Ogni tre giorni muore una persona in carcere: è una strage di stato

0% Complete

C’è un passaggio letterario che nonostante la distanza temporale ci aiuta a comprendere il perché nelle nostre carceri avviene una strage di stato.

Questo è dunque tutto ciò che la borghesia ha fatto per educare la classe operaia; e se noi pensiamo, oltre a ciò, alle condizioni in cui quest’ultima vive, non potremo minimamente rimproverarle lo sdegno che essa nutre contro la classe al potere. L’educazione morale, che non viene impartita all’operaio nelle scuole, non gli viene fornita neppure negli altri momenti della sua vita; almeno, non quella educazione morale che ha qualche valore agli occhi della borghesia. Tutta la sua posizione e il suo ambiente racchiudono i più forti incitamenti all’immoralità. Egli è povero, la vita è per lui senza attrattive, quasi tutti i piaceri gli sono negati, i rigori della legge non hanno per lui più nulla di spaventoso; perché dunque dovrebbe frenare i suoi desideri, perché dovrebbe lasciare al ricco il godimento delle sue ricchezze, anziché appropriarsi di una parte di esse? Quali motivi ha il proletario per non rubare?

Qui Engels, nella Situazione della classe Operaia in Inghilterra, nel 1845 utilizza parole che ancora oggi valgono nell’analisi della criminalità e della punizione. Se non vi è attrazione per una vita basata sulla legalità e sulla giustizia, sul rispetto dello Stato e della collettività, perché una persona non dovrebbe delinquere? 

Oggi a delinquere non è più solo l’operaio, ma è il migrante, il tossicodipendente, l’analfabeta, tutte quelle categorie sociali che non hanno sbocchi economici e possibilità per poter aspirare ad una vita normale. E nel delinquere si finisce in carcere e il carcere pecca nella sua funzione riabilitativa, tanto che all’interno delle nostre celle sta avvenendo una vera e propria strage di stato nel silenzio delle istituzioni e nelle urla di chi perde un proprio caro, o di chi sceglie di togliersi la vita.

Dentro i numeri ci sono persone che non riuscivano a vedere una speranza

Nei primi 94 giorni del 2024 33 persone hanno deciso di togliersi la vita nelle nostre strutture detentive. 30 erano detenuti che scontavano la pena o in attesa di giudizio, come avvenuto a Latina l’11 Febbraio, e 3 erano agenti di polizia in servizio all’interno delle carceri. 

Se dovessimo fare un calcolo per prevedere quanti suicidi ci saranno nelle nostre galere entro la fine del 2024 scopriremo che si arriverebbe a 113 suicidi. Sarebbe un dato storico, contando che l’anno con il maggior numero di suicidi nelle carceri nostrane è stato il 2022 con 85 suicidi. 

Paragonando il tasso di suicidi nelle carceri con ciò che avviene al di fuori della società civile in Italia si dimostra come sia una problematica della struttura in sé. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’OMS (risalenti al 2019), il tasso di suicidi in Italia era pari a 0,67 casi ogni 10.000 persone. Mettendo il dato in rapporto con quello relativo al carcere, vediamo come negli istituti penitenziari i casi di suicidio siano 23 volte superiori rispetto ai suicidi in libertà. 

Ragionare solo sui numeri però non basta ed è buono comprendere il perché le nostre galere sono diventate una macchina di morte, che negli ultimi 4 anni ha visto un incremento di questo fenomeno macabro e disumano.

Se è dalle carceri che si vede la tenuta democratica di uno stato stiamo messi male 

Nella letteratura, nelle Convention e in tutti gli eventi sul tema carcere una delle parole che viene ripetuta di più è sovrappopolazione. La sovrappopolazione nelle carceri avviene quando il numero di detenuti supera il limite della capacità ufficiale. Il tasso di sovrappopolazione è definito in base al livello di occupazione sopra al 100%. Si è soliti considerare un tasso di occupazione superiore al 120% come sovrappopolazione carceraria grave.

In Italia siamo nella seconda casistica e su scala nazionale, non particolare. Con un tasso medio di sovrapposizione carceraria del 119%, e con casi a livello regionale superiore al 125%, le nostre carceri hanno più persone di quelle che possono contenere. In stanze già minuscole e pensate-fabbricate nel 1975, oggi il detenuto non ha accesso ai più basici bisogni all’interno delle strutture che dovrebbero tutelare la sua persona. 

Secondo Antigone, associazione che da più di 30 anni monitora e divulga la questione carceraria in Italia, nel 35% degli istituti ci sono celle in cui non sono garantiti i 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta. Nel 12,4% ci sono celle in cui il riscaldamento non era funzionante. Nel 45,4% degli istituti ci sono celle senza acqua calda e nel 56,7% celle senza doccia. Ma le difficoltà strutturali ovviamente non riguardano solo le camere di detenzione. Anche diritti fondamentali che necessitano di spazi appositi, come la libertà di culto, sono difettosi o mancanti. Solo il 23% delle strutture hanno spazi appositi dove i detenuti e le detenute possono professare la libertà di culto, un dato empirico che va contro la libertà di culto sancita dall’articolo 19 della costituzione.

Non vi sono spazi personali e privati all’interno del carcere, e quei pochi adibiti li deve condividere con numero superiore a quanto la normativa permette. Come possiamo pensare che le nostre carceri possano rieducare la persona se a mala pena può farsi una doccia con l’acqua calda da solo?

È utopistico rispondere a questa domanda in modo propositivo, alla luce delle difficoltà evidenti del sistema penitenziario, unite ai diritti che vengono negati sistematicamente a chi si trova lì. Senza diritti non vi è la persona umana, e se non c’è la persona umana ha davvero senso resistere e provare a vivere?

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore 

Se non vi sono spazi minimi per tenere in modo dignitoso il corpo di una persona anche la sua psiche ne risentirà, non solo tramite suicidi ma in generale con l’aumento di patologie psichiatriche gravi, favorite dalle particolari condizioni ambientali in cui tutta la popolazione detenuta è posta. 

L’associazione Antigone compie un lavoro straordinario e porta oltre le sbarre le condizioni psichiche dei nostri detenuti, persone come noi che spesso dimentichiamo: uno su 10 tra i detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave, 2 su 10 assume psicofarmaci di qualsiasi tipo (stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi) e 4 su 10 sedativi e ipnotici. 

Le immagini di santa maria Capua vetere del 2020 ci vengono incontro per capire definitamente cosa avviene all’interno delle prigioni italiane: quando i detenuti hanno la possibilità di non essere controllati in situazioni di forti stress e mancanza di sostegno vanno alla ricerca di sostanze per anestetizzare o comunque porre uno stop alle loro sofferenze mentali. Sono molti i casi nei momenti di rivolta carceraria di morte di overdose tramite l’uso e l’abuso queste sostanze.

E tutto ciò avviene lontano dai nostri occhi, e quindi lontano dai nostri cuori. La politica dovrebbe ragionare e legiferare intervenendo sulle disposizioni detentive vigenti o proponendone di nuove per superare questa emergenza. Ma dove non arriva il legislatore, la Costituzione Italiana ha predisposto altri strumenti affinché lo stato di diritto e le libertà fondamentali possano essere garantite anche tramite strumenti diversi rispetto alla legge o agli atti aventi forza di legge. 

La Corte Costituzionale, con la sentenza n.10 del 2024, ha fatto proprio questo ancora una volta, andando a colmare i vuoti di una politica che fabbrica più tweet che non leggi e proposte a lungo termine.

Riprendendo il testo della sentenza, la Corte Costituzionale “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa, nei termini di cui in motivazione, a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie. “ 

Traducendo questa disposizione dichiarativa della Corte, l’art 18 dell’ordinamento penitenziario è incostituzionale, e quindi non ha più effetti ex lege. Al di fuori di casistiche di reato particolari descritte nella stessa sentenza, in particolare chi è sotto il regime del 41-bis, sotto sorveglianza particolare e i regimi detentivi speciali, tutti i detenuti hanno diritto ad avere momenti di affettività con il loro coniuge all’interno del carcere indecentemente dal tipo di legame legale tra di loro (matrimonio, convivenza o unione civile). 

Dove non c’è la tutela c’è la violenza mascherata da sicurezza

  • 2004. Ad Asti i detenuti Andrea Cirino e Renne Claudio subiscono una vera e propria violenza all’interno del carcere di Asti che passerà alla cronaca che per i “fatti di asti”. Questo ciò che dichiara la sentenza della CEDU sul caso:

Il detenuto R.C. veniva spogliato completamente e condotto in una cella della sezione “isolamento”, priva di vetri alle finestre, di materasso per il letto, di lavandino e di sedie o sgabelli. Veniva lasciato in queste condizioni per circa due mesi – i primi due giorni completamente nudo – razionandogli il cibo e fornendogli unicamente pane e acqua; durante questo periodo il detenuto veniva picchiato ripetutamente e anche più volte al giorno, con calci, pugni e schiaffi in tutto il corpo, fino a cagionargli lesioni personali, tra cui la frattura dell’ottava costa sinistra ed ecchimosi diffuse in sede toracico-addominali.

  • 2009. Il caso Cucchi. La corte di cassazione con la sentenza del 4 aprile 2022 ha chiuso il caso, accertando definitivamente le responsabilità dei due uomini condannati per aver ucciso tramite percosse Stefano Cucchi. Una storia che non necessità di ulteriori parole, se non di una presa di posizione di quella politica che ha inveito nei confronti suoi, della famiglia e in difesa delle forze dell’ordine.
  • 2014. Rachid Assarag denuncia di essere stato percosso più volte nel corso della sua carcerazione e ha provato ciò registrando le conversazioni con il personale della struttura carceraria di Parma. Qui riportiamo un dialogo tra Rachid e un agente:

R: Voglio chiedere una cosa: ti ricordi di mio? / A: Io mi ricordo di te? / R: Come no? / A: Ci siamo già visti? / R: Come no…ricordi…guarda… / A: Fuori? / R:  No, no, qua…qua… / A: Non mi ricordo… / R: Non mi hai mai visto di qua? Quel brigadiere, quello calvo… / A: Tu dici picchiato? / R: Sì… / A: Eh, ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se ci sei in mezzo anche tu!

  • 2020. A Santa Maria Capua Vetere avviene un pestaggio di stato, per la coniazione data dal giornalista del Domani Nello Trocchia. Il 6 aprile del 2020 in risposta alle richieste dei detenuti durante la prima ondata di pandemia Sars-Cov2 283 agenti della polizia penitenziaria, preparati da capo a piedi, entrano nel reparto Nilo del carcere. Prendono a calci, pugni, schiaffi i detenuti in modo indiscriminato di quell’ala. Vengono rasati a forza anche alcuni di loro e tutto questo avviene per ore intere, completamente documentate dalle telecamere di sicurezza.
  • 2023. Nel carcere di Reggio Emilia un detenuto viene trascinato fuori di forza dalla sua cella. Viene messo a terra, colpito al volto, calpestato con gli scarponi di ordinanza. Sollevato costantemente di peso, denudato dalla cintola in giù. Rimarrà in queste condizioni in una cella diversa per un’ora e nonostante le ferite riportate ha lasciato lì a soffrire le pene dell’inferno. O del carcere, in questo caso.

E questi sono solo alcuni dei casi che hanno spezzato il silenzio e sono emersi dalla cronaca. Ma quanti altri sono tuttora nel silenzio, senza alcuna copertura mediatica. Non bisogna pensare che questi siano casi singoli. Un’istituzione del genere, come il carcere, crea e svolge una funzione di violenza per le dinamiche e logiche al suo interno. La violenza trova spazio in un contesto dove solo il più forte sopravvive, dove per tutelare questa violenza se ne usa altrettanta, camuffata per istituzionale e con una finalità spacciata per sicurezza. Sicurezza che porta a morire o avere segni per tutta la vita.

Proposte possibili per realizzare l’impossibile

Il carcere è risolvibile. Per migliorare l’ossatura della nostra struttura detentiva la politica deve impegnarsi su vari fronti, che sono già esistenti nel nostro sistema normativo o che devono essere migliorati.

Rispetto ai sistemi già vigenti, il Parlamento potrebbe estendere i casi di pena che finiscono nella semidetenzione, già stabilita in Italia dalla legge 689/1981. Secondo Antigone la legge n. 689 del 1981 è stata negli anni applicata decisamente poco, sicuramente anche per il fatto che il limite dei due anni coincide con quello della sospensione condizionale. Dobbiamo a questo limitatissimo impiego l’esigenza sentita dal legislatore di ritornare sull’argomento all’interno della cosiddetta ‘riforma Cartabia’, che ha introdotto nuove sanzioni sostitutive e ha allargato le possibilità del loro utilizzo. 

Al di fuori del nostro paese un altro mezzo particolarmente usato negli altri ordinamenti è l’uso della pena a casa; basti pensare al fenomeno delle house probation che in Italia sarebbe possibile applicare se fosse attuata la legge 67/2014. La legge in questione qualificava come sanzione principale la fase detentiva a casa per quei casi di pena non superiori ai tre anni e, se voluto dal giudice, anche per pene superiori a 5 anni.

Se si vuole credere ad una giustizia garantista, che mette al centro il condannato e non la condanna, ulteriori misure da aggiungere e che il Parlamento avrebbe la possibilità di legiferare: prima fra tutte eliminare l’ipotesi di andare in carcere prima del giudizio in primo grado. Attualmente un terzo dei detenuti e detenute è in carcere in attesa di giudizio nonostante la Commissione ministeriale presieduta da Francesco Carlo Palazzo, sotto i ministri della giustizia Cancellieri-Orlando, avesse modellato l’uso di “dimore sociali”: luoghi in cui poter eseguire la misura cautelare personale o la detenzione domiciliare nei confronti di chi un domicilio non ce l’ha.

Si torna sempre purtroppo lì: la politica ha i mezzi per poter risolvere i problemi. Ha la volontà di farlo? Non serve citare Voltaire, Dostoevskij o Angela Davis e via discorrendo quando si discute sul carcere. Va attuato un pensiero di umanità intrinseco in ognuno di noi. Sempre se ci sia ancora.

Autore

17 gennaio 2004 come data fatidica, e da quel momento sono immerso nei libri, nei paesaggi di Sezze e nelle canzoni di Kendrick Lamar. Napoletano di fede e di sangue, ricomincio pure io da tre cose: ascoltare, guardare e parlare, o su questa pagina, scrivere.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi