“In campo ci sono quelli che corrono e quelli che pensano”
Così andava sempre ripetendo Sócrates Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, conosciuto al mondo come Sócrates. Anagraficamente nasce a Belèm, in Brasile, da una povera famiglia e da subito, dal padre, assume il soprannome di “filosofo greco” dopo aver letto la Repubblica di Platone.
Fortunatamente sceglie di giocare a calcio, di regalarci emozioni e momenti indimenticabili. Sì, sceglie, perché lui avrebbe potuto fare tranquillamente il chirurgo avendo conseguito una laurea in medicina e, invece, ci dona la fortuna di vedere giocate di un altro pianeta, e una personalità che difficilmente si ripeterà nella storia del calcio.
Visione di gioco, forza fisica, e la sua specialità, il colpo di tacco. Pelè, dopo averlo visto giocare e recuperare da solo una partita, afferma: “Quel ragazzo dovrebbe giocare di schiena, con il tacco che ha”; e quando ti arriva un’investitura calcistica di questo livello, qualcosa dovrà pur dire.
I suoi primi anni come calciatore lo vedono tra le fila del Botafogo, squadra di Rio de Janeiro con cui trascorre 5 anni. Calcisticamente, però, si forma nel Corinthians, la squadra popolare di San Paolo, con cui vince tre campionati Paulista.
L’approccio con la tifoseria non è dei migliori per la sua totale sincerità che dimostra fin dalla prima conferenza stampa professando da subito il suo amore per il Santos a cui non rinuncerà mai. È tentato addirittura di smettere, stanco di tutte le pressioni a cui è sottoposto da parte della tifoseria e dagli allenatori, che lo vogliono incatenare all’interno di una gabbia mentale che però per lui è troppo stretta. Fortunatamente ciò non avviene ma l’amore con i tifosi tarderà a sbocciare.
Si rende conto che la rabbia, dovuta all’allenatore Brandao con cui non riesce ad esprimersi al meglio, può essere trasformata in una sorta di protesta sociale e così capisce il peso, l’importanza e l’impatto che i suoi gesti avrebbero potuto avuto sulla gente, sui tifosi: nasce la sua esultanza con i pugni chiusi (Tommy Smith e John Carlos nel ’68 è un antecedente piuttosto noto). Certo è che soltanto un giocatore come Sócrates poteva diventare un simbolo di lotta al potere autoritario, che poi prenderà forma definitiva con la Democrazia Corinthiana.
“Vincere o perdere, ma sempre con democrazia”
Durante questo periodo la storia del calciatore si fonde con quella del mito, con la leggenda. Sócrates instaura una vera e propria democrazia calcistica, quella che è passata alla storia come “Democrazia Corinthiana”, una delle più importanti forme di resistenza nate in Brasile.
Tutto è in mano ai calciatori, qualsiasi decisione è presa con un sistema a votazione democratica. I calciatori sono letteralmente autogestiti, si vota tutto, dalla fascia di capitano alla formazione da mettere in campo. La parola del magazziniere vale tanto quanto quella del presidente, non ci sono cariche. Fu un gesto incredibilmente forte, in netta contrapposizione con la situazione sociale nel Paese, che da più di dieci anni era martoriato da una opprimente dittatura, portata avanti in quegli anni da Josè Figueireido, e che solo nel 1982 avrebbe finito di stringere la nazione.
Un esperimento innovativo che forse, diciamolo, nel calcio di oggi non potrebbe mai funzionare, almeno per la spaventosa mole di denaro che sta uccidendo il gioco più bello al mondo. Ma il calcio, come suo solito, ci sorprende e una volta ancora, nel corso della sua esistenza, si eleva da semplice sport per diventare strumento.
Chi è solo un calciatore non può essere un grande calciatore”
Anche noi, in Italia, abbiamo avuto modo di vedere giocare Sócrates. L’esperienza in Serie A avuta con la Fiorentina, dove, però, la tifoseria non riserverà mai quell’amore che tutti si aspettavano verso un calciatore di simile portata, si dimostra comunque importante per lui. Incontrerà compagni di squadra che diventeranno amici e che non abbandonerà negli anni a venire, come Giancarlo Antognoni o Edoardo Pecci.
Noi italiani lo ricordiamo anche nel Mondiale in Spagna nel 1982, per la precisione il 5 luglio, quando il grande Brasile, capitanato proprio da Sócrates, non riesce ad andare oltre la semifinale persa contro di noi, che quel mondiale poi lo andremo a vincere.
Che cosa ne è stato di Sócrates? Non c’è più purtroppo, se ne è andato il 4 dicembre 2011. Un giorno, di molti anni prima, gli chiesero quando sarebbe voluto morire, lui rispose: «Di domenica, e con il Corinthians campione». Il 4 dicembre 2011 era una domenica e il Corinthians si laureava campione.
Autore
Romano e romanista. Tutti mi dicono che assomiglio a Mauro Icardi, ma secondo me sono più bello. Nei viaggi con gli amici sono quello che guida, ma per passione. Laureato in Lettere, sognavo di scrivere per qualche testata giornalistica, ma per il momento mi ritrovo in Generazione: mi accontento.