FOMO: l’ansia di (non) vivere ha un nome

In una società overstimolante ed iperconnessa come quella attuale, un numero sempre maggiore di adolescenti sperimenta emozioni negative legate all’utilizzo dei social network, ma sono incapaci di riconoscere la genesi e contrastarle. La situazione, fortunatamente, è migliorata quando si è riusciti a dare un nome a questa sensazione disturbante, cioè FOMO: la “fear of missing out”.

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È una giornata come le altre e stai tornando dall’università col treno delle 19.07. Hai deciso di tornare a casa presto, anche se è giovedì, perché tra poco inizia la sessione e vuoi sfruttare la serata per riposare un po’, dopo due weekend di serate con gli amici. Senza rendertene conto, nonostante tu abbia gli occhi ancora rossi per avere passato otto ore davanti ad un computer, la tua mano tradisce la tua mente e ti ritrovi a cliccare sull’icona fucsia di Instagram, assecondando un meccanismo ormai semi-automatico che ti catapulta a gamba tesa nella vita degli altri: senza accorgertene, ti ritrovi a scorrere passivamente il feed in pieno stato di trance, bombardato da video e storie dei tuoi presunti amici, piacevolmente intenti a bersi insieme una birretta vicino all’aula studio dove anche tu solitamente ti trattieni, ma non oggi.

Inizi quindi a maturare un leggero senso di sconforto, pensando che magari saresti potuto rimanere ancora un po’, che si trasforma rapidamente in fastidio, che poi evolve invidia, fino a farti maturare nel petto una strana rabbia auto-colpevolizzante, che alla fine ti costringe a spengere il telefono per ficcarlo brutalmente in tasca, nel tentativo di dimenticare più in fretta possibile quelle maledette immagini. Abbandonati da tutto, torniamo al nostro “nulla cosmico”, più demoralizzati di prima.

Ma cos’è questa FOMO di cui tuttǝ parlano?

FOMO è l’acronimo di “Fear Of Missing Out”, che letteralmente significa “paura di rimanere esclusi”, ed è una delle preoccupazioni attualmente più diffuse (anche se meno conosciute) tra i giovani. Secondo una recente analisi condotta da MyLife, il 56% delle persone intervistate sperimenta emozioni negative al pensiero di non riuscire a partecipare ad eventi, momenti di collettività o esperienze piacevoli che generalmente coinvolgono persone conosciute.

Dal punto di vista scientifico, come analizza l’IPSCO, cioè l’istituto di psicologia e psicoterapia comportamentale e cognitiva, la FOMO sembra essere caratterizzata da due elementi principali e fortemente interconnessi, ovvero l’ansia relativa alla possibilità che gli altri possano avere esperienze gratificanti da cui si rimane esclusi, fortemente connessa ad una componente legata al desiderio di essere costantemente in contatto con le persone, principalmente attraverso i social network. Questi due fattori risultano essere visceralmente collegati da un rapporto causa-effetto ambivalente e sono alla base di manifestazioni comportamentali di tipo compulsivo o ripetitivo.

Di recente, la parola FOMO è rimbalzata ovunque su social e giornali, dopo che Victoria de Angelis, bassista della band Maneskin, ha deciso di condividere apertamente la sua esperienza a riguardo, rompendo quello che fino a quel momento era rimasto un tabù. Verrebbe spontaneo chiedersi: per quale motivo nessuno parla di FOMO? In realtà, più che da un vortice di stigmatizzazione, questa sindrome sembra essere avvolta da un condiviso atteggiamento di banalizzazione ed indifferenza che fin troppo spesso sembra caratterizzare i disturbi connessi alla sfera sociale, in particolar modo se i primi a soffrirne sono i “giovani”, sempre trattati in modo paternalistico, come se fossero una specie a rischio di estinzione.

Il contributo di de Angelis è stato indubbiamente più che illuminante in questo senso: raccontando un suo episodio personale, ha dato finalmente un nome a quel senso di frustrazione ed angoscia che affligge specialmente le nuove generazioni. Durante un’intervista a Radio Deejay, la bassista dice di avere una FOMO tremenda: si sente sempre in dovere di uscire e partecipare agli eventi, anche quando è fisicamente e psicologicamente stanchissima, per la paura di rimanere tagliata fuori.

Come si manifesta?

Secondo l’Istituto Europeo delle dipendenze, chi sperimenta la FOMO prova un bisogno compulsivo rimanere attivo sui social, con lo scopo di controllare ciò che stanno facendo le altre persone, comportando l’instaurarsi di stati di ansia, alterazione del sonno, stress, fino alla depressione. I sentimenti di impotenza, rabbia e frustrazione che derivano da questo continuo confronto con la vita degli altri sono sicuramente amplificati dall’utilizzo dei social network, ma non si esauriscono completamente in essi: quella che spesso viene definita, in maniera principalmente denigrante, “ossessione o dipendenza da social”, designa in realtà una condizione psicologica dalla genesi ben più complessa di quella comunemente descritta come “eccesso di utilizzo” di un device tecnologico di cui si è perso il controllo.

I trigger della FOMO

I fattori che concorrono a farci sentire tagliati fuori dalle varie situazioni sociali sono ovviamente molti ed attuano un effetto sinergico sulla nostra condizione psicofisica e mentale.

Per quanto possa sembrare paradossale, la FOMO scaturisce innanzi tutto dall’esigenza di assecondare delle prerogative basilari ed intrinseche alla natura umana.

Mi spiego meglio. Secondo Aristotele, ormai più di 2500 anni fa, l’essere umano era (e continua ad essere) un “animale sociale”, cioè un essere vivente peculiarmente caratterizzato da un continuo bisogno di confronto e rapporto con gli altri, senza il quale non riuscirebbe, in linea di massima, a realizzare pienamente se stessǝ. La continua ricerca dell’altro, all’origine della stessa FOMO, quindi nasce proprio da una necessità fisiologica, che però può subire delle alterazioni in relazione all’individuo e al contesto in cui viviamo, diventando fonte di ansia e di malessere psicofisico.

La società della performance

Secondo i filosofi di Tlon.it, attualmente viviamo in quella che è definita essere la “società della performance”, come spiegano nel loro omonimo libro. Con questa espressione si intende l’insieme dei fenomeni sociali che ci spingono ad essere continuamente performanti, cioè vincolati alla necessità di eseguire una produzione costante di sé. Ciò significa che ogni individuo è costantemente chiamato ad auto-costruirsi un’immagine pubblica, validata dalla relazione con gli altri, spesso inautentica e che risponda adeguatamente ai canoni imposti, tramite cui presentarsi ad ogni occasione sociale. Tale atteggiamento scaturisce dal fatto che viviamo in una società che ci valuta e ci giudica continuamente, facendo maturare in noi stessi la tossica esigenza di dover rispettare le aspettative, essere costantemente presenti, dimostrare le nostre capacità in maniera compulsiva, condividere migliore di noi stessi, senza sprecare tempo né occasioni: in una parola, essere degli abili performer. È così che le infinite possibilità che la vita ci offre si trasformano inconsapevolmente nella gabbia della nostra stessa ansia di non riuscire a viverla.

Tutti questi imperativi sociali agiscono in maniera sinergica, generando un profondo scarto tra ciò che si è veramente e ciò che ci si sente in dovere di (di)mostrare, e proprio questa dissonanza interiore è alla base di molti condizionamenti, minando in primo luogo la nostra autostima e la libertà di essere noi stessǝ, per poi indurci a maturare un senso insoddisfazione, di incompletezza ed un atteggiamento auto-colpevolizzante, alla base della FOMO.

Nasce, cresce con l’ansia di vivere, e corre (a disattivare le notifiche IG)

In quest’ottica, si comprende facilmente quanto il ruolo dei social possa risultare determinante nell’amplificare il nostro disagio sociale. Interessante il punto di vista dello scrittore Jonathan Bazzi, finalista del premio Strega 2020, che in una puntata del podcast di Domani, definisce la FOMO come un «termine ombrello che racchiude tanti pezzi della nostra esperienza con i social», attraverso cui siamo costantemente bombardati dalle vite e le cose degli altri. Questo sovraesposizione ci conduce inconsapevolmente ad effettuare un confronto che sarà sempre impari: noi, che siamo uno, contro gli altri, che possono essere dalle decine alle migliaia. La nostra vita viene messa su un piatto della bilancia sociale, mentre l’altro piatto è sempre occupato da qualcosa più grande di noi, che rappresenta la somma di tutti i progetti ed i successi delle persone che seguiamo sui social.

A lungo andare questo genera, anche se è difficile ammetterlo, un climax di sentimenti spiacevoli: invidia, aggressività, sismi nell’autostima ed un forte senso di impotenza rispetto al conglomerato di successi, feste, attività, viaggio e progetto altrui, che vediamo scorrere passivamente davanti ai nostri occhi durante la giornata, facendo lentamente insinuare un perseverante stato di malessere che non sappiamo nominare nel nostro animo.

Adesso, siamo in grado di riconoscere e combattere questo meccanismo autodistruttivo: la sindrome dell’esclusione ha un nome, ed è FOMO.

Ok, ma come guarire?

La FOMO è quindi una sindrome multifattoriale, caratterizzata da molteplici concause che comportano l’insorgenza di una serie di disturbi variabili entro uno specifico range di possibilità, influenzati dall’esperienza individuale e dall’ambiente in cui ci troviamo.

Fortunatamente, negli ultimi anni la ricerca ha elaborato lo sviluppo di alcuni interventi ispirati alla terapia cognitivo-comportamentale che hanno dimostrato una buona efficacia.

Innanzitutto, per risolvere una determinata condizione più o meno invalidante, è sempre necessario riconoscere e prendere consapevolezza del proprio disturbo. Solo concentrandosi sulle emozioni che proviamo, è possibile identificare i momenti di FOMo e regolare il nostro stato emotivo di conseguenza, limitando comportamenti auto-alimentanti che potrebbero aggravare la situazione (tipo smetterla di controllare compulsivamente Instagram). Di pari passo alla realizzazione della propria condizione, è necessario sviluppare un dialogo interno che contrasti i pensieri relativi alla sensazione di esclusione sociale. Per fare ciò, occorre gestire le aspettative che sentiamo gravare su noi stessǝ e capire chi vogliamo essere davvero, indipendentemente dagli schemi preimpostati dalla società o dalle prospettive dei nostri amici o familiari: non c’è fretta, abbiamo tutto il tempo che occorre.

Una strategia che sicuramente può aiutarci nel controllare lo stato di ansia è quella di porsi delle regole per diminuire il tempo sui social, come disattivare le notifiche, nel tentativo di ridurre gradualmente la nostra dipendenza dai social.

Parlare di FOMO è quindi fondamentale per contrastare l’atteggiamento minimizzante troppo spesso riservato verso qualunque disturbo della sfera sociale, ritenuto generalmente un’esagerazione della sensibilità del singolo individuo. In una società attuale iperconnessa, overstimolante e dominata dall’esigenza di dover costantemente performare, disturbi come quello della FOMO sono più diffusi di quanto possiamo immaginarci. Per questo motivo, risulta ora più che mai necessario ridefinire i nostri equilibri interiori e con l’ambiente che ci circonda, per mantenere (o riprendere) il controllo delle redini mentali che ci guidano nel mondo.

Autore

Alice Melani

Alice Melani

Autrice

Mi chiamo Alice e c’ho un’anima un po’ scissa. Studio Biotecnologie a Milano ma vorrei perdermi 24/7 nei sentieri di montagna. Tra le altre cose, sono una femminista intersezionale convinta ed una filantropa un po’ disincantata che a volte si spaccia per misantropa. Odio gli indifferenti e credo che dovremmo proprio smetterla di imporre inutili confini al nostro animo in continua espansione. Toscana di origine e vegetariana per scelta, il resto dei fardelli li lascio alla vostra immaginazione.

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