Il 20 aprile 2023 è uscito nelle sale italiane Il sol dell’avvenire, il nuovo film di Nanni Moretti, tornato dopo Tre Piani. È un’opera che parla di Giovanni-regista e di Giovanni-uomo, marito, padre. Soprattutto, è l’opera di un personaggio che non si è smentito, sfruttando con quell’immancabile e familiare dose di ironia la propria esperienza privata e professionale per trattare le indigestioni esistenziali della nostra epoca e rappresentare le endemiche difficoltà delle relazioni interpersonali.
Le aspettative erano altissime e non tutte sono state soddisfatte: i critici non hanno tardato a scriverne, alcuni compiaciuti di un Moretti radioso e dell’ennesimo capolavoro che sembra l’apogeo di una carriera, altri condannando il film di essere un crepuscolo, politico e sociale, di un paese che ormai, così come è messo in scena, non ha più niente di interessante da dire.
Una storia d’amore e di politica
“Questo è un film che parla di politica.” “No, questo è prima di tutto un film d’amore!”, ribatte l’attrice a Giovanni. I due protagonisti del meta-film interpretano il segretario di un circolo romano del PCI e redattore dell’Unità, Ennio (Silvio Orlando), e sua moglie Vera (Barbora Bobuľová).
Il sol dell’avvenire si articola su tre livelli: la narrazione principale è la storia privata e familiare del regista Giovanni (Nanni Moretti), sposato con Paola (Margherita Buy), che si intreccia con la sua professione: in un periodo di infelice incastro con il mercato cinematografico, sta girando una pellicola sulla reazione di una sezione locale del Partito Comunista Italiano alla rivoluzione ungherese, analizzando l’intervento armato sovietico del 1956. Un secondo filone è la storia della difficile posizione politica del PCI in un momento di svolta della storia del comunismo e del difficile rapporto in Italia, risolto soltanto nella finzione, tra base e vertice. Infine, una narrazione parallela ha per protagonisti una giovane coppia e Giovanni, che si intromette continuamente tra i due dettando battute una volta a lei, una volta a lui, per creare la comunicazione sentimentale autentica e sana in cui il nostro personaggio in mezzo secolo di vita coniugale non è mai riuscito. Giovanni, che all’inizio del film annuncia che avrebbe voluto parlare di due che si amano e che restano insieme per quarant’anni sullo sfondo di un repertorio di canzoni italiane, sembra proprio esserci riuscito. Luigi Tenco, Fabrizio De André, Franco Battiato fanno da sottofondo a manie, nevrosi, piccole ossessioni, conflitti con e della contemporaneità.
Da Michele a Giovanni: un personaggio in divenire
In una serie di commedie umoristiche usate per fare discorsi serissimi sull’uomo e sulla vita, le nevrosi di Giovanni non sono proprio le stesse di quelle di Michele (nome del protagonista di Ecce Bombo e Bianca); e allora viene da chiedersi cosa è cambiato in Nanni-attore e in Nanni-regista da Palombella rossa a Il sol dell’avvenire.
Una cosa è certa, il gioco di rimandi e l’autocitazionismo che pervadono l’ultimo film ci dicono che sicuramente Nanni Moretti è sempre Nanni Moretti: i suoi bruschi rifiuti, quella sua ossessione per le scarpe, la piscina olimpionica come luogo semiotico, l’insofferenza per un tipo di cinema moderno, la consapevolezza del disagio psicologico (lieve, ma sufficiente a fargli assumere sonniferi e antidepressivi), il dialogo con sé stesso, tra un atteggiamento narcisistico ed uno socializzante che è anche sostanza drammaturgica, che mette gruppo attoriale e pubblico insieme fuori campo. Tuttavia, l’autobiografismo dichiarato, che si fonde all’inevitabile finzione filmica, fa del protagonista di tutta la sua produzione un personaggio sempre in divenire. Se appaiono caratterizzanti e topici i tratti della sua personalità, da Michele a Giovanni, l’interprete è tutt’altro che statico. Il regista ha segnato svolte decisive nel suo cinema e un’evoluzione accuratamente misurabile nella storia del suo personaggio “letterario” o “poetico”.
Innanzitutto, la crisi e le contraddizioni del PCI, l’istanza incontrovertibile di voler dire cosa significa essere comunisti, sentirsi membri di partito, investiti di una missione e di una responsabilità irriducibile alla sola ideologia o alla sola militanza; che oggi potrebbe essere lo stesso dell’essere attivisti. In Palombella rossa e in Sogni d’oro prevaleva la crisi, ma Moretti l’ha risolta ne Il sol dell’avvenire con un what if salvifico e di un significato profondo: il comunismo agognato dal popolo italiano non è stata la dittatura di Stalin o la supremazia militare russa, ma un sogno di liberazione. E la scena finale è forse il simbolo di una filmografia di resistenza.
Un secondo elemento è sicuramente l’angoscia per il ricordo dell’infanzia, l’unico in cui Michele si rifugiava e per la cui perdita sembrava condannato all’infelicità: “Io non lo voglio superare il complesso di Edipo!”, gridava. Da qui il legame morboso e ambiguo con la figura materna e l’evasione nostalgica. In La messa è finita, però, la madre di Michele-Don Giulio si suicida, cambiando per sempre le carte in tavola e catalizzando il mutamento psicologico del protagonista. Così, ne Il sol dell’avvenire, senza contare tutte le pellicole intermedie, l’infanzia non è più un dato di sublimazione nell’esperienza di Giovanni e le sue emozioni non sono più orientate ai ricordi da bambino. Questo significa che Michele-Nanni ha vinto le forze che lo trascinavano indietro e ha maturato una consapevolezza nuova, di cui tutto il film in questione è il punto culminante.
Per quanto riguarda la materia erotico-sentimentale, che ha sempre costituito un problema fondante nella vita del protagonista, anche questa è cambiata moltissimo: in Ecce bombo l’aspirazione all’assoluto, la paura del decentramento che l’amore di coppia comporta per l’egoità infantile, e in Bianca la coazione dell’infelicità, lo portavano a sabotare o a rifiutare con folle manierismo la relazione. Da Caro diario, momento in cui prova ad occuparsi di politica ma è felicemente distratto dalla nascita del figlio, a Il sol dell’avvenire, quando Giovanni basa il suo baricentro privato e professionale anche sul supporto di Paola, Nanni ha pacificato il complesso con quel tipo di alterità. Il malessere che in Bianca tocca le vette della patologia, Giovanni lo smussa con il compromesso che deve al suo team e a sua moglie. Così la scena finale vede il regista scendere dal piedistallo e far scendere gli altri da quel filo sospeso su cui era solito collocarli, chiedendo, banalmente, un loro contributo al copione.
In seguito alle svolte psichiche, è anche la tecnica e la struttura cinematografica a cambiare, ormai verso una più ampia libertà narrativa che segue non più solo il tempo dell’azione, ma anche gli spazi.
A proposito degli altri personaggi, anche loro sono connotati ormai diversamente: non più nel limbo di un’incoerenza esistenziale, ma decisi e concisi anche quando magari non vorremmo; e l’attore di Emilio non è più destinato al suicidio, una fuga esistenziale che era per Nanni Moretti un metodo ora sconfessato.
Giovanni-Nanni affronta la realtà in maniera meno schematica ed è dotato di una tenerezza, di una dolcezza sconosciute a Michele Apicella
Mariella Cruciani, Il cinema di Moretti
Un cinema etico
Affezionarsi e lasciarsi affascinare dalla follia quasi tenera del protagonista è facile, forse perché è sorprendentemente altrettanto facile comprendere le sfaccettature del genio morettiano: il critico Paolo Valmanara ha definito Nanni Moretti sul quotidiano “il popolo” poeta e cronista, intelligente e sottile, affettuoso e disincantato, ironico e malinconico del disagio dei giovani. Così come è stato associato a Samuel Beckett per istrionismo, umorismo e teatralità, non è fuori luogo pensare all’ultima opera morettiana come all’ennesimo tentativo di far parlare non solo un uomo o un vecchio e decrepito partito, ma intere generazioni che hanno trovato e trovano ancora oggi in questi film un modo per sentirsi rappresentati in manie, speranze di rivoluzione e attivismo viscerale.
Infine, con quel what if storico, in una contemporaneità ancora in lotta contro disumanità e fascismo, tra attivismo, sfiducia politica e campanellismo, Nanni ha avuto ancora qualcosa da dire, a volte troppo nostalgico e retroattivo, ma ha avuto ancora qualcosa da dire. Riconosciamo, in quell’armonizzare pubblico e privato, la tensione morale del regista che fa del suo cinema un cinema etico.
Autore
Laureata in Lettere, studio Filologia Moderna a Padova. Con la passione del viaggio e dei pellegrinaggi, mi addentro tra lingua, storia, cultura e paesaggio. Saggistica, cinema e arti visive. "Il femminismo è stato la mia festa".