Chi ha ragione tra Rula Jebreal e Zoro?

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Chi segue Propaganda Live sa che i nomi e i volti degli ospiti, che animeranno la puntata della sera, sono svelati da un tweet che viene pubblicato regolarmente ogni venerdì mattina.

Nulla di strano, fin qui: solo che, quando venerdì mattina Rula Jebreal si è vista da sola, tra altri sette ospiti tutti uomini, ha deciso di non prendere parte al programma, finendo col «declinare l’invito» in quanto «come scelta professionale» – ha scritto – «non partecipo a nessun evento che non implementa la parità e l’inclusione».

A Zoro è spettato il compito di replicare, in un monologo di quasi dieci minuti in cui spiegava a Rula Jebreal – accusata di non conoscere il programma di Propaganda – che il criterio di selezione per gli ospiti non è da ricondurre al genere, ma alle competenze di chi dovrà salire su quel palco. Ha poi ricordato che il suo programma è stato insignito del Diversity Media Award.

Da molti, al contempo, il discorso di Zoro è stato visto come una vera e propria dimostrazione di Mansplaining, termine coniato proprio ad indicare l’atteggiamento virile-machista dell’uomo bianco che si pone in una posizione di “superiorità intellettuale” rispetto alla donna, a cui deve essere sempre “spiegato tutto”.

Ciò che appare chiaro è che quella della parità di genere all’interno del mondo della Tv rimane una delle più grandi sfide del nostro tempo. L’applicazione generale delle quote rosa potrebbe essere una risposta adeguata? Abbiamo messo a confronto le loro risposte ad alcune domande.

Propaganda Live è una trasmissione sessista?

ZORO: Assolutamente no. E il premio che abbiamo vinto quest’anno, il Diversity Award, sottolinea proprio questo: una varietà di voci, generi, culture, etnie che qui trovano il loro luogo naturale d’espressione.

RULA JEBREAL: Non si tratta solo di Propaganda Live, ma dell’intera situazione italiana: i numeri dicono che le donne in Italia sono drammaticamente sottorappresentate. Il progressismo non può essere un progressismo solo a parole, ma deve esserlo anche a fatti: se Propaganda Live si reputa un programma inclusivo, a rappresentanza di tutte le diversità, allora deve dimostrarlo con i numeri. Ci tengo a ribadire che il mio desiderio di non prendere parte alla trasmissione non è stato fatto contro qualcosa, ma, al contrario, a favore di qualcosa, ovvero della parità di genere.

Con quale criterio vengono selezionati gli ospiti?

ZORO: Anche noi facciamo degli errori, evidentemente. Ma se, ad esempio, vogliamo commemorare Mattia Torre, chiamiamo sul palco Valerio Aprea, che è stato uno dei suoi migliori amici, e non chiamiamo – per dire – Antonella Attili. Il criterio con cui scegliamo i nostri ospiti è molto semplice: la competenza dell’invitato, la sua esperienza e l’autenticità del suo racconto. Prendiamo come esempio la mia esperienza: già da Gazebo, idea nata da me e da miei amici uomini, ha avuto un grande riscontro e tutti sono finiti con l’essere riconosciuti come eccellenze nei propri ambiti. Prima erano professionisti, poi amici. 

RULA JEBREAL: In America i criteri di selezione sono ben diversi: non verrebbe mai accettato di mandare in onda un programma dove la rappresentanza delle donne sia tanto scarsa. Dire che gli ospiti vengono selezionati in base alla “qualità”, alla loro preparazione, non può e non deve essere una giustificazione sufficiente. Si tratta di un criterio importante ma non esaustivo: la qualità deve essere affiancata dalla quantità. Bisogna che in Italia ci si inizi a porre il problema del genere accanto a quello della competenza. Altra cosa è se, invece, pensiamo che gli uomini siano in qualche modo, statisticamente, più competenti delle donne: in Italia questo tipo di ragionamento, purtroppo, è insito nel pensiero comune e normalizzato.

Non sarebbe stato meglio partecipare al programma come ospite e portare lì le proprie ragioni?

ZORO: Rula si è vista da sola tra altri uomini e, in coerenza con le sue battaglie, ha deciso di non venire. Lei molto probabilmente non conosce la realtà di Propaganda Live, altrimenti avrebbe accettato l’invito: i nostri racconti, da prima che nascesse Propaganda, tendono a non essere mai unilaterali. Ovviamente ci dispiace non averla in trasmissione: siamo rimasti tra uomini – per qualche motivo mi trovo a dover escludere Costance e Francesca da questo discorso – e non ci sarà nessuno a parlare di Palestina.

RULA JEBREAL: Io non lavoro per La7, né per la televisione italiana. Quando partecipo come ospite ad una trasmissione televisiva è perché sento l’urgenza di parlare di alcuni temi che mi stanno a cuore. Da qualche tempo a questa parte ho deciso, come scelta professionale, che non avrei preso parte a nessun evento dove non si implementasse la parità di genere e l’inclusione.

In generale, c’è un problema di rappresentanza femminile nella Tv italiana?

ZORO: Noi il limite della rappresentanza femminile lo avvertiamo e come: rifiutiamo però quell’impostazione semplicistica che risolverebbe la situazione solo scegliendo un numero paro di uomini e donne da ospitare in trasmissione, spostando l’attenzione non sulle competenze ma esclusivamente sul genere. Noi non avevamo chiamato Rula in quanto donna, ma in quanto giornalista che avrebbe potuto, grazie alle sue competenze e alla sua storia, restituire un racconto non convenzionale di ciò che sta succedendo in questi giorni tra Israele e Palestina.

RULA JEBREAL: Sì, il mio gesto è stato proprio voluto per questo: ho deciso di usare la mia voce per far capire che quando si invitano ospiti ad una trasmissione sette uomini e una donna, beh, quell’immagine lì è un’immagine che non può essere considerata normale. È stato proprio per questo che ho deciso di partecipare a Sanremo, per portare in un contesto come quello di una festa popolare la mia battaglia contro la disparità di genere: è ora che si inizi a riflettere sulla questione in modo concreto, è ora che le cose inizino a cambiare!

Questo scontro tra personalità “ideologicamente vicine” può dare ulteriore forza alle tesi di chi guarda una televisione più marcatamente conservatrice?

ZORO: Credo di sì. Ma a tal proposito tranquillizzerei chi, dall’altra parte, parla impropriamente di una lite “tra sinistri al caviale che cadono sotto il fuoco amico”. Capisco che possa essere divertente per qualcuno, ma l’atteggiamento da sciacallo non è mai eticamente corretto. 

RULA JEBREAL: Io penso che ci fosse bisogno di un messaggio chiaro e forte proprio perché all’interno di un programma progressista, di sinistra, come quello in questione, troppo spesso vi sia il rischio di un appiattimento del dibattito. Per alcune persone quella trasmissione viene vista come un vero e proprio “fidanzato”: ho notato commenti di follower “scandalizzati” all’idea che una donna come me, nera, giovane, avesse osato rifiutare “l’invito a cena” di un maschio bianco, italiano. Nessuno è intoccabile e anche all’interno della sinistra c’è bisogno di rivoluzionare alcune posizioni.

La presenza di due donne fisse in trasmissione può essere un dato rilevante in questo racconto?

ZORO: Fin da Gazebo abbiamo avuto rappresentanze femminili in trasmissione. C’erano ad esempio delle cantanti: non ho mai capito se la musicista donna vale meno del giornalista maschio, nel peso specifico della trasmissione. Ad oggi abbiamo Costance e Francesca fisse: sono due professioniste, che poi nel corso del tempo siano anche diventate amiche è un dato solo aggiuntivo. Non so se è risolutivo, molto probabilmente no; eppure se questa trasmissione continua ad andare in onda è anche grazie al loro contributo. 

RULA JEBREAL: Il rischio è quello di finire a fare mansplaining, perché non si tratta di un’elemosina, né del bisogno di riconoscimento da parte degli uomini: il fatto che vi fossero due giornaliste lì sedute ad ascoltare le argomentazioni del conduttore non giustifica affatto l’assenza di pluralismo all’interno del sistema mediatico italiano. Non abbiamo bisogno che un uomo ci dia il permesso di parola, ma vogliamo essere noi stesse a decidere quando e come parlare.

Autori

Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.

Maria Chiara Cicolani

Maria Chiara Cicolani

Vice Direttrice

Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.

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