Sfatiamo il mito: Orfeo ed Euridice

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Il mito di Orfeo ed Euridice racconta l’amore fra un poeta-musicista e una splendida ninfa. Una storia, la loro, che però non potrà godere di un lieto fine e che ispirerà, per il suo finale commuovente e tragico, tutto il mondo dell’arte: da letterati a musicisti, da pittori fino a lirici.

Orfeo nella tradizione greca è figlio della musa Calliope e di Apollo, frutto d’amore di un’arte nobile: la poesia. Incanta e seduce ogni creatura vivente, perfino gli alberi e le piante, accompagnando i suoi versi con lo strumento della lira. Apollonio Rodio, autore ellenistico, ce lo racconta come uno fra gli Argonauti: ispirato, coraggioso e pronto al seguito di Giasone per la conquista del vello d’oro. Ma da Rodio in poi, quando se ne parla, è sempre da solo.

E come in tutte le vicende dei belli e solitari, arriva il momento in cui il suo destino si intreccia con quello di una donna: l’inizio della fine. Lei è Euridice, figlia di Nereo e Doride, raccontata sia da Virgilio nelle Georgiche che nelle Metamorfosi di Ovidio: nel primo caso è oggetto d’amore anche di Aristeo, personaggio invece assente nel racconto del secondo.

Jean-Baptiste Camille Corot, Orfeo ed Euridice dagli Inferi, 1861

In ogni caso, tra Orfeo e la giovane scoppia l’amore e in entrambi i miti si narra del morso di un serpente al tallone di Euridice: incidente dovuto allo scappare di questa dopo un ennesimo inseguimento da parte di Aristeo o, secondo l’altra versione, avvenuto quando si trovava in compagnia delle sue care ninfe. La ferita è fatale: il veleno in poco tempo toglie la vita alla fanciulla e Orfeo, in cuor suo, perde anche la sua. D’altronde si sa, il cobra non è un serpente ma un pensiero dolente che diventa frequente.

Orfeo, con il mal d’amore, impazzisce. Non c’è esistenza che tenga senza la sua dolce metà, non c’è ragione che possa farlo rassegnare, non c’è modo di proseguire senza di lei. Perciò, tolta la strada della vita terrena dove poterci camminare ancora insieme, sceglie di calarsi nell’aldilà per strapparla dall’oblio, per recuperarla da questo mondo altro, lontano, tanto distante e spaventoso: scende negli inferi. In fondo cosa significa il termine Amore? Non è altro che un sentimento A-mors, senza fine, che non muore, eterno.

Il regno dei morti è un luogo molto pericoloso per un comune mortale, ma d’altronde cos’ha da perdere un uomo che ormai ha già perso tutto? Meglio vivere di rimorchi che di rimpianti. Si presenta con la sua lira di fronte a Persefone e Ade, sovrani degli inferi, intonando un canto di lamento e pregando affinché le venisse concesso di tornare a vivere nell’aldiquà con la sua amata. I suoi versi, così dolci e sofferenti, portano la luce dell’amore in un posto buio e tetro come quello dell’oltretomba. Persefone si commuove, perfino il cane Cerbero e le Furie restano sorprendentemente inteneriti, l’atmosfera porta benevolenza e compassione: richiesta accolta, ma ad una condizione: vietato guardare indietro.

Avrei voluto sopportare, e non nego di aver tentato: ha vinto l’amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo; se lo sia anche qui io non so, ma almeno lo spero.

Ovidio, Metamorfosi

Il vincolo che i sovrani impongono a Orfeo è che per tutto il tragitto che conduce fuori all’Ade, accompagnati dalla supervisione di Ermes, messaggero degli dei, Euridice dovrà camminargli dietro e lui non dovrà voltarsi fino alla fine. Nel caso ciò avvenisse, la ninfa sarà destinata per sempre alla vita dei morti. Eppure, che traguardo. Le parole di dolore hanno superato i limiti umani, un mortale ha varcato le porte del destino e ha ottenuto una concessione così grande. La poesia, forse, può davvero permettere l’eternità.

Inizia il cammino dei due innamorati, che insieme si dirigono verso l’uscita. Euridice però non sa nulla degli accordi presi e inizia così a chiamare l’amato, con un tono malinconico e insistente. Lui però, forte del patto preso, non si volta. Scoppia di dolore ma non vuole rischiare. Arrivati quasi alla fine, scorgendo la luce del mondo terreno, Orfeo pensa di essere giunto e cede alla tentazione di accertarsi che fosse tutto vero, che Euridice fosse proprio lì.

Rubens, Orfeo libera Euridice dall’Ade, 1636

Lui si volta, la storia ha una svolta: l’amata scompare per sempre.

Strappati per sempre l’uno dalle braccia dell’altro, questa storia ci lascia con un velo di nostalgia per tutto quello che sarebbero stati. Un amore voluto, cantato, sofferto e custodito; che ha saputo camminare reggendo il dolore ma che è caduto nell’istante in cui, come tutti noi quando siamo troppo felici, troppo convinti e troppo sicuri, crediamo di avere qualcosa in pugno. Ed ecco il furor di cui parla la poesia latina: una passione travolgente che ci rende capaci di qualsiasi azione, perfino scendere nel regno dei morti e supplicare per un lieto fine, ma che poi, nel cieco istante di onnipotenza, ci toglie tutto.

«Per l’ultima volta gli disse ‘addio’, un addio che alle sue orecchie / giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva»

Autore

Aurora Rossi

Aurora Rossi

Autrice

Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.

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