Immaginiamo: e se lo stadio Flaminio diventasse di nuovo uno stadio?

Per il ciclo: cattedrali nel deserto a Roma

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La fotografia di un patrimonio artistico in degrado

Nel 1987 qui hanno suonato gli U2, i Duran Duran, Prince e David Bowie; nel 1988 è arrivato Bruce Springsteen; nello stesso anno e nel 1992 Michael Jackson, nel 1990, i Rolling Stones.

Oggi, nel 2023, un forno abbandonato nel prato prospiciente lo stadio viene fotografato da un residente del quartiere, che invia una segnalazione ad Ama per farlo rimuovere da lì. Un decennio e più di grandi concerti e adesso, un decennio e più di immenso degrado.

Lo Stadio Flaminio è inutilizzato infatti da dodici anni, dal Sei Nazioni di rugby del 12 marzo 2011. La Federazione Rugby, che per anni aveva tentato invano di ristrutturare lo stadio, decise dopo il torneo di trasferire la sua base romana all’Olimpico e da allora il Flaminio è rimasto così, anzi è nettamente peggiorato.

Destino beffardo, quello del Flaminio: progettato sapientemente dall’architetto Antonio Nervi, con la collaborazione di suo padre Pier Luigi, e costruito al posto del vecchio stadio Nazionale a Roma, fu inaugurato nel 1959, in vista delle Olimpiadi dell’anno successivo.

Negli anni Ottanta, in concomitanza con la grande stagione dei concerti, lo stadio fu utilizzato anche per partite di calcio della Lodigiani, in quel momento terza squadra della capitale. Durante la stagione 1989/90, con l’Olimpico chiuso per i lavori di ristrutturazione per i Mondiali di calcio, anche la Roma e la Lazio giocarono al Flaminio le partite in casa di Serie A.

Adesso lo stadio è la casa, si fa per dire, di un forno, e pure di un motorino, abbandonato anch’esso come l’elettrodomestico nel totale stato di degrado in cui versa lo stadio Flaminio e il territorio immediatamente circostante.

I vecchi fasti olimpici sono lontani, così come quelli dei concerti: oggi le strutture in cemento armato sono piene di infiltrazioni e le armature in ferro sono corrose, le curve dello stadio sembrano a rischio crollo, gli spogliatoi sono allagati e il campo da gioco è incolto quasi quanto l’erba che circonda lo stadio.

Attorno all’impianto sono parcheggiate diverse roulotte. L’intera struttura è sottoposta a vigilanza per evitare atti di vandalismo.

Lo stato di degrado profondo è causato anche dall’assenza di manutenzione da parte di chi lo ha avuto in concessione dal 1997, ovvero l’ex Coni e Servizi, oggi Sport e Salute. La società, il cui azionista unico è il Ministero dell’Economia e delle finanze, nel dicembre 2022 è stata condannata a pagare oltre 7 milioni di euro al comune di Roma per la cattiva manutenzione dello stadio nei suoi 15 anni di concessione.

Inizialmente con una capienza di 40 mila spettatori, poi ridotta per adeguamento alle norme di sicurezza, lo Stadio Flaminio è considerato una sorta di capolavoro architettonico. Le sue tribune, a detta di Elisabetta Nervi, segretaria generale della Pier Luigi Nervi Project Foundation, (l’ente che vigila sui progetti presentati per la riqualificazione dello stadio) formano un’onda che sembra adagiarsi accanto alla collina dei Parioli e ne riprende il movimento. Il Flaminio è considerato un patrimonio artistico di particolare prestigio e rilevanza storica ed è quindi sottoposto ai vincoli della Soprintendenza speciale delle Belle Arti di Roma.

La proprietà intellettuale dello stadio è degli eredi diretti di Nervi, (tra cui Elisabetta) che hanno il diritto di esprimere un parere vincolante su ogni proposta di ristrutturazione. Per poter avviare un progetto, qualsiasi soggetto interessato deve quindi prima accordarsi con il Comune e poi ottenere l’autorizzazione dalla Soprintendenza e dalla famiglia Nervi.

Nel corso di questi anni vari soggetti, pubblici e privati hanno provato a presentare progetti per la riqualificazione dello stadio. Nel 2021, ad esempio, l’AS Roma Nuoto, insieme a un gruppo di imprenditori privati, ha presentato una proposta con l’idea di mettere l’impianto a disposizione del calcio giovanile e dotarlo di nuove piscine e palestre. Era inoltre previsto l’allestimento di aree dedicate a eventi e attività commerciali. Ma il Ministero della Cultura, coadiuvato dagli eredi di Nervi, ha bloccato il progetto, giudicando gli interventi previsti “invasivi rispetto all’impianto originario”. 

L’interesse nel ristrutturare lo Stadio Flaminio però rimane tuttora molto vivo e deriva anche dalla situazione che vive la città di Roma a livello di stadi.

Londra vs Roma: 20-1

A Roma, infatti, fatta eccezione per lo stadio Olimpico, gestito tra l’altro, proprio da Sport e Salute (l’azienda tanto invisa allo Stadio Flaminio) non esistono più stadi di calcio professionistici.

Se si prova a mettere a paragone la situazione di Roma con quella di un’altra capitale “europea” come Londra il risultato è imbarazzante: Londra, di stadi professionistici, per la maggior parte costruiti o rinnovati recentemente (gli ultimi lavori allo Stadio Olimpico risalgono a quelli fatti per i Mondiali di Italia ’90, e solo ora, per gli Europei di Atletica Leggera, se ne parla di nuovo) ne possiede circa venti.

Ma non è il calcio il fulcro del problema, o meglio, non solo: Roma, infatti, non riesce ad attrarre grandi eventi sportivi e/o culturali per via della mancanza di impianti idonei ad ospitarli. Gli unici appuntamenti sportivi seguiti in massa dal pubblico a Roma sono alcune singole grandi manifestazioni: agli Internazionali di tennis e alle partite del Sei Nazioni di rugby dal 2018 si è aggiunto il Gran Premio di Formula E (il campionato delle auto elettriche), mentre nel 2023 Roma ha ospitato la Ryder Cup di golf (a livello puramente formale, come Città metropolitana di Roma, perché la competizione si è svolta a Guidonia Montecelio) e l’ultima tappa del Giro d’Italia di ciclismo. Sul Giro, poi bisognerebbe fare una considerazione particolare, che può essere estesa a livello generale per Roma. Esiste, da molti anni ormai, un comportamento attendista dei vari sindaci che si sono susseguiti riguardo il rinnovamento della città eterna. Se si riesce a organizzare o ospitare però, per grazia ricevuta, un evento di qualsiasi tipo, si procede, seguendo una sorta di Common Law, alla ristrutturazione degli impianti e delle infrastrutture. Una situazione frustrante per i cittadini, costretti quest’anno ad aspettare il passaggio dei ciclisti nella capitale per poter vedere finalmente coperte le buche sulle strade del Lungotevere.

E se si guarda oltre lo sport, Roma (per ora) non è in grado di ospitare neanche eventi artistici di caratura europea e/o internazionale; l’Eurovision Song Contest, svoltosi nel 2022 a Torino, ne è l’esempio più lampante e più recente. Il comune di Roma, a luglio 2022, presenta la candidatura per ospitare l’evento. Ad agosto viene scartata, non riuscendo ad accedere neanche alla selezione finale, finendo dietro alle candidature di Pesaro e Rimini che, evidentemente, avevano sull’evento un dossier più dettagliato e un impianto migliore di quello che avrebbe offerto la capitale. Per tali motivi, e per altri che elencheremo in seguito, la ristrutturazione di un impianto come il Flaminio sarebbe necessaria. 

Nell’ultimo anno, per fortuna, l’interesse da parte di soggetti pubblici e privati per lo stadio Flaminio è cresciuto di gran lunga. Conviene, per cercare di delineare meglio il quadro, partire da gennaio di quest’anno.

Lolito legge ma non si applica, CDP si applica ma non presenta

Fino a gennaio 2023 sembrava che l’unico soggetto interessato alla riqualificazione dello stadio Flaminio fosse Claudio Lotito, patron della Lazio e senatore di Forza Italia. Il presidente del club biancoceleste, nell’agosto 2022, aveva chiesto ed ottenuto qualunque documento relativo alla struttura per capire la fattibilità di una proposta di partenariato pubblico-privato. Ai primi di settembre il Campidoglio aveva consegnato i documenti. Ma da    allora Lotito non ha mai presentato un progetto. Il che deve essere risultato strano a tutti i malpensanti, che credevano che Lotito non avrebbe perso tempo e da senatore avrebbe accelerato i tempi per “farsi” lo stadio. Sull’argomento a fine gennaio era intervenuto l’assessore al Turismo, Grandi Eventi e Sport di Roma, Alessandro Onorato. L’assessore aveva preso posizione in maniera netta su quanto successo, rivelando come l’utilizzo del nuovo impianto fosse un’opportunità che dipendeva essenzialmente da un’eventuale mossa di Lotito che, fino a quel momento, non si era materializzata.

Chi dorme non piglia stadi e così, a fine febbraio, Cassa depositi e prestiti e l’Istituto del Credito sportivo sono scesi in campo per salvare il Flaminio, o almeno così hanno titolato le maggiori testate italiane giornalistiche online.

I vertici delle due società, spronati dall’attendismo di Lotito, si sarebbero fatti avanti con un progetto curato assieme alla fondazione Nervi (con gli eredi del famoso architetto) e all’università La Sapienza.

Da rilevare la presenza nel suddetto progetto dell’Istituto di Credito Sportivo, banca pubblica da sempre in prima linea per i finanziamenti agli impianti sportivi, ma che tra i suoi azionisti conta anche Sport e Salute, la stessa società che, per via delle sue precedenti gestioni, era stata condannata a risarcire il Comune di Roma proprio per la mancata manutenzione dello Stadio Flaminio.

Quello di CDP e ICS sarebbe, il condizionale è d’obbligo, in ogni caso, un progetto in autofinanziamento. Gli 80 milioni necessari sarebbero recuperati con un project financing, con le due realtà pubbliche che (in cambio di una concessione pluriennale) rientrerebbero dell’investimento con l’affitto degli impianti. Sì, perché CDP e ICS avrebbero chiesto di gestire, oltre al Flaminio, anche il Pala Tiziano, il circolo del Tennis Paolo Rossi e l’ex galoppatoio di Villa Glori.

Il progetto prevedrebbe inoltre di ristrutturare il Flaminio rispettando le geometrie volute da Nervi, con il rifacimento delle sole tribune, il recupero delle palestre e la piscina interne, la costruzione di bar e ristoranti, e all’esterno la copertura con pannelli fotovoltaici.

Nella valutazione del dossier anche l’ipotesi di chiedere a Renzo Piano, progettista del vicino Auditorium, un aiuto per creare strutture in conformità con il Parco della Musica. Ne nascerebbe, infine, anche un’area verde dal Flaminio a Villa Glori. 

Progetto entusiasmante, certamente, se non fosse che la proposta, sul tavolo del Comune, a giugno, non era ancora arrivata, nonostante la fiducia di Onorato a riguardo: «C’è un confronto molto avanzato sul Flaminio con CDPICS per una proposta di partenariato pubblico-privato, ma ad oggi questa proposta, ancora non ce l’abbiamo».

Non c’è due senza tre: la riqualificazione finanziata dal governo

Ma se anche la seconda opzione non dovesse andare in porto, il comune cosa pensa di fare? «Se il progetto di Cassa Depositi e Prestiti e Credito Sportivo non si realizzerà, per recuperare la struttura servirà assolutamente un intervento del governo nazionale», è la risposta più diffusa data dalla giunta del comune di Roma. Anche perché, per riaprire l’impianto, servono soldi. Non ci sono stime aggiornate, ma si parla di almeno 60 milioni di euro. E chi meglio del governo centrale allora?

«Entro quest’anno capiremo se gli interessati (Lotito e Cdp, nda) saranno veramente interessati o meno» ha rimarcato Onorato. Dopodiché: «Se non lo saranno ci presenteremo dal presidente Giorgia Meloni e dal ministro dello Sport, che sono anche romani e conoscono la situazione, e chiederemo un contributo».

E il contributo dovrà arrivare, a meno che Roma non voglia perdere anche la faccia, considerato che ha inserito a marzo 2023 lo stadio Flaminio nel dossier presentato alla UEFA  per la candidatura agli Europei del 2032 come campo di allenamento delle nazionali straniere. Una previsione quanto meno ottimistica. 

La situazione attuale: molto rumore per nulla

Per quanto riguarda la posizione di Lotito, è di pochi giorni fa il rinnovato (ma soprattutto dichiarato) interesse pubblico del patron della Lazio per lo stadio. Dopo mesi di interviste di assessori del comune, del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, del sindaco di Roma Roberto Gualtieri, e di altre autorità cittadine, che chiedevano (chi in maniera velata chi esplicita) una mossa da parte di Lotito per lo stadio, il patron della Lazio è uscito allo scoperto e ci ha riprovato: «Voglio lo stadio Flaminio. E intorno una città dello sport», titolava il suo virgolettato apparso sul sito de La Repubblica.

Peccato che se anche Claudio Lotito si è convinto, c’è chi non vuole che l’impianto diventi lo stadio della Lazio. Elisabetta Margiotta Nervi ha parlato sulle pagine dello stesso giornale esprimendo la sua opinione sulla possibilità che lo stadio diventi la casa dei biancocelesti, dichiarando la sua totale contrarietà al progetto di Lotito, che snaturerebbe a livello urbanistico e architettonico l’idea di stadio che avevano i Nervi, elogiando invece il progetto di CDP e ICS, a cui ha preso parte la sua stessa fondazione.

E in tutto ciò, a parte alcune dichiarazioni del Ministro dello Sport Abodi, il governo non ha ancora preso una posizione ufficiale. Quindi lo stadio rimane in stallo su tutti e tre i fronti, con il comune di Roma che  guarda ancora con molto interesse all’ipotesi Lotito.

Il futuro del Flaminio non può prescindere da una visione d’insieme

«Adesso è arrivato il momento di stringere: entro i prossimi due mesi una di queste tre soluzioni arriverà adama», ha ricordato poche settimane fa l’assessore Onorato. Sarebbe gradito sapere chi si occuperà della più grande struttura inutilizzata di Roma il prima possibile sì, ma è altrettanto importante capire come se ne occuperà.

L’identità della riqualificazione non può prescindere dal particolare contesto urbano nel quale lo stadio è collocato: l’Auditorium Parco della Musica, il Maxxi e le altre opere olimpiche di Nervi, ovvero il Palazzetto e il viadotto di Corso Francia, sono realtà da tenere in considerazione per il progetto che verrà.

Lo stadio Flaminio è, in questo senso, un punto nevralgico della città. Vicino al Lungotevere, nell’area deldemolito Stadio Nazionale, lo Stadio avrebbe tutte le carte in regola per divenire (nuovamente) un impiantoperfetto per ospitare grandi eventi.

Una sua riqualificazione creerebbe un unico grande polo sportivo/culturale con il vicino (e finalmente riaperto) Palazzetto dello Sport e con l’Auditorium Parco della Musica.

E se si continua ad immaginare, l’investimento nello stadio potrebbe portare anche ad una riqualificazione dell’ormai Fu Villaggio Olimpico, il complesso residenziale di cui si apprezza ancora oggi l’omogeneità formale, situato nei pressi di Piazza Grecia, a solo un km dallo Stadio Flaminio, che ha alcuni locali di proprietà Ater (Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale) che rischiano di finire anch’essi nel degrado. 

Giardini in abbandono e pieni di immondizia, accampamenti di fortuna, esercizi commerciali chiusi, alberi che sischiantano a terra per mancanza di manutenzione, il declino del quartiere nato per i Giochi del 1960 divenuto ormai da molti anni una giungla urbana è parallelo allo stato di decadenza in cui versa lo stadio Flaminio.

A triste testimonianza del degrado, la stele commemorativa delle Olimpiadi del 1960 è ormai coperta dagli arbusti ed è invisibile agli occhi dei passanti, i quali riescono a vedere con molta più facilità elettrodomestici abbandonati sul prato.

Il tema della discussione sullo spazio pubblico e condiviso ha da sempre caratterizzato Roma. Spazio pubblico è quello che consente un libero e anonimo accesso a qualsiasi categoria di cittadini, che agevola la comunicazione e il confronto, ma non li impone necessariamente, permettendo la condivisione come pure lafruizione individuale.

La città, come sostiene Frémont, è un teatro vivente in cui la concentrazione degli uomini crea incontri e momenti che rappresentano essi stessi un paesaggio. In quest’ottica uno stadio e un’area pubblica riqualificata esprimerebbero un luogo cittadino e un paesaggio per eccellenza, un simbolo di svago e condivisione, una nuova area di aggregazione e un ritrovato senso della comunità, che manca a Roma da troppo tempo.

Autore

Odio le cose non finite. Le cose o si fanno bene o non si fanno proprio. Io non le faccio proprio. E infatti sono una contraddizione vivente: da grande vorrei diventare attore, non ho mai fatto un provino in vita mia. Adoro il cinema, la tv, lo spettacolo, ma sono laureato in lettere moderne. Sono nato e vivo a Roma, ma tifo Inter da una vita. La cosa che mi ha colpito di più di Generazione: il loro differenziale su Instagram.

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