Antigone, la voce delle dannate

La protagonista della tragedia sofoclea interpretata dalla filosofa Judith Butler

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“Ecco la fiera figlia di un fiero padre: non sa piegarsi alla sorte”, questa è la definizione che il coro dà di Antigone. Figlia dell’amore incestuoso tra Edipo e Giocasta, si pone come protagonista irremovibile della tragedia che la vede disposta a morire pur di dare sepoltura al fratello Polinice.

Alla morte di Edipo, i figli maschi del re, Eteocle e Polinice, si accordano di governare la città di Tebe un anno ciascuno. Ma, trascorso il primo anno, Eteocle si rifiuta di cedere il trono al fratello. Polinice, allora, si reca ad Argo dove prepara un’armata di sette condottieri da schierare sulle sette porte di Tebe allo scopo di ottenere il titolo di re. L’assedio si conclude con il duello tra Eteocle e Polinice e con la morte di entrambi i figli di Edipo. Il potere torna nelle mani di Creonte, fratello di Giocasta, che promulga l’editto con cui vieta la sepoltura di Polinice, considerato nemico della polis. Ed è qui che inizia la tragedia sofoclea, con la trasgressione della legge di Creonte ad opera di Antigone.

A differenza di quello che accade in altre tragedie classiche, centrale è la razionalità di Antigone che, fin dall’inizio della tragedia, è consapevole dell’illegalità della sua azione ma non per questo vi rinuncia. Antigone rispetta una legge diversa da quella licenziata da Creonte ed è pronta a morire per questa. Da una parte la legge della polis e dall’altra la legge della stirpe.

Antigone e Creonte sono due entità autonome che non riescono a trovare contatto l’una con l’altra. In loro si realizza la contraddizione intrinseca delle loro figure: relazionandosi con sé stessi non riescono a trovare una vera relazione con l’altro. Il loro dialogo è piuttosto un doppio monologo in cui non esiste sintesi. 

È la tragedia di due protagonisti che, non trovando contatto, finiscono per uscirne entrambi sconfitti, seppur in modo diverso. Entrambi hanno ragione ed entrambi hanno torto. Antigone come Creonte non accetta di ascoltare l’altro. Ma se questa mancanza di dialettica tra le due leggi è riconosciuta universalmente, non tutti sono d’accordo nel relegare Antigone ad una dimensione di subalternità.

Legge della comunità vs legge della famiglia

Secondo l’interpretazione hegeliana della tragedia presente in Fenomenologia dello spirito, ad Antigone spetta l’ambito familiare, quello della legge divina mentre a Creonte quello della comunità, della legge umana. Hegel sembra quindi relegare l’azione di Antigone all’interno di una dimensione privata e familiare, anche se appare evidente l’aspetto pubblico del suo gesto, sfacciatamente e consapevolmente opposto alla legge della polis. Il filosofo tedesco individua la subalternità di una legge all’altra.

Edipo e Antigone, Charles Francois Jalabert, 1842

La rivendicazione politica di Antigone

Nella seconda metà del Novecento, la critica femminista riprende e analizza la figura di Antigone, tra queste la filosofa post-strutturalista e femminista Judith Butler, che ne La rivendicazione di Antigone ne dà una lettura opposta rispetto a quella hegeliana.

Butler sostiene che in Sofocle non appare evidente la subordinazione di una legge ad un’altra e quindi di un protagonista ad un altro. “Non sarò più un uomo, l’uomo sarà lei se questo potere le sarà concesso senza pena”, afferma Creonte, preoccupato oltre che del sopruso in sé, del fatto che sia stato operato da una donna.

La rivendicazione di Antigone è prima di tutto verbale: “Confermo di averlo fatto e non lo nego […] Tutti costoro direbbero di approvare il mio atto, se la paura non chiudesse loro la lingua. Ma la tirannide, fra molti altri vantaggi, ha anche questo, che le è lecito fare e dire quel che vuole.” Antigone, nonostante sia una donna e dunque esclusa dalla sfera pubblica della polis, parla e lo fa in pubblico.

Secondo Butler, la figlia di Edipo non sembra essere portatrice di un messaggio prepolitico – come affermava Hegel – ma fortemente politico e di rivendicazione del rapporto di contiguità fra Stato e Famiglia. Ma nel farlo assume il linguaggio e il codice che è proprio dell’ordine al quale si oppone. Secondo Butler, lei “campeggia con il suo crimine per parlare in nome della politica e della legge: essa assorbe il linguaggio stesso dello Stato contro cui si ribella, e la sua non diventa la politica della purezza dell’opposizione, ma quella di chi è scandalosamente impura”. Il desiderio di Antigone è arrivare, con le proprie parole, laddove Creonte è arrivato con il proprio editto.

Eroina antiistituzionale

Judith Butler parla di Antigone come dell’allegoria della crisi della parentela, perché non potrebbe rappresentare la sfera della famiglia e della parentela lei, figlia di un incesto, il cui padre è anche fratello e la madre nonna paterna, per non parlare del rapporto con Creonte, suo zio. 

In quest’ottica, la filosofa ne evidenzia il valore antiistituzionale: contro la legge umana dello Stato, l’eroina sofoclea rilancia le ragioni di coloro che ne sono escluse o dannate, indipendentemente dal genere e dalle relazioni familiari.

Autore

Vivo a Roma ma vengo dalle montagne. Preferisco il mare. Sono una boomer della tecnologia e perdo il cellulare una volta ogni tre mesi. Ho una bicicletta arancione che si chiama Zagara. Amo la letteratura e sogno la rivoluzione.

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