Lavoro in nero: inchiesta su un’Italia che si ammala per pochi spiccioli

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Molte persone si lamentano del proprio lavoro, non tutte ne sono estremamente soddisfatti, e spesso le cause sono riconducibili alle condizioni in cui devono svolgere le proprie mansioni.

In un Italia che è sempre in bilico tra il seguire l’esempio dei paesi più efficienti e il restare nella propria condizione, nel caso del lavoro sceglie non solo di non cambiare, ma di penalizzare chi lavora.

Una pagina TikTok di Pandora, gestita dalle commesse, mostrava le condizioni assolutamente non salutari in cui lavorano: costrette, ad esempio, a non sedersi per tutto il turno lavorativo. Ma questo è successo in Estonia, e la colpa è imputabile al brand, che richiede ai propri commessi di non potersi sedere nemmeno nei momenti in cui non ci sono clienti nello store. La cosa che ci riporta in Italia, sono i commenti. Sfilze di commenti di italiani:

  • «Io lavoravo in un negozio di abbigliamento, per una volta che mi sono seduta perché ero stanca e non c’era nessuno, mi hanno licenziata»;
  • «Lavoravo in un negozio di abbigliamento e mi sono seduta su dei gradini subito dopo l’apertura perché mi sono sentita male, mi sentivo svenire, il capo mi ha vista dalle telecamere, ma non c’era nessuno che mi coprisse quindi si è limitato a sgridarmi, il giorno dopo sono stata licenziata»;
  • «A me, il mio capo veniva a togliermi la sedia ogni volta che mi sedevo e la spingeva via con un calcio. E lavoravo in un mercatino dell’usato».

Questi sono solo alcuni commenti, ma abbiamo raccolto altre testimonianze dirette:

«Lavoravo come addetta alle vendite ad uno stand a Rho Fiera, dalle 9 mattina alle 10 di sera, costretta in piedi. Mezz’ora di pausa per pranzare e basta. Potevo prendere una pausa microscopica solo per andare al bagno. Per 10 giorni, per tutte quelle ore ho percepito 700 euro. Ovviamente a nero. Capisco l’affluenza costante di gente, ma per non uccidere una persona, per non sovraccaricarla, devi assumere più persone. E garantire delle pause abbondanti o un limite di ore che sia legale».

Abbiamo parlando anche con persone che hanno lavorato per alcuni negozi a Napoli:

«Gli orari sono 9:00 – 13:00 e poi 16:00 – 20:30. Mezza giornata anche la domenica. La paga è di 300 euro». 7 giorni su 7, 300 euro, tutto a nero.

Lo stesso è accaduto in un altro negozio, che è una catena a Napoli e provincia, 7 giorni su 7, gli stessi orari, trattamento totalmente non umano per 10 euro al giorno. O ancora, un negozio di articoli vari e casalinghi, stessi orari, obbligo perenne non solo di stare in piedi, ma anche di caricare e scaricare merci che arrivano quotidianamente e sistemarle ossessivamente negli scaffali per farsi vedere indaffarati dal titolare, 70 euro a settimana. Però con un giorno libero intero a disposizione.

L’obbligo di non sedersi, ovviamente, resta invariato ovunque. E lo stesso succede nei bar, negozi di casalinghi, in qualsiasi attività. E sono sempre, costantemente tutti controllati dalle telecamere, lavorando con l’ansia. Spesso viene anche usata come minaccia, e questo spinge i lavoratori a non sedersi o prendersi un attimo nemmeno se sentono le gambe cedere.

La solfa è più o meno la stessa in tutti i negozi, in tutte le attività che tengono esposte per mesi il cartello “cercasi dipendente”. E molte persone si pongono la domanda: li sfruttano durante il periodo di prova e poi li mandano via non pagandoli o pagandoli meno, così hanno sempre dipendenti garantiti a poco prezzo, oppure sono i dipendenti stessi che viste le condizioni, gli orari folli e la paga ridicola decidono di non continuare?

Perché succede anche questo: molte attività vanno avanti con prove gratuite o mal retribuite a discapito dei tanti candidati in cerca di lavoro e alla fine non verrà assunto nessuno.

È una realtà diffusa in tutta Italia. Si fa finta di non vedere, facciamo finta che vada bene, ma sono in molti ad approfittare della disperazione altrui. E i controlli sono pressocché nulli o sapientemente raggirati con scaltri escamotage, per poter garantire ancora che tutto fili come sempre. Perché è sempre stato così e sta bene a tutti. A chi non rifiuta quelle condizioni perché ha bisogno di soldi, a chi ha un’attività da portare avanti e gestire con non poche difficoltà, e ai tanti, molti che dall’alto fingono di non vedere e non sapere. Proprio quelli che dovrebbero fare qualcosa.

Per interrompere questo meccanismo malato servono controlli più ferrei e meno superficiali, e multe più salate per chi raggira i diritti del lavoratore e crea un danno, oltre che fisico, morale alla persona che viene disumanizzata al costo di pochi euro. Il gestore di una piccola attività potrebbe avere difficoltà a pagare i propri dipendenti, ma dovrebbe allora accontentarsi dell’aiuto di un collaboratore solo per il tempo che riesce legalmente a retribuirgli, oppure ricevere più agevolazioni dallo Stato. Altrimenti è un cane che si morde la coda.

Per quanto riguarda le grosse attività, non ci sono parole. Molte catene come Pandora, potranno anche fare contratti in regola, retribuire il giusto previsto dalla legge, ma costringere i propri lavoratori a stare per ore ed ore in posizione eretta, anche in assenza di clienti, per “immagine” e per fatturare di più perché un cliente vedendo la commessa indaffarata è più propenso ad entrare in un negozio (?) li espone non solo ad un grosso stress, burnout, ma anche a grosse conseguenze fisiche. Il classico esempio del fatturato che compra e copre il valore di una vita umana.

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