Perché la Giornata della Terra non c’entra niente col consumismo

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Oggi si celebra per la cinquantaduesima volta la Giornata della Terra (in inglese: Earth Day). E no, non voglio comprare nessun prodotto eco-friendly in sconto. 

Eppure, da qualche settimana, la mia bacheca Instagram è inondata di promozioni per l’acquisto di marchi e prodotti “ecologici” in vista dell’Earth Day. Pochi però si ricordano che, in realtà, fare shopping rappresenta proprio l’antitesi della sostenibilità e la cosa più utile da fare per l’ambiente è proprio non comprare nulla. 

Se una piccola parte di queste campagne promozionali – soprattutto lanciate da piccole imprese – può effettivamente considerarsi “green”, mirando a incentivare il riciclo, riducendo la produzione di imballaggi e limitando l’impatto sugli ecosistemi, la maggior parte di esse è frutto di greenwashing.

Il Greenwashing, un neologismo anglosassone, non è altro che una strategia di comunicazione e marketing usata dalle aziende per dimostrare un finto impegno ecologico e catturare l’attenzione di chi vuole trasformare il proprio stile di vita. Di fatto, le aziende si dimostrano interessate alla sostenibilità solo per vendere ancora più prodotti, sfruttando le buone intenzioni dei consumatori.

Ma il consumismo – e il principio su cui si basa – rappresenta uno dei principali nemici dell’ambiente. Da una parte, produrre nuovi beni su larga scala ha alti costi di produzione, che sono inquinanti e si basano sullo sovra-sfruttamento delle risorse naturali. Dall’altra, acquistare nuovi prodotti che già si possiedono crea un surplus, ovvero uno scarto, che è inevitabilmente a danno di quelle risorse ambientali da cui esso deriva. Quindi, meno si consuma, meglio è per l’ambiente.  

Ma perché anche questa giornata è stata commercializzata, diventando vittima stessa del complesso meccanismo capitalistico che essa mirava a criticare? Facciamo un passo indietro.

La Giornata della Terra nasce nel 1970 e, inaspettatamente, non deriva solo dalla spinta degli hippies di Woodstock e dell’estate dell’amore. È piuttosto il risultato dell’onda mediatica generata dal libro Silent Spring di Rachel Carson, pubblicato nel 1962, che per la prima volta mette in discussione le conseguenze sull’ambiente della crescita economica, criticando nello specifico l’utilizzo dei pesticidi. Infatti, non solo il libro di Carson crea scalpore tra ministri e agricoltori, portando al bando l’utilizzo del DDT (un insetticida risultato cancerogeno), ma genera anche una forte reazione ambientalista, ispirando generazioni di attivisti a rivedere l’espansione dell’industria moderna in chiave ecologista. 

Se prima di allora c’era un vuoto legislativo per la protezione ambientale, che permetteva alle industrie di inquinare aria, fiumi e laghi senza alcun tipo di riscontro legale, l’istituzione della Giornata della Terra segna una vera e propria svolta ambientale, dando il via a campagne di sensibilizzazione ecologica mirate a cambiare l’atteggiamento dell’opinione pubblica a favore delle questioni ambientali. 

Questa svolta si colloca infatti all’inizio di una reazione a catena di grandi traguardi, come il riconoscimento delle specie a rischio, la creazione di standard per il monitoraggio della qualità dell’aria e dell’acqua e il controllo industriale delle sostanze tossiche. Tutte questioni assodate per noi abitanti del XXI secolo.

Ma se è innegabile riconoscere la vittoria di qualche battaglia, è anche giusto convenire che la guerra finale è stata vinta proprio dalle grandi industrie. 

Oltre mezzo secolo dopo la creazione della giornata a suo favore, la Terra sembra più danneggiata che mai. E vedere questi danni con i propri occhi non è mai stato così semplice. Infatti, da qualche anno, una nuova funzione di Google Earth permette di vedere il deterioramento del nostro pianeta in 3D, attraverso dei time-lapses satellitari che mostrano l’evoluzione annuale della terra dal 1984 ad oggi. Vedere lo scioglimento dei ghiacciai, l’espansione urbana di Dubai, la deforestazione della Amazzonia e la produzione di massa di olio di palma in Indonesia potrebbe aiutare anche i più scettici a ricredersi sulle cause e le conseguenze del cambiamento climatico.

Agire per il bene del nostro pianeta è un dovere di tutti noi e la Giornata della Terra è un modo per ricordarci dei nostri obblighi nei suoi confronti, continuando una battaglia iniziata più di cinquant’anni fa. È un modo per ricordarci che, senza la Terra, la nostra stessa esistenza è messa in discussione. E, ora più che mai, è necessario attuare un cambiamento sistemico e, purtroppo, non basta comprare dei prodotti “eco-friendly” per farlo.

Ma quel che si può fare è cambiare la mentalità che sta dietro alle nostre azioni, e ognuno di noi ha un ruolo e una voce per farlo. Possiamo cominciare domandandoci quale tra i nostri comportamenti abbia un impatto ecologico più o meno forte. Possiamo decidere di aderire alle manifestazioni per il clima e chiedere alla classe politica di prioritizzare la tutela ambientale rispetto alla crescita economica. Possiamo donare ad organizzazioni che si occupano di ripristinare gli ecosistemi e piantare nuovi alberi, fedeli alleati per ridurre le emissioni. Oppure, possiamo decidere di non fare nulla di tutto questo e, per una volta – un giorno, una settimana o un mese – non comprare niente e passare invece qualche ora nella natura, respirando l’aria pulita e celebrando le infinite bellezze della nostra amata Terra. 

Autore

Ho 26 anni. «L'ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio» diceva Chico Mendes.

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