Robert Eggers, piacere di inquietarvi. Chi è il regista di The Northman?

0% Complete

Il mondo del cinema è un abisso infinito, come infiniti sono i nomi di coloro che si nascondono dietro i film che hanno fatto e che faranno la storia, come infiniti sono i generi che racchiudono queste opere a mo’ di scatoloni. Una gran bella scatola è quella dell’horror contemporaneo, che sta tirando fuori tante inquietanti gemme. 

L’horror non esiste più per farci coprire gli occhi col cuscino. O almeno, non soltanto. Le trame si fanno sempre più raffinate e attente alle psicologie dei singoli personaggi, ai grandi simbolismi celati dietro piccoli dettagli, alle ambientazioni che diventano un tutt’uno con la mente dei protagonisti, risucchiandoli. 

Robert Eggers, in mezzo a tante innovazioni, si posiziona in prima fila tra i registi che stanno scolpendo i mostri dei nostri giorni. Con appena tre titoli in tasca, Eggers è già riuscito a creare un immaginario personalissimo, forte di una palette di tinte grigie che stanno diventando la sua firma e un bagaglio culturale davvero ampio, che riporta alla luce miti e leggende del folklore americano, macchiati di rinnovata cupezza. 

Classe 1983, il regista, sceneggiatore e scenografo statunitense sta per presentare al mondo la sua terza storia: The Northman. Attesissimo nelle sale americane e di tutto il mondo, ma perché? Cosa ha creato tante aspettative? Semplicemente il fatto che dal momento in cui Eggers ha cominciato a raccontare, il mondo del cinema si è seduto ad ascoltare, in silenzio. Nessun inizio tiepido, la sua prima storia sa già in che punti toccare per generare brividi. Di più spaventoso esistono solo gli spoiler, che tranquilli, non ci saranno. Iniziamo.

Capitolo I. The Witch: A New-England Folktale (2015)

«Se uomo o donna, in mezzo a voi, eserciteranno la negromanzia o la divinazione, dovranno essere messi a morte; saranno lapidati e il loro sangue ricadrà su di essi». (Levitico 20:27)

Il diavolo ha tante forme. Il diavolo è guardare il seno di tua sorella senza riuscire a distogliere lo sguardo; è una madre che piangendo si rivolge alla figlia dandole della meretrice, credendola una strega; è un padre gonfio di se stesso, che per la tanta presunzione si fa cacciare dal villaggio, ora costretto a trovare un nuovo posto per crescere la sua famiglia. Il diavolo è un bambino morto prima di essere battezzato. I dogmi, le paure e le follie dell’era puritana del 1600 vengono narrati in questo film, influenzando i protagonisti e mettendoli l’uno contro l’altro, in un infinito vortice di accuse e senso di colpa. 

William è il capostipite di una famiglia che sta per disintegrarsi. La storia comincia dal momento in cui la comunità di cui fanno parte decide di esiliarli, a causa delle idee estremiste di William che, inamovibile, preferisce portare via moglie e figli dalla sicurezza di casa, piuttosto che scendere a compromessi sulle sue idee religiose. Una volta trovata una sistemazione – una piccola abitazione ai limiti di un bosco, isolata da tutto – il piano è di ricominciare da capo, conducendo una vita tranquilla e dedita alla preghiera. Ci sarà da pregare alla svelta, infatti, poiché le cose si mettono male dal primo istante. Thomasin, la figlia maggiore (interpretata da una giovanissima Anya Taylor-Joy), è nel prato davanti casa. Di fronte a sé ha una culla. Dentro la culla c’è Samuel, il suo fratellino appena nato. Gioca con lui facendolo spaventare per scherzo. Chiude gli occhi, li apre all’improvviso, Samuel ride. Chiude gli occhi, li riapre, Samuel ride e lei con lui. Chiude gli occhi, apre gli occhi. Samuel è sparito. 

The Witch: A New-England Folktale, 2015

Dal momento dell’inspiegabile sparizione, la famiglia riversa su Thomasin tutto il disprezzo che i loro cuori puritani sono capaci di tradurre in parole, e il verdetto arriva quasi immediatamente. Sono convinti che la ragazza sia una strega, che abbia venduto suo fratello al demonio e che sarà la rovina di tutti loro. Man mano che i minuti passano diventa sempre più complicato per lo spettatore decidere a chi dare ragione. Thomasin è davvero una strega? Quanto male può fare una religione che preme così tanto sull’importanza del senso di colpa del singolo? Quanto odio può insinuarsi in una famiglia, prima di rovinarla per sempre? Parlando attraverso la regia, Robert Eggers risponde a queste domande in modo sempre più chiaro ed eloquente. Il concetto cristiano di peccato originale colpisce ognuno di loro in modi diversi e il set in cui il racconto prende vita è una perfetta rappresentazione delle loro lotte interne. Da bravo scenografo, Eggers piazza la casa ai limiti di un bosco scuro, che i personaggi temono. Nessuno sa cosa si nasconde nella foresta, quali bestie la abitino, o quali sogni proibiti. Non la affrontano, ne restano ai limiti e la osservano, giudicandola esattamente come giudicano con pesantezza i peccati terreni, riparati dalla morale puritana. Thomasin è l’unica che sembra voler fuggire tra quegli alberi, in mezzo a un’oscurità in cui anche Dio, in questo film, è riuscito a perdersi. 

Capitolo II. The Lighthouse (2019)

«Oh, io avevo commesso un’azione infernale, e doveva portare a tutti disgrazia; perchè, tutti lo affermavano, io avevo ucciso l’uccello che faceva soffiare la brezza. Ah, disgraziato, dicevano, ha ammazzato l’uccello che faceva spirare il buon vento». (Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio)

Si può dire che The Witch abbia il suo fascino claustrofobico. Si può dire, ma non senza che il caro Robert si metta a ridere. «Non avete ancora visto niente», sarebbe la sua risposta. Con The Lighthouse fa un enorme passo avanti che nulla toglie al suo esordio, ma che dimostra quanto il regista sia capace di superarsi e attenzione, superarsi non nel senso di fare meglio, ma nel senso di andare oltre, esplorare altro pur riuscendolo a raccontare con la stessa voce. Se The Witch sembrava ridotto all’essenziale per numero dei personaggi e ambienti, la sua seconda storia si spinge ancora più in là, intrappolandoci su un minuscolo pezzo di terra in mezzo al mare, senza via d’uscita e senza colore. 

Due uomini e un gabbiano che non deve morire. A ballare questo valzer in bianco e nero ci sono Willem Dafoe e Robert Pattinson, l’uno guardiano del faro che intitola il film, l’altro misterioso giovane arrivato sull’isola per lavorare col vecchio marinaio. Dicotomia è la parola chiave di questa perla contemporanea, che riflette sul legame tra vitalità e morte, astinenza ed esasperazione, realtà e follia. Innanzitutto però, c’è da dire questo: «L’atmosfera viene come prima cosa, il resto arriva dopo», come spiega Eggers in un’intervista a proposito del film. L’uso del bianco e nero, della pellicola 35mm e dell’aspect ratio di 1.19:1, fanno sì che The Lighthouse sembri uscito da un’altra epoca – da un altro, dimenticato modo di fare cinema. La luce del giorno, alternata a quella della lanterna del faro, stordiscono i due uomini, abbandonati alla compagnia l’uno dell’altro dopo che una tempesta si scatena su di loro e costringe il più giovane a restare sull’isola nonostante la scadenza dei suoi giorni lavorativi. 

The Lighthouse, 2019

Dal momento in cui i due si ritrovano a condividere lo spazio nel faro, un tremendo e affascinante gioco di potere li tiene legati fino alla fine. Insieme bevono fino a star male, cantano vecchie ballate di mare, litigano come due genitori, si abbracciano, si prendono a pugni, si confondono. Sembrano non riuscire a tollerarsi, eppure entrambi sanno di volere qualcosa dall’altro. Così lo spazio si riduce a pochi scogli in mezzo a una landa d’acqua inferocita, e il tempo è un nonnulla. «Da quanto siamo qui? Cinque settimane? Due giorni? Dove siamo?», chiede Dafoe al personaggio di Pattinson, con quello che ha tutta l’aria di essere l’intento di farlo impazzire. 

Ancora una volta Eggers mette in moto una macchina che ha come fonte di energia vecchi racconti della mitologia, usando come catalizzatore per dare inizio alla vicenda un’antica legge dei marinai: mai uccidere un gabbiano. Ai tempi che furono, si credeva che i gabbiani incarnassero le anime dei marinai morti in mare, dunque togliere loro la vita equivaleva a una sfortuna terribile. La tempesta si scatena, infatti, il giorno dopo che il giovane mozzo, frustrato dal pessimo trattamento del suo superiore, se la prende con un gabbiano e lo ammazza. Similmente al marinaio di Samuel Taylor Coleridge, poeta inglese che nel 1798 scrisse La Ballata del Vecchio Marinaio, in cui a parlare è un mozzo colpevole dell’uccisione di un albatros, anche questo giovane sconterà la sua pena, portando il vecchio giù con lui, in un oceano di onirica alienazione. 

Capitolo III. The Northman (2022)

Dopo tre anni di attesa, Robert Eggers torna a sedersi in poltrona, per raccontare una nuova vicenda. Contrariamente ai primi due lavori, The Northman si presenta con un cast numeroso, tante location differenti ma lo stesso, immancabile, amore per il folklore. Questa volta però, non è l’America a parlare, bensì l’Islanda, che fa da cornice ad una delle storie più famose di tutti i tempi: quella di Amleto. 

The Northman / © 2021 Focus Features, LLC

Sangue, profezie, onore e vendetta ci aspettano al cinema, dove ad accoglierci torneranno Anya Taylor-Joy e Willem Dafoe, affiancati da Nicole Kidman, Alexander Skarsgård, Ethan Hawke e – inaspettata ma assolutamente ben accetta – Björk. Il film, distribuito in Italia dalla Universal Pictures, uscirà nelle sale il 21 aprile 2022. 

Per la terza volta, antiche leggende verranno narrate da un regista nuovo, giovane, che sta creando opere potenti e precise, animate da un evidente amore per nulla in particolare se non per l’invincibile spinta che porta alcuni di noi a raccontare storie agli altri, nella speranza che qualcun altro riesca a cogliere, in un racconto, la stessa magia dalla quale chi narra, per primo, si era fatto ammaliare.

 Viva i pionieri, viva il cinema horror, viva i pionieri del cinema horror. Ci vediamo in sala. 

Autore

Del cinema amo i film ambientati in un posto solo, il gossip hollywoodiano e il faccione di Bong Joon-Ho. Passo le domeniche a Porta Portese e il resto della settimana a mischiare il Martini alla tonica. In una vita passata ero un pirata.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi