«Come cento euro?» ho detto al mio libraio di fiducia, quando volevo che controllasse la disponibilità di Corpo Lesbico, una delle più note opere di Monique Wittig, poeta francese, saggista e teorica femminista. «Cento euro perché è quasi antiquariato. L’edizione è del 1973» ha risposto scoraggiato. Mi sono appoggiata a uno degli scaffali sotto la voce sesso e genere e non sono riuscita a capire perché nessuna casa editrice lo abbia più ristampato dal ‘73.
Stavo facendo una ricerca tra le teoriche femministe che hanno rotto con le strutture binarie e hanno fatto della propria letteratura un atto politico. «Mi farò andare bene il PDF» gli ho detto e poi sono tornata a casa. Monique Wittig è una scrittrice incompresa o, per meglio dire, compresa da pochi. Tradotta in pochissime lingue e in tempi biblici, (questo la dice lunga sull’aspetto sovversivo e sanguinoso della sua letteratura) incarica la scrittura e il linguaggio di reiventare un mondo libero dal giogo della norma eterosessuale e maschile.
Wittig, sin da subito, sembra voglia creare ex novo un modo di stare al mondo femminile, materiale e immateriale, di pensiero e di azione, che si allontani da ogni punto di partenza, che non consideri il maschile come un referente, neanche negativo, e che proponga una teoria che proprio perché non è ribaltamento, ma è nuovo, gode dell’elemento rivoluzionario e geniale.
In Le Guerrigliere, Wittig narra le vicende di una collettività di donne che lotta, che cerca parole per dirsi, trasformando il linguaggio. Nel farlo, attraversa con dissacrante ironia tutte le strutture narrative note. Vi si ritrova una violenza esplicita, una resistenza aggressiva nei confronti di un sistema (quello che trae forza dalla cultura patriarcale e la conferma) che esercita violenza sulle donne. È il racconto di molte storie dentro a una storia, di presa di coscienza, di guerra e di memoria. Wittig non è solo una che scrive, ma una che rompe lo spazio chiuso delle convenzioni, costruendo il linguaggio non negoziabile della sua passione. Non si limita a dire l’indicibile ma ne fa materia di orgoglio, di saperi e di espressione. Per questo, rispolverando un rituale sperimentato, le hanno tagliato la lingua e tagliare la lingua, soprattutto se affilata, non è quello che hanno sempre fatto le strutture di dominio con le donne?
Il linguaggio per Wittig non è solo un operatore che contribuisce a naturalizzare i due sessi e le loro relazioni, e a ferire il corpo e le menti dei soggetti minoritari, è anche il luogo di cui le minoranze possono riappropriarsi per immaginare una vita altra alla natura binaria e eterosessuale. Il linguaggio è il mezzo, che proprio perché detiene il potere del dominio culturale di genere, rappresenta la chiave di volta per creare una nuova lingua, nuovi corpi, altre menti. È dal linguaggio che si deve partire, suggerisce Wittig, per crearne uno nuovo.
Malgrado la lingua sanguinante, e per questo, forse più mostruosa, – se la mostruosità rappresenta la cifra di rivendicazione simbolica – Wittig è rimasta tracotante, incurante delle convenzioni letterarie e linguistiche, anzi le stravolge e se ne riappropria, caricandole dei significati dell’eccesso. Irrecuperabile Wittig, scardinante, incontenibile, sanguinosa. Così altro dal codice che le sue immagini e il suo linguaggio rifuggono ogni tentativo di addomesticamento.
Non c’è traccia di te. Il tuo viso il tuo corpo la tua sagoma sono dispersi. C’è un vuoto al tuo posto. C’è nel mio corpo una pressione al livello del ventre al livello del torace. C’è un peso sul petto. All’origine di un dolore intenso ci sono dei fenomeni. È dal loro insorgere che vado in cerca di te ma lo ignoro. Ad esempio, cammino lungo un mare, ho male dappertutto nel corpo, la gola non mi permette di parlare, vedo il mare, lo guardo, cerco, m’interrogo nel silenzio nella mancanza di tracce, interrogo un’assenza così strana che mi causa un buco all’interno del corpo.
Monique Wittig, Corpo Lesbico, 1973
Qui, Wittig, si cimenta nella decostruzione del corpo femminile che si trova spogliato di qualsiasi elemento simbolico. Fatto a pezzi, frammentato, esso è descritto nella sua materialità più cruda. Wittig disegna una nuova geografia erotica del corpo dove gli elementi anatomici e gli aspetti del sentire trovano uno spazio comune. Le amanti si provocano ripetutamente la morte a vicenda, squarciando il corpo dell’altra con violenza. Nel testo, la passione, la tortura e la mostruosità sono spesso associate, sebbene i corpi delle protagoniste non sembrino reagire con sofferenza alla violenza fisica, ma è piuttosto il desiderio insoddisfatto dell’altra a provocare reazioni corporee di dolore.
Per Wittig, le donne non sono né un gruppo naturale né l’altro sesso. Le donne sono una minoranza, una categoria oppressa. La liberazione della classe di sesso necessita, per Wittig, la contestuale realizzazione di due condizioni. La distruzione delle basi materiali e simboliche dell’oppressione della classe delle donne da parte di quella degli uomini e la perdita da parte della classe degli oppressori degli smisurati poteri e privilegi che essi ancora detengono. Detto altrimenti, Wittig è una rivoluzionaria visionaria che polverizza le credenze più radicate del senso comune e immagina l’impensabile.
La straordinarietà del suo pensiero filosofico che sfuma in quello artistico e letterario, è tanto dirompente da disturbare e confondere. Wittig rappresenta lo spaesamento culturale. È un’autrice che, a parer mio, non si accetta a metà; o si rifiutano i suoi testi o ci si sprofonda dentro. Mentre scrivevo di lei, ho pensato: «Sarà per la lingua tagliente? È quella benedetta lingua ad aver reso il suo materiale motivo di occultazione?». Allora mi metto sulle sue tracce, perché della sua lingua mi mancano le parole, a noi tutti mancano, anche se ancora non lo sappiamo.