, ma forse serve anche a dimenticare quanto faccia male ciò che amiamo; e come mai ci si leghi agli altri senza sapere che con l’amare viene sempre la perdita. O sapendolo per finta, come delle cose che si vogliono ignorare per non soffrirne troppo. Perché si possono costruire molte torri d’avorio entro cui confinarsi dopo aver perso e da cui non passano uccelli colorati o anime scure alla ricerca di un passaggio sicuro nella notte, né wara-wara troppo indifesi persino per riuscire a nascere.

Eppure, ognuno di noi qui sarà dall’altra parte. Saremo, poi, livellati e caotici, come lucciole spaesate in cerca di un destino provvisorio diverso. Ci affacceremo sui fiumi infernali del nostro procedere. Del nostro avanzare in linea caotica retta, fatto di incontri veloci, treni che sgusciano su laghi che si separano, crepe tra i mari, castelli con le zampe, streghe nonne con bebè giganti, e madri che sorridono da lontano prima di essere risucchiate in una lingua di fuoco, dicono per l’ultima volta addio, ti amo, ma vedrai che ci rivediamo.

La distruzione di questo mondo sarebbe il nostro compito solo se: primo questo mondo fosse cattivo, cioè in contrasto col nostro spirito; secondo, se fossimo in grado di distruggerlo. La prima cosa ci sembra esatta, ma la seconda siamo in grado di effettuarla. Noi non possiamo distruggere questo mondo perché non l’abbiamo costruito come qualcosa di a sé stante, ma vi ci siamo smarriti dentro, più ancora: questo mondo è il nostro smarrimento, ma come tale è, esso medesimo, un’entità indistruttibile, o meglio, qualcosa che può essere distrutta solo col portarla sino in fondo, non col rinunciarvi, dove occorre osservare, peraltro, che anche il portarla in fondo non può essere altro che un seguito di distruzioni, sempre però nell’ambito del mondo stesso.

Kafka, Confessioni, p. 739; Hochzeitsvorbereitungen, p. 80
L’abbraccio di Himi e Mahito – da Il ragazzo e l’airone di Miyazaki

Autore

Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.

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