Considera che tutto può finire
Colapesce e Dimartino, “Considera” (2023)
Lo sai che mi deprimo, ma con stile
Il DJ da una radio dice che fa bene cantare
Ma chi ha mai saputo cantare?
Una stagione, un teatro
È innegabile, anche senza scomodare il magistero di grandi pensatori e letterati, che l’estate sia una stagione in cui si prova più facilmente il sentimento della noia. Per tentare di dare una definizione di questa (ancora, senza pretese di ricostruzione scientifica) si potrebbe pensare alle immagini (visive, sonore, sensoriali) tipiche dell’estate: spiagge affollate o deserte, paesi e città svuotati ed altri riempiti dalla fiumana turistica, il grande silenzio sotto il sole alto pomeridiano oppure il trambusto insopprimibile dei luoghi di divertimento, di notte e di giorno. In generale l’estate è forse un contrasto: è fatta di momenti sospesi e momenti frenetici; sia chiaro che questa struttura contrastata non è in rerum natura ma frutto di quello che la nostra società (capitalista, ndr) ci impone. Evidentemente, i mesi estivi sono pausa rispetto allo “sgobbo” quotidiano, come a dire che per tre quarti dell’anno la vita è diversa: più difficile, meno bella, impegnata e senza piacere; corre dietro ai falsi Dei lavoro e profitto, profitto e lavoro, con i “week end” a fungere da necessaria valvola di sfogo degli istinti (di cui comunque un po’ bisogna vergognarsi perché tolgono tempo alla vita produttiva). E invece poi arriva questa stagione patinata ed accecante, dove tutto è vacanza, ovvero sospensione dall’attività.
Qui non ci si può, ma ci si deve rilassare, si deve stare bene e senza pensieri, scomparendo dietro il piacere delle cose estive. Attenzione, questa considerazione non vorrebbe proprio sembrare un’invettiva contro il sacrosanto diritto alle ferie e nemmeno un moraleggiante attacco al piacere effimero (che anzi ci piace), ma la descrizione di una dinamica diffusa e che fa da sfondo (appunto, teatro) a quanto abbiamo detto di voler analizzare. Perché la noia subentra quasi come contraltare di questa aspettativa di cosa dovrebbe essere l’estate, proprio quando ci rendiamo conto che in realtà non è affatto vero che il tempo estivo sia per forza più piacevole del resto. E’ quel senso di insoddisfazione che risale le viscere e ci ricorda che non c’è niente che, di per sé, ci faccia stare bene.
Lo stordimento quotidiano che ci provoca la “vita impegnata”, che ha l’effetto di permettere la fuga da noi stessi, viene paralizzato dalla bella stagione: siamo più esposti al nostro pensiero, si avvicina la necessità di darci un senso e di darlo a ciò che viviamo. E allora la noia, ovvero l’insoddisfazione di non saper godere del proprio ozio. La società di cui dicevamo sopra propone (ed impone, spesso) degli stimoli da consumare, e di cui ci si stanca presto, per cercare di “riempire” questo vuoto, in modo da ricreare artificialmente lo stordimento che ci traghetta verso la fine dell’estate e il ricominciare del tran tran.
Se anche è vero che forse l’emersione di questo sentimento è connaturato all’estate, credo che sia egualmente vero che la cosa va peggiorando. Perché nella società della performance, anche le vacanze estive (la villeggiatura) sono qualcosa da mostrare, da consumare seguendo i trend, da ostentare, da programmare. Questo aspetto (che ormai appare irreversibile) probabilmente incentiva la noia che si sviluppa in noi quando ci accorgiamo che, ancora prima di vivere la nostra, ci viene detto come “dovrebbe” essere l’estate; insomma è il fenomeno per cui invece che essere i comportamenti a creare le mode, sono le mode ad imporre i comportamenti. In questo scenario, ritagliarsi una dose di autonomia da vivere senza aspettative, e con desiderio, diventa più complicato.
Ma comunque, non potrebbe essere, questo sentimento, anche qualcosa di estremamente positivo? Un certo poeta marchigiano, diceva che fosse addirittura il “più nobile dei sentimenti umani” perché provoca una tensione verso un piacere più grande di quello che si possiede, e quindi verso l’infinito.
Tutta l’infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera.
Blaise Pascal, “Pensieri”
La noia “crea”
Questo squarcio temporale che dura due tre mesi all’anno è almeno per molti, mi sembra, una pausa, un limbo. Il paradosso che andrebbe evitato è quello di pensare che ciò che accada nel mezzo di questo torrido iato tra giugno e settembre non sia utile e il massimo che se ne possa ricavare è lo “stacco” dagli impegni e dal dovere, per fare spazio a un po’ di breve piacere. La noia, invece, potrebbe assumere un significato molto positivo, e la tragedia fin qui delineata non sarebbe che una ignobile farsa. Intanto perché annoiarsi consente, come tutte le cose che si fanno in solitudine, di conoscere sé stessi e di ravvivare gli stimoli che magari sono troppo inibiti dalla nostra galoppante routine che li tiene in ostaggio: la noia ci consente di uscire dalla caverna. E poi perché se davvero vogliamo dare più importanza alla nostra vita rispetto a quello che produciamo per mezzo di essa, anche i momenti “sospesi” devono appagarci, e trovare un senso a questi esprime la potenza creatrice della noia, che diventa una impavida alleata contro la soddisfazione che si compra un tanto al chilo.
Getto la maschera: l’estate ci consente di possedere la leggerezza che in altre condizioni è sacrificata sull’altare di altri (così percepiti), più nobili sentimenti. Per questo piace a tutti, anche a me: semplicemente, mi annoiavo.
Autore
Federico Mastroianni
Autore
Classe 2001, ma mi sento molto più vecchio. Studente di Giurisprudenza a Roma, aspirante giornalista (infatti mi piace molto scrivere), ma anche suonare la chitarra. E questo è quanto.