La rabbia degli onesti 

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Può la tensione sociale causata dall’evasione fiscale essere risolta mediante la pubblicazione di liste con i nominativi degli evasori?

Di recente, Repubblica ha condiviso un sondaggio Ipsos-Fiscal Focus che sostiene che il 44% degli italiani sarebbe favorevole alla pubblicazione di liste pubbliche – cioè consultabili da tutti – contenenti i nomi degli evasori fiscali. 

Basate sul meccanismo del “name and shame” (rendere noto il nome e, di conseguenza, esporre alla vergogna pubblica), le liste sono già prassi in diversi Paesi del mondo, di cui 16 europei. 

È chiaro che in Italia abbiamo un problema di evasione fiscale. Le questioni però sono due: quanto sottovalutiamo il sentimento di rabbia e ingiustizia represso di chi paga le tasse, di fronte un’evasione che non fa che crescere? E quanto sarebbe risolutivo agire tramite liste pubbliche?

Vediamo come funzionano le liste. 

Il meccanismo della disapprovazione sociale si basa sul senso di vergogna inferto a chi non si allinea alle aspettative generalizzate che il sistema politico ripone nei suoi confronti. 

Non tutti i sistemi politici attuali, però, sembrano ragionare allo stesso modo in termini di aspettative: in USA, chi è ritenuto in grado di pagare le tasse ma le evade va incontro a pene progressive: iniziano come sanzioni e interessi e, al permanere dell’evasione, diventano revoca del passaporto e poi carcere, con una media che va dai 3 ai 5 anni di reclusione.

Evadere le tasse negli Stati Uniti, oltre a essere un crimine, è soprattutto una vergogna pubblica: gli evasori sono visti come veri e propri ladri della cosa pubblica. E in Italia? Qui chi evade è semplicemente, il più delle volte, un “furbo”. Con una lotta all’evasione che ha ormai assunto i contorni allucinati della lotta contro i mulini a vento di Don Chisciotte, e con una cultura erronea e strumentalizzata delle tasse (si pensi al “pizzo di stato” e ai numeri fallaci dichiarati da Giorgia Meloni, per esempio), chi effettivamente paga le tasse si trova intrappolato tra il senso di onestà e un forte bisogno di rivalsa.

E le conseguenze di tale accumulo di tensione sociale non sono affatto da sottovalutare. 

Se quasi un italiano su due si dice favorevole alla pubblicazione di liste pubbliche dei nomi degli evasori è perché ci si è stancati di essere gli unici onesti e di vedere gli altri riuscire costantemente a svincolarsi dall’onere fiscale. Perché, nei fatti, tanto i contribuenti quanto gli evasori hanno accesso a scuole pubbliche, ospedali o al sistema pensionistico. Solo che a sostenerne il costo sono solo parte dei beneficiari.

Avere nero su bianco i nomi di chi evade darebbe quindi ai contribuenti una sensazione di giustizia, un segnale che lo Stato prova a combattere – o quantomeno non avvantaggia – i disonesti. C’è un bisogno, ignorato, di rivalsa sugli evasori e le liste potrebbero dargli sfogo.

Da questa gratificazione nel vedere pubblicati i nomi scaturirebbe infatti l’allentamento di una tensione sociale che sta ormai raggiungendo soglie pericolose. I contribuenti si trovano ad affrontare un mostro a molteplici teste: le tasse a cui sono sottoposti, privati cittadini al loro pari che però quelle tasse non le pagano, una politica che da anni ha fatto dell’abbassamento dei contributi fiscali una roccaforte dei programmi partitici – mai rispettata ma comunque molto utile per accrescere consensi – e, da ultimo, uno Stato che non solo non sembra combattere, ma a volte sembra addirittura incentivare l’evasione. Il Ministro della Giustizia Nordio solo qualche giorno fa diceva che “anche un imprenditore onesto non può pagare tutte le tasse”. Dal punto di vista di un cittadino che, nonostante il pesante carico fiscale, non commette evasioni, tutto ciò risulta una presa in giro. 

E il risultato qual è? Se i contribuenti sentono di essere gli unici a sostenere il peso fiscale dello Stato, saranno probabilmente meno inclini ad accettare una redistribuzione del reddito. Parte dell’odio nutrito nei confronti dell’ex Reddito di Cittadinanza può, per esempio, trovare fondamento nel fatto che chi paga le tasse sente di star sostenendo da solo il peso di un’ingente politica redistributiva. Il che porta il contribuente a dissociarsi – se non economicamente, almeno sentimentalmente – da politiche assistenzialistiche che invece sono estremamente importanti in un Welfare State.

Da sempre le policy redistributive – cioè quelle che vedono lo spostamento di ricchezza da un gruppo sociale a un altro gruppo sociale – sono altamente conflittuali, ma sentire di non essere supportati nel sostenerle può portare allo scoppio di una tensione sociale sempre più accumulata. E infatti le manovre del governo Meloni sulle modifiche al RdC, reso molto più esclusivo e temporalmente circoscritto, vanno proprio a soddisfare quella voglia di astrazione dei contribuenti da tali politiche. 

C’è da dire però che, in realtà, in Italia la pubblicazione di tali liste non sarebbe un’innovazione. Già nel 2008 l’allora Viceministro dell’Economia Vincenzo Russo e il direttore dell’Agenzia delle Entrate Massimo Romano avevano pubblicato in rete una lista contenente i nomi degli evasori fiscali. La lista durò solo poche ore però, perché fu quasi immediatamente censurata dal Garante della Privacy. Effettivamente, il problema della privacy si pone. Nelle liste adottate in UK, per esempio, qualsiasi persona può accedere a nome, cognome, impresa, indirizzo dell’evasore ed importo evaso. 

Bisogna pertanto trovare un punto di equilibrio tra l’inerzia alla lotta fiscale, la privacy di ogni cittadino – al di là del gettito versato – e una tensione sociale sempre più immagazzinata e quindi progressivamente meno controllabile. Certo è che finché chi è al governo, invece di mitigare tale tensione, la alimenta per portare a sé il consenso elettorale delle fasce più frustrate e vulnerabili della popolazione, questi passi in avanti resteranno ancora a lungo una semplice utopia donchisciottesca. 

Autore

Letizia Sala

Letizia Sala

Autrice

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