Coez e Frah Quintale hanno una storia da raccontarci

0% Complete

Cosa succederebbe se provassimo a vedere Love Bars, il nuovo joint album di Coez e Frah Quintale uscito la scorsa settimana, come un audiolibro che racconta l’epopea di due Local Heroes con i dubbi sulla società contemporanea, le relazioni, il senso di vuoto e la lotta ostinata? Oltre a intrattenere (con le atmosfere un po’ rap, pop e r&b), questo album guarda oltre. Coez è stato chiaro: «I riflettori li ho accesi: adesso lascio parlare le canzoni».

Dal video di DM (feat. Guè), via YouTube

Oggi Coez e Frah Quintale ricordano un po’ Gilgamesh ed Enkidu che diventano amici e decidono di attraversare la foresta dei cedri per uccidere il mostro Humbaba. Con la differenza che Love Bars appartiene al nostro tempo e i nuovi mostri sono fatti di ansia, precariato, insuccesso, instabilità emotiva, malattia, sacrificio dei propri sogni, fallimento del sistema educativo scolastico, insoddisfazione perenne, depressione e dipendenze.

Renè Girard diceva che ogni società si fonda su un assassinio rituale. Forse oggi, senza rendercene conto, per illuderci di rimettere le cose a posto, compiamo il sacrificio rituale su noi stessi. Se esiste un Dio, non è più quello temuto e adorato che ristabilisce l’ordine come fa Dioniso nelle Baccanti di Euripide, ma è una presenza che semmai può fare solo da testimone e osserva le difficoltà della vita come si canta nell’album. Riflessioni affini si fanno strada nella traccia numero undici che si apre con una domanda assillante: si può imparare a volare se si guardano gli areoplani andarsene lontani sulle proprie ali?

Questa è una delle tracce in cui compare la denuncia più aspra e veritiera alla nostra società, in cui le barre d’amore rappresentano anche un sofferto squarciare il cielo di carta, per urlare che il re è nudo:

Prima il mondo ammala, poi vende pastiglie per curarci
Oggi il cielo è chiaro ed io ho voglia di uscire a far due passi
Buttarci su un prato, aspettare che il pomeriggio passi
Non ho scelto io di essere messo in mezzo a ‘sto bordello
Voglio almeno il diritto a starci dentro senza uscir di senno

Se Esiste Un Dio

Tra rime identiche e incrociate, assonanze e tristi realtà, si fa largo una risposta, e cioè che spesso la vita è aspettare per ore sotto l’acquazzone, o imparare a planare mentre si cade, riflettendo sulla percentuale di lati peggiori e sogni incisi nel proprio DNA. Frah Quintale dice che sta bene anche tra i perdenti e forse è questa la responsabilità da accollarsi per essere un eroe locale, o antieroe. Un po’ come Gilgamesh che fallisce nella ricerca dell’immortalità, e una volta svegliato da Utanapištim, lascerà un messaggio e uno soltanto: esistere da umani è appartenere a una società, continuamente respinti nel flusso, come il flow delle parole dei due artisti, nell’Alta Marea. È proprio questo il nome del singolo che aveva annunciato il nuovo album.

Dal video di Lovebars, via Youtube

Si tratta di un inno alla mobilità collettiva (Non si vince da soli ma ci si allea) e sembra far eco a uno dei primi che in poesia parlò di quella necessità che strinse i mortali in social catena, Leopardi con la sua Ginestra. Eppure, la ragione di esistere della canzone non si esaurisce qui. Si può stare insieme anche quando gli ostacoli sembrano insormontabili (Stai con me anche con l’alta marеa). Questo album ha la capacità di farci riconoscere parte di un’unica umanità, spingendoci a darci una pacca sulla spalla mentre si cerca di ricordare quella frase in latino dell’Humanitas terenziana, quella che diceva homo sum, e nulla di ciò che è umano ritengo estraneo a me.

Dal video di Che Colpa Ne Ho via Youtube

Le atmosfere sono intime. Dopotutto, il manifesto Lovebars è chiaro: i due artisti stanno cantando con il cuore. A questo punto si sono già delineate delle tematiche, dallo stare tra i perdenti abbandonati in quella fiumana che ricorda il ciclo dei vinti verghiano (che, manco a farlo apposta, lo scrittore voleva chiamare proprio La marea) all’intrecciare il buio alla luce.

Vetri Fumé è la parte del disco che è stata detta un po’ dark. Si apre con un ululato che sembra replicare un vento sinistro, lo stesso che canta da solo sul finale. Forse attraverso i finestrini appannati di un mezzo in movimento, quel furgone black (il punto di vista di due cantanti che ce l’hanno fatta, ma sembra vedano se stessi separati dalla loro vita per colpa di un ostacolo) cominciano a filtrare i problemi dell’essere umano contemporaneo: quanto sia semplice sentirsi soli e non realizzati. L’asticella del desiderio è fichtiana, si sposta sempre in avanti. Ci fa pensare che ci sia costantemente qualcosa che manca, infattibile e lontana:

Pensavo che forse non c’è un posto per me
Io non so perché tutto quello che ho non colma il vuoto
Perché mi sento ancora così solo?

Vetri fumé

D’altro canto, questo motivo si riallaccia a quello del brano di apertura Era già scritto, in cui si fa spazio la critica alle istituzioni scolastiche che non sempre riescono a dare spazio alle ambizioni e alle aspettative dei singoli. (La scuola diceva: “Sei un fiasco, Francesco / Perdi il tuo tempo, il futuro è incerto, il tuo lo è di certo). Il futuro è impreciso, certe volte per inseguirlo si passa dalle finestre che sono le entrate e le uscite secondarie per chi vuole passare non visto non sono sicure ma inaccessibili:

Se le persone hanno un talento opprimerlo non serve.
La vita chiude porte in faccia, entro dalle finestre.

Era già scritto

Barre d’amore per scrivere un’epopea post-indie con la musica

Come anticipato, in questa epopea post-indie, come nel postmodernismo in letteratura, c’è una luce fioca nascosta che dovrebbe dare una ragionevole speranza.

Dal video di Se Esiste un Dio via Youtube

La vede solo chi ci crede e diffida dalle etichette. È il Love, love, love ripetuto tre volte, come succede in All you need is love dei Beatles, nominati proprio in apertura da Coez (Mia madre mi metteva i Beatles). Fa da invocazione di un altro dio, Amore, che sconvolge e incasina ma almeno ci dà un motivo in più per essere sulla Terra. Forse viene chiamata la Baby Blue, di Let there be love degli Oasis, a praticare il rito, e qualcuno piange con quegli occhi grandi come fari lontani:

Cara Baby Blue se apri gli occhi non mi vedi più
Non pensare mai che il problema eri tu
Nella tempesta senza porto
Chi pensa troppo si sveglia morto
Senza mai mettere a segno un colpo
Il mondo non c’ha dato nulla, gliel’abbiamo tolto.

Fari Lontani
Dal video di DM (feat. Guè) via YouTube

L’overthinking può essere fatale e l’unico modo per darci tregua è non fidarsi di chi odia, come si canta in DM (feat. Guè). In Una Luce Alle 3:00, invece, c’è una speranza lanciata come un messaggio che arriva di notte mentre si dorme, e lo schermo del display s’illumina. Quando lo leggi ormai è già mattina, le parole ti hanno salvato e intanto hai lasciato che la notte ti guarisse.

La musica è un mood, associato alla possibilità di agevolare la guarigione; ma da cos’è che dobbiamo guarire non è mai troppo chiaro. È l’evoluzione della Sindrome da fine millennio? E ora che il nuovo millennio è completamente iniziato, di cosa siamo malati?

Ce lo suggerisce Coez ammettendo che

Vorrei che in questo inferno facesse più caldo
Invece è freddo come il vuoto nel mio palmo
Dovremmo smetterla di guardare in alto
Sprecare il nostro tempo come fosse d’un altro.

Fari Lontani

Dal vuoto cosmico non si sfugge. Se ammettiamo di essere simulacri vuoti, il nichilismo contemporaneo ci inghiotte come un buco nero. Robert Frost, in Fire and Ice, d’altronde, ammetteva che se il mondo dovesse finire due volte, dovremmo ricordarci che il fuoco può distruggere, ma anche il ghiaccio può bastare.

Siamo nel cuore dell’Inferno, Lucifero è incastrato nel lago gelato del Cocito e noi lo guardiamo da lontano con l’album di Coez e Frah Quintale nelle orecchie e la strafottenza che ci insegna a sopravvivere sui palmi delle mani. Abbiamo tra le labbra qualche relazione finita, come succede in Che Colpa ne ho. Racconti sulle storie odierne che sono poi anche un tuffo dentro il sé. Questo abisso che vive in noi fa paura e se le parole giuste sono incantesimi per salvarsi, non si trovano quasi mai. Eppure, sembra che Coez e Frah Quintale ci siano riusciti.

Le loro barre ci suggeriscono che forse amare e scrivere canzoni sono un po’ la stessa cosa: si fa senza conoscersi davvero, scontrandosi per un secondo sulle traiettorie opposte delle nostre vite, come folli meteore incandescenti.

Autore

Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi