Tra egocentrismo e maschere: intervista a Mezzosangue

0% Complete

È appena partito l’atteso tour del rapper romano Mezzosangue. È uno show diverso dal solito, ma soprattutto fortemente umano e introspettivo. Si tratta della prima occasione per l’artista di presentare l’album SETE: un’opera magistrale in cui la società liquida di Baumann e lo stato interiore dell’individuo sono perni fondamentali.

Lo scorso 14 aprile, inoltre, Mezzosangue ha pubblicato il videoclip del brano Dopo l’aurora diretto da Simone Mastronardi. Il video mostra la capacità degli opposti di creare legame e costruire nascita, morte, resurrezione e, dunque, luce.

L’ego e il narcisismo sono due componenti presenti in SETE. Sei stato narcisista?

«Penso che ogni artista sia narcisista».

Sì, ma ci sono due lati del narcisismo: quello positivo e quello negativo.

«Esatto. Io sto cercando di affrontare quello positivo».

Cosa terresti del tuo ego per renderlo costruttivo?

«La maschera è ciò che ho tenuto del mio ego per renderlo positivo. Tiene via il lato narcisistico di Luca». 

Quando si arriva a voler tenere aperta la porta positiva del proprio ego o narcisismo è anche perché il narcisismo in passato ci ha fatto fare qualche cazzata.

«Ho sempre avuto la mente che trascendeva dalla persona. Poi penso che l’esser riconosciuti anche un minimo da fuori sia una “botta” che arrivi a pesare su chiunque la viva. Il percorso successivo è stato ridimensionare quella parte, anche e soprattutto grazie la maschera».

Cosa ti ha spinto a ridimensionarti?

«Ci sono state due ragioni: una a livello personale e una a livello artistico. A volte, trovare il linguaggio giusto diventa una ricerca forzata e lì bisogna fare il contrario per ridimensionare quell’ego. Diventa ego anche il solo fatto di non voler essere narcisista e, dunque, di esagerare nel linguaggio e nell’assenza. Più di andare ad esagerare quello che gli altri si aspettano da me, riporto me all’interno». 

Quindi hai ridimensionato l’ego di Mezzosangue e non il tuo.

«Sì, forse mi è successo l’opposto di quello che succede agli altri artisti. Era cresciuto troppo Mezzosangue e poco Luca a livello egoico».

Un giorno toglierai mai la maschera?

«Dovrò esserne proprio pronto. Dovrà essere un compimento del percorso».

Ti senti a tuo agio con questa copertura?

«No, c’è un sacco di guerra».

Com’è iniziata questa relazione con la maschera?

«È iniziata a caso: avevo un passamontagna a casa e in quel periodo avevo una situazione personale disastrata. Partecipai a un contest che si faceva online, il Capitan Futuro. In quell’ambiente tutti parlavano di sé, e io ho fatto semplicemente il contrario. Volevo lasciar stare la mia apparenza per limitarmi a dire le mie parole. Sotto la maschera, infatti, c’è un’idea, non una persona». 

Questa questione dell’ignoto è un modo anche per bypassare il concetto di liquido affrontato nell’album?

«Sì, è una idealizzazione, ovvero l’ignoto esternalizza l’ideale dando il compito alla maschera di fare ciò che si ha dentro, perché magari una persona da sola non ci riesce».

In Amore o paura inviti a chiedersi se si agisce per amore o paura. Ti trovi ancora a chiederti se quello che fai è amore o paura?

«Sì, lo faccio, anche se è difficile riconoscerli mentre accade. Come il pensare che forse si tratta di amore, o forse soltanto di narcisismo o ego».

In SETE ho avvertito un po’ di pudore e al contempo di critica al pudore, il che lo rende un album delicato e dolce, anzi, dolcissimo. È un album positivo. È il progetto in cui più ti sei messo a nudo e se sì lo farai ancora di più?

«Non so se è quello in cui più mi sono messo a nudo, ma sicuramente c’è tanta carne dentro, tanto di “umano”. Sono un disastro è un attacco all’ego, a quello che ti aspetteresti dall’idealizzazione di qualcuno, in questo caso di Mezzosangue. C’è uno che mi ha scritto: “il disco mi è piaciuto molto ma mi ha fatto male sapere che sei guarito”. Dentro questo messaggio c’è tanta roba. È come dire: un artista mi rappresenta nella mia comfort zone con la depressione e se lui ne esce devo uscirne anche io, ma non sono pronto». 

Ti dà fastidio l’idea di essere idealizzato?

«No, per me no, mi dispiace per gli altri. Narcisisticamente uno punterebbe a essere Dio, infatti, il percorso artistico parte da quello: la divinizzazione ti dà una parvenza di quei riconoscimenti che non hai avuto e che vanno a risanare falsamente le fratture. Ma è solo riempire un bicchiere che ha un buco sotto».

Ce l’hai un idolo?

«Ho una guida più che un idolo. Kendrick Lamar per me è una guida. Ha fatto un disco in cui affronta la sua dipendenza dal sesso (Mr. Morale & The Big Steppers), si mette a nudo e dice cose umanamente pesanti, distruggendo l’idea che si ha di Kendrick. Riporta alla dimensione umana ciò che è l’artista e se riesce a perdonarsi lui, perché non posso farlo anche io?».

Ti stai perdonando o l’hai già fatto?

«Penso sia un percorso che dura molto».

Iniziare a farlo è già averlo fatto in qualche modo. Per cosa ti stai perdonando?

«Tante aspettative deluse che avevo su me stesso. Tante scelte». 

In Spagna anni fa vidi un quadro che riportava la frase “La palabra mata la cosa”.

«Ho i brividi. Sto scrivendo un testo che parla proprio della delusione dalle parole, di come io sia stato deluso dalle parole. Le parole in sé non contengono il contenuto, sono una scatola vuota in cui ognuno ci mette dentro ciò che ha. Parlando passi la scatola, non ho il contenuto. Puoi parlare di ciò che vuoi, ma se la persona non ha dentro quel linguaggio, allora la parola è vuota e quindi uccide quello che volevi dare».

Penso che le mie parole siano in grado di ammazzare molte cose e persone. E le tue?

«Credo che chi abbia un certo tipo di percorso (psicologico, umano) non puoi ucciderla. Una persona che non ha, ad esempio, paura dell’abbandono non reagisce a quelle parole. Se ho ucciso qualcosa è stato l’ego delle persone, la maschera delle persone».

E il tuo?

«Il mio è molto strano perché è sempre messo in secondo piano. Forse le mie parole continuano a ucciderlo continuamente, dato che si forma e si riforma».

Nei testi di SETE parli spesso della paura dell’abbandono. Ne parli perché l’hai vissuta in prima persona?

«Sono andato a vivere da solo quando mio padre scappò e abbandonò la famiglia. Ho dovuto reinventare tutto a 18 anni. Quell’abbandono, oggi, si ristabilisce anche in dinamiche emotive personali rischiando che il legame nasca in virtù di quella paura. Lo affronti la prima volta e rispondi con paura. Poi non ti accorgi di niente, continui, lo riaffronti, e a un certo punto – lo dico anche in Amore o paura (“Queste ragioni restano qui a fare da specchi”) – diventa uno specchio: o ti guardi o ci caschi sempre dentro. Gli altri non ti ucciderebbero sempre se non avessero l’opportunità di farlo, se non fossi tu debole».

Che poi avere la paura dell’abbandono non significa essere deboli. 

«È uccidersi da solo: la parola è una forma, il contenuto che ci metti tu è quello che ti auto uccide, è un suicidio».

Sì, ma si è anche più forti di quanto si crede avendo sempre la “forza” di ammazzarsi da soli. Per assurdo, le persone che noi riteniamo forti, non avrebbero mai le palle di ammazzarsi da soli.

«Esatto. C’è quella maschera enorme».

«Più in me il bisogno è di averne il possesso, più nulla poi m’appartiene». La tua scrittura è un modo per ingannare il possesso?

«La scrittura è uno specchio: mi fa notare cosa sto facendo. Quello che consiglio a tanti artisti è di provare a sentire ciò che scrivono come rivolto a sé più che agli altri».

Hai la sensazione che ci siano sempre più artisti che non fanno più musica per sé stessi, ma per le major e il pubblico?

«Sì. Io questo disco l’ho fatto proprio per evitare tutto ciò. C’è sempre il rischio di cadere nella ricerca ossessiva di accontentare il pubblico. Io con ‘sto disco l’ho distrutto il pubblico, sono andato contro di lui. Sono un disastro è un pezzo contro Mezzosangue e quindi contro il pubblico. La parola disastro significa essere senza stelle né una guida».

È appena uscito il videoclip di Dopo l’aurora. Risulta palese il legame fra gli opposti: qual era l’intento primario con quel gioco di legami?

«Quel perdono lì: accorgersi che gli opposti in realtà sono la stessa cosa e vivono nella stessa frequenza d’onda». 

Dici che è l’anima a tenere legati questi opposti. Come?

«Il percorso è sempre dell’anima e non dell’ego. In Amore o paura dico: “l’anima è in prestito, l’ego è una maschera per sublimare l’abbandono”».

SETE è un album fortemente empatico. L’immagine di una rinascita nel proprio stesso grembo, risvegliandosi con uno sguardo empatico come quello di una voce materna è rassicurante. Riesci ad esser fedele alle immagini positive e anche di buon auspicio presenti nel disco?

«Lo sto facendo, ma siccome non sono pronto ad essere fedele a queste cose, ci lavoro mentre evito di coinvolgere gli altri. Cerco di usare un approccio comunicativo positivo che sviluppi nella persona fiducia in sé: è così che gli altri tirano fuori il meglio. La paura ti porta a dire frasi come “questa cosa non va, è colpa tua”. L’amore, invece, interviene proprio dove cambia quest’approccio, dove muore la paura. Ora, infatti, sto facendo la dieta di parole: sto evitando tutte le parole negative». 

Sei appena partito con il tour. Cosa ci dici sullo spettacolo? Viene rappresentato il passaggio da Mezzosangue “nero” a Mezzosangue “bianco”?

«Sì. Lo spettacolo si svolge in tre atti con una visione totalmente sperimentale. Ci sono proiezioni, visual, corpo di ballo, eccetera. Il primo atto è “aria”, dove spicca l’odio, l’ego, la rabbia. Poi c’è “terra” con tutte le immagini del seme che marcisce e la nascita della pianta. Infine, si arriva al bianco. È un percorso quasi didascalico, prendendo passo per passo tutto ciò che è stato il mio percorso personale». 

Autore

Ho iniziato a scrivere per pensare ai fatti miei, ora scrivo solo di quelli degli altri. Di solito mi faccio descrivere dalla musica che più mi piace, per esempio: il mio album preferito ha una banana sullo sfondo.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi