Il diritto di pregare

Nel 2022 il mese della Pasqua è lo stesso del Ramadan ed è bastato così poco perché ci si dimenticasse del più profondo significato della Pesach

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I fedeli di tutto il mondo in questi giorni si sono riuniti in preghiera per onorare una delle più antiche e importanti festività del calendario ebraico e cristiano. La Pesach (פסח), per gli uni, e la Pasqua (Πάσχα), per gli altri, è, infatti, un momento di rinascita e “passaggio”, dove ebrei e cristiani commemorano due diversi momenti di liberazione tramandati dalle scritture: l’esodo del popolo ebraico verso la terra promessa e la resurrezione di Cristo dai morti. 

“Troppo sangue e violenza in questa Pasqua; Signore, disarma la mano del fratello contro il fratello”, sono le parole pronunciate da Papa Francesco per la benedizione Urbi et Orbi di fronte ad una piazza ospitante 100.000 fedeli in preghiera. “La pace è una responsabilità di tutti”. Proprio per questo, alla XIII stazione della Via Crucis di Papa Francesco, tenutasi al Colosseo a Roma, ci sono due donne, di nazionalità russa e ucraina, a portare la croce: un messaggio tanto forte quanto simbolico, a ricordarci il valore e la forza della preghiera per l’uomo. 

La parola “preghiera” ha una storia etimologica interessante, provenendo dalla radice indoeuropea prach- (in sanscrito pracchāti = domandare, chiedere), per poi trasformarsi nel latino popolare in precaria, (sostantivazione femminile di precarius)Precaurius è ciò che si ottiene con preghiere, umilmente, nell’atto del domandare. Per questo, nell’odierno significato della parola preghiera, dobbiamo sempre ricordare l’originaria derivazione del termine, che non indica semplicemente la messa in relazione con la divinità, ma anche le modalità e i toni dell’attività del pregare, ovvero il porre domande in segno di umiltà, sottomissione, cortesia. 

Se il diritto di pregare, dunque, è il diritto dell’uomo di porre umilmente domande, nella sua condizione di essere impotente e finito, allora con esso si intende uno dei diritti più anticamente dibattuti della storia dell’uomo, un diritto che ha le sue origini sin dall’Editto di Milano (o Editto di Costantino, 313 d.C.). La nostra stessa Costituzione, all’articolo 19, recita: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

Movimenti come The Women of the Wall, («Un gruppo di donne, attivo dagli anni Ottanta, che riunisce ebree di varie denominazioni e provenienza accomunate dal desiderio di poter pregare in modo egualitario al Muro del Pianto») ci testimoniano l’importanza della rivendicazione di un culto pubblico e libero. 

Tuttavia, ancora oggi, siamo costretti ad assistere a scene di negazione di tale diritto. Le immagini che ci arrivano dalla “Spianata delle Moschee” di Gerusalemme sono quelle di un popolo a cui è negata la preghiera, nel senso più profondo del termine: un popolo a cui è negata la possibilità di chiedere umilmente, senza armi, con le mani dietro la nuca. Nel 2022 il mese della Pasqua è lo stesso del Ramadan, ed è bastato così poco perché ci si dimenticasse del più profondo significato della Pesach. La polizia israeliana rafforza le proprie misure nelle moschee dei territori occupati (sono già diverse le immagini in rete di scontri e rappresaglie nei pressi di Hebron e di Gerusalemme), negando ai fedeli musulmani la possibilità di riunirsi pacificamente per la preghiera del Venerdì. 

La polizia israeliana ha fatto irruzione nel complesso della moschea di Al Aqsa ferendo circa 150 persone, tra cui donne e bambini. Al Aqsa, terzo luogo più sacro per l’Islam dopo Medina e la Mecca, viene scossa da proiettili, arresti e manganellate al tredicesimo giorno di Ramadan e il mondo resta a guardare senza proferire parola. 

Così, mentre il Papa invoca la pace e i nostri Capi di Stato si impegnano a mantenerla, ci accorgiamo che il mondo non è un posto per tutti e che la preghiera è un lusso di pochi. 

Autore

Maria Chiara Cicolani

Maria Chiara Cicolani

Vice Direttrice

Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.

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