Il “Serpentone”: tra realtà, utopia e leggende metropolitane

La (breve) storia di uno dei più controversi e ambiziosi progetti urbanistici degli anni ’70

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Il progetto

La sua vicenda ha inizio nel 1972, quando lo IACP (Istituto Autonomo Case Popolari), proprietario dell’immobile, affida il progetto di costruzione a una nutrita équipe di architetti e ingegneri capitanati da Mario Fiorentino, conosciuto soprattutto per aver disegnato il monumento ai martiri delle Fosse Ardeatine. L’architetto, ispirandosi alle teorie dell’architettura funzionale dei primi decenni del Novecento e in particolare ai principi dello svizzero Le Corbusier condensati nella realizzazione dell’Unité d’Habitation a Marsiglia, sviluppa un progetto alquanto rivoluzionario e dalla forte componente sociale, che porta con sé un totale ripensamento del concetto di periferia e dello stile di vita che vi si conduce. Nelle intenzioni del progettista, il Nuovo Corviale doveva infatti rappresentare un modello abitativo alternativo, la cui portata innovativa era quella di integrare nella stessa struttura spazi privati con attività collettive e residenze con servizi, dando vita a un microcosmo cittadino completamente autonomo e autosufficiente, in grado di soddisfare le necessità dell’intera comunità che lo abitava e viveva giorno dopo giorno. Per dirlo con le parole dello stesso Fiorentino: Il Nuovo Corviale è una grande unità residenziale, un unico complesso edilizio che contiene ed esprime la complessità e la ricchezza di relazioni propria della città.

Un luogo che avrebbe dovuto unire intimità, funzionalità e socialità, tra l’altro in netto distacco con lo sviluppo urbanistico di Roma, iniziato negli anni Sessanta, che aveva generato interi quartieri privi di servizi, chiamati “quartieri dormitorio”. 

Il progetto prevedeva la realizzazione di 1200 appartamenti destinati a ospitare un totale di 6000 persone (oggi ne ospita circa 8000), integrati con numerosi spazi comuni e servizi: cinque spazi verdi, quattro teatri all’aperto, uffici circoscrizionali, biblioteca, scuole (dall’asilo alle medie), servizi sanitari, mercato, una sala riunioni da cinquecento posti, un intero piano, il cosiddetto “piano libero”, esclusivamente dedicato ad attività commerciali e artigianali, ambulatori e altri servizi di pubblico interesse; al piano terra cantina e posto auto garantiti per ogni nucleo familiare. Il corpo principale doveva essere articolato in cinque unità funzionali e di gestione (chiamate “lotti”), ciascuna dotata di una piazza di ingresso, di un servizio di portineria e di una grande sala per le riunioni condominiali e le altre eventuali attività sociali. Il prolungamento trasversale dell’edificio doveva teoricamente fungere da collegamento con la zona residenziale preesistente e avere al suo interno una strada pedonale con negozi, culminante in un centro commerciale, simbolo di apertura nei confronti della città circostante. 

Secondo il giudizio dell’urbanista Franco Purini, «Fiorentino aveva una concezione dell’abitare come movimento eroico, voleva che la sua mastodontica macchina abitativa fosse una specie di comunità che si sarebbe autoregolata e che avrebbe fatto prevalere sugli interessi privati quelli collettivi; anche se Fiorentino arrivò fuori tempo massimo, quando ormai in architettura si era affermato il post-moderno, che faceva perno sull’individuo e i suoi bisogni».

La tentata realizzazione

L’ambizioso progetto di Fiorentino sembra quasi da subito destinato a rimanere un sogno, forse utopico: i lavori, affidati a un’unica impresa edile, iniziano solo nel 1975 e avanzano tra difficoltà e ritardi, interrompendosi nel 1982 a causa del fallimento della stessa impresa. Nello stesso anno, mentre vengono assegnati i primissimi appartamenti, l’architetto, durante una tesa riunione con colleghi e amministratori comunali, viene colpito da un arresto cardio-circolatorio che gli costa la vita. La sua morte è solo la prima di un’infelice sequenza di eventi: fin da subito, ben prima del termine dei lavori del blocco residenziale avvenuti nel 1984, i locali dell’edificio vengono occupati da circa 700 famiglie, spinte indubbiamente dalla grave emergenza abitativa che affligge la città. Le occupazioni abusive si susseguono per tutti gli anni ’80 e ’90, nonostante non siano stati ancora realizzati i servizi previsti a complemento delle abitazioni. Nulla è risparmiato: gli spazi del quarto piano, inizialmente prescelto per essere il “piano libero” dedicato ai servizi commerciali, vengono rapidamente reinventati e adibiti alla bell’e meglio ad abitazioni. 

Dopo pochi anni, il Nuovo Corviale è già molto lontano dal suo ideale aspetto e funzionamento: l’abusivismo, accompagnato dalla pessima gestione amministrativa e dal totale abbandono da parte delle istituzioni, porta il quartiere a condizioni di degrado e fatiscenza, diventando terreno fertile per la criminalità, lo spaccio e la tossicodipendenza. In men che non si dica Corviale si converte nel simbolo del degrado delle periferie romane e si carica di un’aura quasi di mistero, di luogo malfamato e impenetrabile, immagine che ha continuato a danneggiare la reputazione dei suoi abitanti per decenni e ne ha amplificato la marginalità sociale. 

E, tra chi grida all’abbattimento e chi ne chiede a gran voce il completamento, si diffondono le più svariate voci e leggende metropolitane. Due le più celebri: la prima, quella secondo la quale l’architetto Mario Fiorentino si sarebbe suicidato, essendo intollerabile il senso di colpa per quel mostro di cemento a cui aveva dato vita; la seconda, quella che vede nella costruzione del colosso la causa della scomparsa del Ponentino, brezza tirrenica che rende fresche le sere d’estate a Roma e che il Serpentone ostacolerebbe dallo spirare.

Corviale oggi

Oggi, sebbene le occupazioni abusive e i problemi strutturali e funzionali derivati dalla carente manutenzione dell’edificio e dallo stesso lassismo di allora siano ancora presenti, sono stati fatti enormi passi avanti nella riqualificazione del quartiere, spesso partita dal basso in forma autogestita. Nell’immediata prossimità del corpo centrale, è stata completata la “spina servizi” che accoglie alcuni uffici del Municipio XI, il Commando del XI Gruppo dei Vigili Urbani, uno sportello anagrafico, un centro per il disagio mentale della ASL Roma D, un anfiteatro all’aperto, un centro culturale e artistico e un mercato coperto in via di completamento. All’interno del palazzo sono presenti l’Incubatore d’Impresa del Comune, un incubatore tematico destinato a ospitare imprese a carattere prevalentemente culturale attualmente inattivo, la ASL, un centro anziani, varie cooperative e un supermercato, mentre il centro commerciale già previsto in fase di progettazione è stato completato. Di fronte al palazzo sono presenti altri numerosi servizi, tra cui il complesso parrocchiale e il centro polivalente dedicato alla memoria di Nicoletta Campanella (sociologa e studiosa delle periferie romane): un impianto di oltre 5000 mq che ospita tra le altre cose una fornita biblioteca comunale, alcuni plessi scolastici, una farmacia e un complesso sportivo. 

Sono numerose inoltre le attività sociali e culturali ad opera di associazioni pubbliche e private che si sono susseguite negli anni, e altrettanti sono i progetti che guardano al futuro di Corviale, a dimostrazione di una rinnovata attenzione nei confronti del quartiere da parte di chi è andato oltre l’immagine stereotipata e ne ha captato l’enorme potenziale, sia dal punto di vista di sviluppo urbanistico che dal punto di vista socio-culturale. 

È una creatura di certo diversa da quella che aveva immaginato il suo ideatore, ma il Serpentone non è il mostro inquietante che molti vedono da fuori; è piuttosto un’opera ancora in divenire che si avvicina in modo promettente agli intenti originari di Fiorentino. I suoi abitanti, che hanno sviluppato un certo senso di orgogliosa appartenenza, sono attori fondamentali di questo processo: hanno imparato a volergli bene e a prendersene cura, anche perché, per molto tempo, non c’è stato nessuno che lo facesse al posto loro.

Autore

Romana, classe 1997. La curiosità e l'ottimismo guidano la mia vita. E infatti sogno di fare la giornalista e non ho un piano B. Ho una laurea in Lettere Moderne ma ancora troppi libri da leggere. Fosse per me, non farei altro che parlare, mangiare e viaggiare.

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