Il futuro dell’energia, tra nuovi equilibri internazionali, fonti rinnovabili e nucleare

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In queste settimane l’attenzione dei mass media italiani è stata proiettata prima sul caro bollette, poi sui fatti in Ucraina, per ritornare – infine – sul caro bollette. Perché?

In due parole, il caro bollette sperimentato dagli italiani all’incirca un mese fa, è dovuto all’aumento del prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso; questo mercato è legato a quello del gas, e quest’ultimo – vedendo aumentata la sua produzione – ha dovuto provvedere all’acquisto di numerosi crediti di CO2, che sono passati da 33 a 79 euro a tonnellata. Ma prima di entrare nel cuore della questione è necessario fare un passo indietro.

Cosa sono i crediti CO2?

I crediti CO2 sono certificati negoziabili che equivalgono ad una tonnellata di CO2, non emessa o assorbita, grazie ad un progetto di tutela ambientale con lo scopo di ridurre o riassorbire le emissioni globali di CO2 e altri gas ad effetto serra. Questi certificati sono acquistati – principalmente – dalle aziende che emettono gas serra, e gli permettono di poter intervenire sul loro fabbisogno energetico accaparrandosi tonnellate di fonti di energia non rinnovabili come gli idrocarburi. La promessa, però, è quella di saldare il loro debito con progetti di tutela ambientale, di norma realizzati in paesi in via di sviluppo, con valenza di promozione sociale e di autosufficienza economica per le popolazioni locali.

Secondo i dati di Terna Driving Energy – la società che in Italia gestisce le rete elettrica – il fabbisogno annuale di energia elettrica in Italia è stato pari a 301,2 TWh nel 2020. La domanda di energia elettrica è stata soddisfatta dalla produzione nazionale per una quota pari all’89,3% (con un valore complessivo di 269 TWh). Il restante 10,7% del fabbisogno di elettricità è stato coperto dalle importazioni di energia dall’estero (da paesi come la Svizzera, la Francia, l’Austria, la Slovenia, la Russia, l’Algeria, la Libia, il Qatar), con l’immissione nella rete italiana di 32,2 TWh. Il fabbisogno energetico in Italia è coperto solo al 35% da energie rinnovabili, mentre il restante 65% è di origine fossile (carbone, petrolio e gas naturale).

Essendo la Russia il nostro maggior partner per quanto riguarda l’importazione di gas naturale, ed essendo essa coinvolta in questa “operazione militare” contro cui si è scagliata l’Unione Europea con pesanti sanzioni economiche, è lecito chiedersi se l’Italia possa o meno provvedere autonomamente o da altre fonti alla sua domanda di gas naturale/energia.

Quale soluzione ricercare per sopperire a questo deficit?

Il nostro consumo annuale di gas si attesta sui 70 miliardi di metri cubi suddivisi tra la generazione di energia elettrica (circa 40%) e l’utilizzo diretto per il riscaldamento e per i processi industriali.  La Russia ci fornisce per più del 40% del nostro fabbisogno e quindi possiamo pensare innanzitutto di eliminare nel breve periodo l’utilizzo del gas dalla produzione di energia elettrica nel modo più veloce possibile.

Secondo l’Avvocato dell’Atomo (pagina di informazione sul tema dell’energia, in particolare dell’energia nucleare, gestita da Luca Romano, laureato in Fisica Teorica), potremmo sopperire a tale deficitcon l’attivazione di 7 GW di centrali a carbone sul nostro territorio, arrivando a sostituire il 45% dell’energia elettrica prodotta dal gas in Italia. In aggiunta a ciò sarebbe possibile sfruttare al massimo tutti gli 8,4 GW di interconnessioni che abbiamo con Francia, Svizzera, Austria e Slovenia, in modo da sostituire un ulteriore 50-55% dell’energia elettrica prodotta dal gas naturale.

Questa è solo una prima “toppa” che potrebbe (e dovrebbe) essere messa all’enorme buco che si sta allargando inesorabilmente. I problemi che si legano a tali manovre sono legati alla disponibilità di carbone necessario al funzionamento dei nostri impianti e alla reale capacità di sostentamento dei paesi che dovrebbero fornirci 8,4 GW di potenza elettrica senza sosta. Le risposte a questi problemi dipendono da quali accordi internazionali sulle forniture (anche di carbone) l’Italia riuscirà a stipulare nelle prossime settimane.

La crisi energetica del 1973

In aggiunta si potrebbe pensare semplicemente di sostituire il nostro maggior partner nell’import del gas la Russia con altri paesi come Algeria, Azerbaijan e USA (con le navi che trasportano il gas liquefatto), facendo funzionare al massimo della capacità i rigassificatori (che sono impianti che permettono di riportare un fluido, che normalmente in natura si presenta sotto formati gas, dallo stato liquido a quello aeriforme).

Nel medio periodo si può pensare invece di incrementare la potenza della connessione elettrica con la Francia di 1-2 GW e di riprendere l’estrazione del gas dall’Adriatico. Quest’ultima potrebbe tranquillamente passare dagli attuali 3 miliardi di metri cubi annui ad 8-10 miliardi (15% del fabbisogno nazionale).

E le rinnovabili?

Innanzitutto è necessario velocizzare l’iter per incrementare notevolmente la potenza rinnovabile installata in Italia ogni anno. Però, se pur si raggiungesse tale obiettivo, aumentando di dieci volte la velocità di installazione di nuovi impianti, l’utilizzo delle rinnovabili coprirebbe parte della domanda energetica (30 TWh annuali) solo tra 4 anni.

Ciò perché sono necessari 7 GW di fotovoltaico per ottenere la stessa quantità annuale di energia di un 1 GW importato ininterrottamente dall’estero.

E quindi cosa fare? Per limitare e progressivamente ridurre la nostra dipendenza da un Paese dal futuro diplomatico instabile come la Russia, le linee da seguire solo quelle che percorrono la strada degli idrocarburi. Ciononostante, affinché si voglia anche solo minimamente pensare di poterci avvicinare al prospetto di decarbonizzazione stabilito negli Accordi di Parigi, è importante investire nelle rinnovabili. Ma tutto ciò non è sufficiente.

Le fonti d’energia rinnovabili da sole non ci garantiranno, né ora né mai, una indipendenza energetica dall’utilizzo del carbon-fossile. E tutto si gioca sul capacityfactor delle energie rinnovabili. In parole povere, il capacityfactor è il rapporto percentuale tra la potenza effettiva di una fonte energetica e la sua potenza nominale, o, in altre parole, la percentuale di energia che viene prodotta rispetto alla quantità massima producibile. Il capacityfactor del fotovoltaico è mediamente del 17% (stima al rialzo), del parco eolico oscilla tra il 20-40% (stima al rialzo).

Per quanto riguarda, invece, il capacity factor dell’energia nucleare, esso si attesta al 92%.

Quale strada scegliere per il futuro?

Nemmeno le centrali a combustibili fossili si avvicinano all’efficienza del nucleare: per via del fatto che il combustibile va sostituito spesso e che la manutenzione ordinaria richiesta è maggiore, il capacity factor di una centrale termoelettrica si aggira tra il 40 e il 60% (gli impianti più moderni arrivano al 70%).

Questo implica che, se si decide di smettere di produrre energia col nucleare, per ogni reattore che si spegne non basterà costruire una centrale a carbone o a gas di potenza equivalente.

Per arrivare a produrre la stessa energia di un singolo reattore nucleare non basterebbe nemmeno dotarsi di 40 chilometri quadrati di pannelli solari, o di 750 pale eoliche: servirebbe anche un ammontare spaventoso di accumulatori, per poter conservare l’energia prodotta nei giorni di sole e/o di vento e utilizzarla di notte e quando piove.

Peccato che produrre e smaltire accumulatori di tale potenza costi un sacco e inquini di più: le batterie richiedono quantità elevate di elementi ad alto impatto ambientale e/o umanitario, come il Litio, il Cobalto e le terre rare.

Le energie rinnovabili restano perfette per la produzione decentralizzata di quantità di energia medio-bassa ad uso e consumo di piccoli centri abitati o di abitazioni isolate; non possono, per i motivi di cui sopra, costituire la fonte primaria di approvvigionamento energetico di un paese industrializzato come l’Italia.

Quale sarà il futuro energetico dell’Italia (e del mondo intero)? La risposta sembra, a questo punto, banale.

Autore

Laureato a metà, giornalista a metà. Ad un mondo di incertezze preferisco il buon odore di lenzuola appena lavate.

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