Maurizio Cattelan, oggi uno degli esponenti più importanti dell’arte contemporanea mondiale (nonché l’artista italiano più quotato sul mercato), è conosciuto ed apprezzato per le sue opere concettuali e talvolta provocatorie, le quali lo portano spesso ad essere oggetto di critiche e censure. Nei casi peggiori qualcuno arriva addirittura a mangiare le sue opere, giustificandosi come protagonista di una performance artistica.
Cattelan è colui che colpì Papa Wojtyla con un meteorite, o che rappresentò Hitler come un bravo scolaretto in ginocchio intento nella preghiera. È colui che mozzò quattro delle cinque dita di una colossale mano di marmo aperta nel saluto fascista davanti la Borsa di Milano (superstite solo il dito medio, ovviamente) e colui che attaccò una banana al muro con del nastro telato, mettendo a repentaglio la virilità di molti uomini. Per non dimenticarci di quella volta che, sempre con il nastro telato, appese al muro il gallerista che lo ospitava, facendolo diventare un’opera d’arte.
In realtà una delle sue prime e sovversive provocazioni si basava sull’assenza: era una non-opera.
La sua prima non–mostra personale
Nel 1989 il gallerista Gino Gianuizzi lo invitò a tenere, negli spazi della galleria Neon di Bologna, la sua prima personale. Paralizzato dall’ansia da prestazione, vinse in lui un sentimento che lo rese incapace di realizzare delle opere per l’occasione. Così non espose niente, vietando alle persone di entrare. Come? Semplice: appese alla porta d’entrata un cartello con la scritta “TORNO SUBITO”, come fosse andato a cercare chissà dove una qualche ispirazione. Questo suo rifiuto di esporre al pubblico ha determinato l’inizio della sua carriera d’artista.
I furti
Il 22 Marzo del 1991, come riportato sul rapporto della Polizia, Cattelan si recò alla questura di Forlì per denunciare il furto di una sua opera dal titolo Invisibile. E in effetti l’opera rubata era veramente tale, cioè non esisteva.
Stando alla testimonianza dell’artista, la sera prima aveva parcheggiato l’auto della fidanzata alle 20:30 senza chiuderla a chiave, favorendo così un eventuale ladrocinio. All’interno custodiva – si fa per dire – l’opera in questione, la quale il mattino seguente non venne più ritrovata. Fiero di aver ottenuto il documento della denuncia, espose lo stesso alla collettiva Briefing nella Galleria Inga-Pin di Milano: una combo di performance e ready made.
Nel 1996 volle bissare l’esperienza del furto. Per la collettiva Crap Shoot alla De Appel di Amsterdam, Cattelan espose un insieme di opere rubate e imballate con il titolo Another fucking ready made. La sera prima, infatti, molto probabilmente con l’aiuto di qualche complice, si era introdotto furtivamente nella Bloom Gallery rubando tutta la collezione, computer, documenti ed effetti personali.
La mattina seguente, quando le due proprietarie della galleria, Diana Stigter e Annet Gelink, vi entrarono, quello che trovarono davanti ai loro occhi era il nulla. O meglio, qualcosa trovarono. Appeso ad un muro c’era un fogliettino con scritto “Crap Shoot”. Subito le due si resero conto di far parte di un’azione sovversiva di uno dei partecipanti alla mostra, ma non la presero bene e chiamarono immediatamente la Polizia. Sia i curatori della mostra che Cattelan dovettero dare spiegazioni alle forze dell’ordine e convincere le galleriste a considerare quel gesto una performance artistica: ci fu un lieto fine.
Strategie di evasione
Perciò, uno dei concetti che caratterizza l’arte di Cattelan è l’assenza, che lo stimola ad escogitare escamotage rivoluzionari per non presenziare le mostre di cui è ospite.
Per la collettiva Una domenica a Rivara del ‘92, nell’omonimo Castello torinese, volle esplicitare tale concetto esponendo un’opera che consisteva in una lunga fune composta da una serie di lenzuola bianche annodate fra loro, che fece calare da una delle finestre dell’area espositiva. Questa rappresentava una fuga, e il suo fuggire era un modo di partecipare attraverso l’assenza, un modo di riconoscere la sua “difficoltà a comprendere le regole del gioco”.
Regole che volle infrangere non partecipando ad una delle competizioni artistiche più ambite del contemporaneo: la Biennale di Venezia. Vi era già stato due volte precedentemente regalando, la prima volta, lo spazio espositivo ad un’agenzia pubblicitaria che lo sfruttò per scopi commerciali, la seconda volta portando all’interno della Biennale uno dei simboli più importanti di Venezia: i piccioni (imbalsamati) di piazza San Marco e le loro feci.
Al suo terzo appuntamento, nel 2001, non si presentò, o meglio, lo fece sbagliando indirizzo: fece costruire la famosa scritta Hollywood delle colline losangeliane, scala 1:1, sulla collina di Bellolampo, nella Conca d’Oro di Palermo, sopra una discarica. Convinse successivamente un mecenate ad affittare un aereo per portare critici, galleristi e collezionisti a fare una breve gita fuori porta, con tanto di aperitivo a buffet.
Non è come sembra
Ma l’apoteosi dell’assenteismo cattelaniano è personificata da Massimiliano Gioni, colui che sostituisce l’artista in pubblico e durante le interviste, rispondendo per lui e rilasciando dichiarazioni che ritiene più opportune, talvolta tenendo incontri e lezioni all’Università. Così Cattelan riesce ad eludere le formalità che potrebbero compromettere il suo status symbol d’artista, nonché il proprio lavoro, in un’epoca in cui ha credito solo chi ci mette la faccia.
Autore
Nato lo stesso giorno di Stanley Kubrick, è del Leone e non lo nasconde. Da grande vuole fare il regista e farsi crescere i capelli; è più vicino alla seconda. C'è un giro illecito di scommesse che divide in due la sua cerchia di amici: riuscirà mai a laurearsi?