Il coming out è un atto politico e un atto di autorappresentazione linguistica

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Prima di iniziare: spesso non si conosce la differenza tra coming out e outing. Il primo significa informare deliberatamente circa la propria identità sessuale (identità di genere e/o orientamento sessuale), il secondo, si usa nella forma passiva «mi è stato fatto outing», significa che terze persone rivelano informazioni sull’identità sessuale del soggetto interessato, che probabilmente non è ancora pronto o non vuole rivelare, ed è una forma di violenza.

Il coming out è un atto politico, lo abbiamo sentito tante volte. Ma cosa vuol dire e qual è il confine tra atto politico e libertà di autorappresentazione linguistica?

La società in cui ci troviamo tende spesso a invisibilizzare le persone non conformi, marginalizzarle, anche attraverso l’induzione alla percezione di essere minoranza, e non accettata in quanto tale, uscendo dagli schemi della normatività, tradizionalmente attribuita alla maggioranza. Varcare le mura di casa per dire «io esisto e non me ne vergogno» fa sì che il numero di persone LGBTQIA+ visibili aumenti e quindi diventi impossibile far finta che non esistano.

Il coming out è atto politico perché più persone dicono chi sono senza nascondersi, più questo si normalizzerà, più i confini del concetto di conforme e non conforme saranno fluidi e mobili. Chi lo sa davvero se stiamo parlando di maggioranza nel momento in cui quella che chiamiamo minoranza è tale perché non è visibile?

Il fatto che un coming out faccia ancora rumore è l’evidenza del fatto che sia necessario. Abbiamo bisogno di rappresentatività. Per questo chi ha visibilità ha ancora più responsabilità di fare coming out. Siamo la generazione delle persone deluse dopo il coming out di Tiziano Ferro. Poi, quando a 15 anni ci siamo accortз che ci piacevano persone del nostro stesso genere, abbiamo pensato di essere stranз, perché Tiziano non bastava per dirci che era okay amare, perché il suo coming out ha fatto scalpore e abbiamo pensato che lo avrebbe fatto anche il nostro. Lo stesso vale per Vladimir Luxuria, icona del movimento trans*. Avevamo bisogno di più esempi di persone non-cis e non-etero. Lз giovani di oggi, sono statз aiutatз dai social a poter conoscere le storie di persone e dar loro più libertà di essere se stessз.

Quando ho fatto coming out come uomo trans, la paura di mio padre era quella che io rimanessi da solo, sentimentalmente, era preoccupato per la discriminazione che avrei subito. Non sapevo come spiegare che il mondo è pieno di persone trans* che hanno relazioni sentimentali felici e tantз amicз, perché semplicemente lui non ne conosceva, non aveva dei modelli.

«Ma perchè devo definirmi per forza? A me viene l’ansia» è l’obiezione che mi è stata mossa quando parlavo del coming out come atto politico. Tralasciando che il coming out non è un tatuaggio sulla fronte, sentire la definizione come costrizione è violento e sbagliato. Il coming out arriva quando siamo prontз, nessunə dovrebbe farci sentire oppressз nel definirci, il coming out è una liberazione di poter essere noi stessз con il mondo. L’atto politico è un atto consapevole. L’identità sessuale è uno spettro e come tale può cambiare.

Nel costrutto di identità di genere alcunз psicologз inseriscono la componente dell’identità di orientamento sessuale, differente da quella di orientamento sessuale. Ovvero: quale definizione dò del mio orientamento sessuale e con quali implicazioni nelle interazioni sociali? L’identità di orientamento sessuale è la definizione di sé a partire dall’idea che l’individuo ha del proprio orientamento sessuale, dal giudizio che ne dà e dalla sua disponibilità a riconoscerlo e svelarlo a sé e allз altrз.

Tempo fa leggevo alcune preoccupazioni espresse da uno psicologo riguardo le nuove generazioni: «Con tutte queste parole rischiano di rimanere ingabbiate nel doversi definire», scriveva. Personalmente non credo ci sia gabbia nell’avere una mole di parole per potersi definire, anzi, vedo un’estrema libertà di movimento. Le parole non ingabbiano se la società le accoglie e più se ne usano, più la società imparerà ad accoglierle. Possiamo indossarle e cambiarle o non farlo, l’importante è averle, quelle parole. Il coming out non è «doversi definire per forza», è l’esercizio della libertà di poter essere qualcosa di diverso da ciò che crediamo sia la maggioranza. Chi ha parole per autorappresentarsi linguisticamente esiste. Fatele vostre e cambiatele se ne sentite il bisogno, ma usatele.

Uno dei miei termini preferiti offerti dalla comunità LGBTQIA+ è la parola “questioning”. Questioning rivendica la libertà di non definizione, e nello stesso tempo esce dal quadro normativo dell’eterocissessualità. Sdogana la necessità di dover sempre sapere ció che si è, permette di creare uno spazio di domanda e riflessione su se stessi e di dichiararlo, rendendolo legittimamente parte della vita di ognunə. Non siamo stranз se ci facciamo delle domande su di noi, strane sono le persone che non se ne fanno.

Francamente preferisco avere una cassetta piena di attrezzi, e poter scegliere di usare quelli che mi servono all’occorrenza, che non averne. O, peggio ancora, averne e non usarli temendo di non avere possibilità di cambiarli.

Secondo la teoria della spirale del silenzio di Noelle-Neumann se un gruppo di persone crede di avere un’opinione che giudica appartenente alla minoranza, tende a tacere. Il risultato è che probabilmente non scoprirà mai che quella opinione è diffusa, alimentando la spirale del silenzio. Possiamo prenderla in prestito per la nostra causa.

Infine, vorrei chiudere con un appunto sul coming out, che ho usato in riferimento alla comunità LGBTQIA+, ma trovo applicabile a qualsiasi aspetto, pratica, o avvenimento della vita nei confronti del quale temiamo il giudizio. Abbiamo bisogno di parlare delle cose di cui non si parla, di esistere nelle nostre differenze e normalizzare quello che crediamo sia fuori dalla norma.

Autore

Ho studiato psicologia e sociologia, sono stato bartender e non ho mai smesso di cercare di capire il mondo, a volte un Martini aiuta a credere di poterlo rendere un posto migliore! Vengo da una città di marinai, da lei ho imparato la curiosità di non fermarsi e il piacere di trovarsi.

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