Urss-Usa ’72: fra basket e Guerra Fredda, la finale olimpica che ancora fa discutere

Nel 1972 a Monaco si è svolta la XX Olimpiade. Protagonista assoluta fu la finale di basket. Lo scontro Usa-Urss oltrepassò gli obiettivi sportivi. Fu una finale di guerra fredda, i cui ultimi 3 secondi fanno ancora discutere.

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La guerra fredda in trasferta all’Olimpiade di Monaco

La XX Olimpiade, Monaco di Baviera 1972, fu una delle più controverse della storia. Nonostante la Guerra Fredda avesse preso una piega distensiva grazie agli accordi fra Nixon e Breznev, primeggiare in ambito sportivo restava un obiettivo per le due superpotenze, che si spartivano regolarmente il medagliere e vedevano le Olimpiadi come la vetrina ideale per dimostrare al mondo i propri progressi.

La Germania tornava ad essere il teatro della principale manifestazione sportiva dopo il 1936, quando gli atleti si erano sfidati sotto gli occhi del Fuhrer. E proprio in quell’anno il basket faceva il suo esordio fra le discipline olimpiche, divenendo sin da subito terreno fertile per gli statunitensi, che dal 1936 al 1972 avevano fatto en plain, totalizzando 7 titoli olimpici in 7 edizioni e 63 vittorie su altrettante gare; un vero e proprio strapotere. La nazionale a stelle e strisce arrivò in Germania Ovest convinta e decisa a dominare per l’ottava volta.

D’altro canto, l’Unione Sovietica era senza dubbio la migliore squadra europea e, dopo un percorso netto di 15 vittorie, si presentava alla finale come una rivale alquanto credibile, se non favorita. Gli USA, infatti, non potendo schierare giocatori professionisti come da regolamento, costruirono una squadra di atleti universitari. Al contrario, l’URSS aggirava questa norma ormai da anni classificando i propri cestisti come lavoratori e soldati: dilettanti, dunque, ma solo in linea teorica.

Ad alimentare ulteriormente l’attesa e la rivalità fu la finale del campionato del mondo di scacchi di Reykjavik, che si tenne a partire dall’11 luglio e si concluse il 3 settembre. I protagonisti della finale erano il campione in carica Boris Spassky, fuoriclasse sovietico, e lo sfidante americano Bobby Fisher. L’incontro del secolo, così fu rinominato, fu vinto a sorpresa da Fisher, che portò sul tetto del mondo gli Stati Uniti in una disciplina da sempre monopolizzata dall’est. Qualche giorno dopo l’URSS avrebbe avuto la sua rivincita.

La finale del campionato di scacchi tra Boris Spassky e Bobby Fisher

La finale di basket del ’72: le due superpotenze a confronto

La finale si tenne il 9 settembre, dopo ore di alta tensione. Cinque giorni prima si consumava, infatti, uno degli eventi più gravi nella storia dello sport. Un commando di feddayn palestinesi, seguaci dell’organizzazione terroristica Settembre Nero, fece irruzione nel villaggio provocando la morte di 11 atleti israeliani e di un poliziotto tedesco. La bolla olimpica era stata squarciata, lo sport perdeva la sua presunta innocenza e la Storia era entrata a gamba tesa fra un record del mondo e una medaglia d’oro. Il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Avery Brundage, sospese i giochi per un giorno, per poi far continuare lo spettacolo ignorando gli appelli che invocavano la sospensione definitiva: the show must go on, sempre, soprattutto quando gli interessi sono così grandi.

Alle 23:45 del 9 settembre, quando venne lanciata la palla a due, gli occhi del mondo erano puntati sul parquet di Monaco. Si scontravano due quintetti, ma anche due sistemi politici ed economici, due culture e due modi di vivere e pensare diversi: si giocava per vincere, ma soprattutto per non perdere. L’URSS comandò il gioco sin da subito, aggredendo la partita senza concedere mai il vantaggio agli avversari e sfruttando il fattore esperienza: il primo tempo si chiuse sul 26-21. Nella ripresa, l’espulsione di Dwight Jones e l’infortunio di Jim Brewer sembravano spegnere definitivamente le speranze a stelle e strisce.

Sotto di 10 punti, tuttavia, si risvegliò il proverbiale orgoglio americano, che riportò la compagine a -1, a soli 40 secondi dalla fine: 49-48. A questo punto l’URSS decise di sfruttare tutti i secondi dell’azione, ma il tiro di Alex Belov venne stoppato; il sovietico recuperò palla e si lasciò intercettare il passaggio da Doug Collins, che si involò verso il ferro, subì fallo e incastonò nel retino i due liberi del sorpasso: 49-50. Tre secondi sul cronometro, sembrava ormai finita; in realtà era solo l’inizio, perché quei tre secondi si trasformeranno in tre minuti, un’eternità, talmente eterna che ancora oggi se ne parla.

Quei tre secondi folli che ancora fanno discutere

Alla ripresa del gioco dopo i liberi di Collins, Kondrashin, coach sovietico, entrò in campo protestando con vigore per la mancata concessione di un time out da lui richiesto pochi secondi prima. Il fischio dell’arbitro per sanzionare quell’infrazione si sovrappose al suono della sirena, per cui, convinti che la partita fosse terminata, i cestisti americani invasero il campo per festeggiare.

Allora, il cronometrista Joseph Blatter futuro presidente della FIFA, fece notare ai giudici di gara che il match non era veramente finito: il fischio dell’arbitro era arrivato a un secondo dalla fine. Nel contempo William Jones, segretario della FIBA, presente alla finale, decretò, senza alcun titolo per intervenire, che i secondi da giocare dovevano essere tre, tanti quanti ne mancavano dopo i due canestri di Collins. Il parquet fu sgombrato, la palla fu di nuovo in gioco e la sirena suonò immediatamente a sancire il tempo scaduto: il timer del tabellone, a dispetto della decisone di Jones, non era stato modificato ed era rimasto sul –1” della precedente interruzione. La seconda invasione di campo americana fu ancora una volta stroncata dal dirigente FIBA, che ordinò di correggere il tabellone.

Si ripartì per la terza volta, quella buona. Da fondo campo Ivan Edeshko lanciò un tracciante verso l’area USA che superò i due maldestri difensori americani, spalancando la strada ad Alexandr Belov, che, commettendo una visibile infrazione di passi, andò a canestro sulla sirena: 51-50. Apoteosi sovietica e fine dell’egemonia statunitense nella pallacanestro.

Il post-partita ribollì di veleni. Le proteste USA furono veementi e si scatenarono contro lo staff sovietico, gli arbitri e la FIBA. Con un reclamo ufficiale si contestava la legittimità della partita e del risultato. Il reclamo fu respinto: contro i due voti favorevoli di Italia e Portogallo si coalizzò il blocco socialista della FIBA, formato da Polonia, Ungheria e Cuba. Ancor più infastiditi, gli americani non si presentarono alla cerimonia di premiazione: le medaglie d’argento ancora aspettano di essere ritirate.

Se The last dance, l’ultima stagione dei Bulls di Jordan e Jackson, può essere considerato il meglio offerto nella storia del basket americano, The last three seconds sono l’opposto: il capitolo da dimenticare, una ferita che, se riaperta, stenta a non bruciare.

Autore

Nasco a Roma nel 1997. Formatomi sui precetti morali del Re Leone, mi laureo in lettere e divento giornalista pubblicista. Appassionato di sport e storie di sport, nella vita faccio il centrocampista. Amo il mare e detesto il sensazionalismo quasi più degli anfibi.

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