Il caso di Yayoi Kusama: l’artista giapponese che ha aperto le strade alla presenza femminile nel mondo dell’arte contemporanea

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Monumentali zucche gialle puntinate di nero, cromie vivaci e miriadi di pois sono i caratteri essenziali dell’opera di Yayoi Kusama. Kusama, che dagli anni Settanta produce costantemente variazioni della sua caratteristica arte a pois, è una delle artiste più famose al mondo grazie alla popolarità duratura delle sue Infinity Rooms. Il 1 gennaio 2023 è stata lanciata una sua importante collaborazione con il brand Louis Vuitton.

La collaborazione di Kusama con Louis Vuitton non è stata la prima della maison – l’allora direttore creativo Marc Jacobs invitò altri artisti di spicco come Richard Prince e Takashi Murakami a dare un tocco personale ai modelli, anticipando i pezzi da collezione di oggi – ma è stata e forse è tuttora la più grande linea di moda che abbia mai portato il nome della solitaria artista giapponese.

Chi è Yayoi Kusama?

Cresciuta a Matsumoto nella provincia del Giappone rurale in una benestante famiglia degli anni ’30, Yayoi Kusama venne fin dalla sua infanzia additata come una ragazzina stravagante ed isterica. In particolare, emerge dai racconti che l’artista ha rilasciato negli anni, che il padre era una figura soffocante ed oppressiva, tanto quanto lo erano le prospettive per una giovane creativa, che ha usato fin da bambina l’arte come meccanismo di difesa e per esorcizzare le sue paure e le sue ossessioni, in un mondo che ancora non aveva gli strumenti per comprendere ed accogliere il suo talento.

La realtà è che ebbe un’infanzia piena di traumi complessi: l’artista racconta, ad esempio, che la madre, folle e sadica, la obbligava a spiare il padre mentre faceva sesso con la sua amante. Ben presto la sua salute mentale comincia a sgretolarsi: allucinazioni visive e uditive la tormentano mentre studia pittura a Kyoto. La sua fragilità è enorme, ha poco più di vent’anni e cerca delle anime affini a lei. In questa occasione avviene il carteggio con Giorgia O’ Keeffe, affermata pittrice statunitense, sotto forma di corrispondenza epistolare. Il loro incontro fu determinante per la decisione di lasciare il Giappone.

Ritratto della famiglia Kusama

Partita da sola, senza nessuna conoscenza o connessione, la giovane artista si ritrova nello sconfinato e, forse, idealizzato, paese dove “succede davvero qualcosa”. Inseguire il sogno negli Stati Uniti, in effetti, le riesce abbastanza bene e viene notata molto presto per le sue intuizioni pionieristiche diventando già famosa nel giugno del 1962. Infatti, durante la prima mostra della pop-art alla Green Gallery, viene notata per l’opera Accumulation No. 1. Lei è l’unica artista donna nella sala.

Andy Warhol addirittura la copia, senza riconoscerle mai il credito per alcune delle sue importanti intuizioni, tanto da far cadere l’artista in un vortice di paranoia.

Andy Warhol venne alla mostra e disse: «Fantastico, Yayoi! Mi piace moltissimo». Ne fu influenzato e in seguito fece una mostra. Coprì i muri con l’immagine di una mucca. Quando la vidi, mi sorpresi. Andy mi aveva copiato e fatto una mostra.

Yayoi Kusama, citazione da Kusama – Infinity, documentario diretto da Heather Lenz, 2019

Il particolarissimo ecosistema artistico di New York era, in effetti, solo in apparenza più progressista della sua terra di origine; ancora troppo oppressivo, ancora troppo sessista, ancora troppo razzista.

Yayoi Kusama, Infinity Mirror Room—Phalli’s Field, 1965

Quello di Yayoi Kusama è, in effetti, un caso interessante perché ci parla molto chiaramente dello stato dell’arte contemporanea e del destino degli artisti che provengono da comunità marginalizzate. Ha vissuto ancora prima che si iniziasse a parlare abitualmente di argomenti che oggi stanno interessando la nuova generazione degli artisti, ad esempio la rappresentazione femminile nell’arte, il femminismo intersezionale e i nuovi approcci riguardo la salute mentale. Da artista sperimentale poco riconosciuta, oggi Yayoi Kusama è popolare, riconoscibile, decisamente pop.

La prima tra le grandi ossessioni che la resero un’artista davvero visionaria, ci fu quella per la vastità dello spazio. L’artista, infatti, in molte interviste ricorda degli stati di coscienza alterati e allucinatori, avuti molto spesso da bambina, mentre camminava per le campagne di Matsumoto.

«Il pois ha la forma del sole, che è un simbolo dell’energia di tutto il mondo e della nostra vita, e anche la forma della luna, che è calma. (…) I pois sono una via verso l’infinito».

Non a caso, quindi l’idea del riempimento ossessivo dello spazio tramite l’uso del pattern ripetuto ha dato vita ad un vero e proprio marchio di fabbrica, in maniera sempre differente, nel corso della sua carriera, grazie all’utilizzo di vari materiali e supporti come sculture, oggetti, interi ambienti, pareti o tele. Una realizzazione originale di un processo mentale, se vogliamo patologico, che si trasforma in arte.

Yayoi Kusama, Aftermath of Obliteration of Eternity, 2009

Quando un giorno tentò il suicidio durante una delle sue crisi, un uomo in bicicletta che era lì per caso, urtandola, le impedì di sbattere la testa sul cemento. Yayoi interpretò la cosa come un segno e trovò la forza per chiedere finalmente aiuto, nella speranza che le sue ossessioni la lasciassero finalmente in pace. Tentò vari ricoveri psichiatrici e terapie farmacologiche, durante le quali non smise mai di produrre arte, soprattutto in virtù del fatto che quello, per lei, era una vera e propria terapia. Nonostante quegli anni di atroci sofferenze, non perse mai il gusto per la provocazione, l’intelligenza e l’ironia.

Per tracciare il ritratto di questa donna davvero fuori dall’ordinario, è sufficente raccontare un episodio avvenuto durante la Biennale di Venezia del 1966. Ordinò migliaia di sfere specchiate da vendere al pubblico, sulle quali era scritto: “Potete comprare il vostro narcisismo a due euro al pezzo”.

Nella stessa occasione fu anche cacciata dalla sala espositiva e quando tentarono di mandarla via, lei, indispettita, si tolse il kimono e si mise a rotolare per terra completamente nuda. La reazione di Kusama fece scandalo in quello che sarebbe dovuto essere un ambiente libero e sicuro. Erano gli anni ’60, gli stessi anni dell’amore libero, degli hippies e del flower power, e la lotta per una liberalizzazione del corpo e della sessualità stava iniziando la sua ondata di cambiamento che avrebbe investito tutto il mondo.

 Possiamo dire che la storia di Yayoi Kusama è interessante per noi, oggi, soprattutto perché non abbiamo ancora raggiunto a pieno la consapevolezza su quanta difficoltà ci sia per una persona non bianca, per di più donna, di diventare celebre nel mondo dell’arte, a distanza di quasi sessant’anni. E possiamo chiederci se, ad oggi, la situazione è cambiata. In che modo integrare le lotte del femminismo intersezionale con il problema della rappresentazione delle donne nel mondo dell’arte?

Autore

Roma, Classe '97, i miei genitori si sono sposati davanti all'Estasi di Santa Teresa del Bernini. Ho il viso tondo di mia nonna, gli occhi stropicciati e, per ora, qualche forma di estasi l'ho provata grazie all'arte. Dico sempre di credere in Dio, a patto che mi spieghi un paio di cose. Attualmente studio "Letteratura Musica e Spettacolo" alla Sapienza, collaboro come autrice presso "L'incendiario - rivista di letteratura" e vorrei scrivere il romanzo della mia vita.

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