Il catcalling è un problema solo quando viene denunciato dagli influencer?

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È ormai nota a tutti la polemica sollevata da Damiano Er Faina sul catcalling: «ma quale insulto! Se dici a una “A fantastica!” mica è un insulto», ha detto il noto personaggio romano in alcune stories pubblicate su Instagram nei giorni scorsi. La provocazione è soprattutto indirizzata ad Aurora Ramazzotti, nota influencer e conduttrice radiotelevisiva che aveva lanciato un dibattito via social per denunciare tale fenomeno, detto appunto “catcalling”. Il termine viene dall’inglese e letteralmente vuol dire “chiamare il gattino”. Si tratta, infatti, di un riferimento a tutti quei versi, suoni, gesti e fischi che gli uomini sono soliti ripetere per strada nell’intenzione di attirare l’attenzione di una donna.

Si tratta di una vera e propria violenza verbale, a cui le donne sono sottoposte quasi tutti i giorni, con cadenza ripetuta e sistematica. Fortunatamente ad oggi qualcosa si sta muovendo: nonostante le donne siano lontane dal potersi considerare autodeterminate in quanto individui di sesso femminile a causa delle diverse disparità di genere nella società italiana, tuttavia si è recentemente iniziato a parlare di nozioni come cultura dello stuproviolenza verbale e violenza psicologicabody-shamingsessualizzazione. L’introduzione nel dibattito pubblico di tali argomenti ha portato ad un allargamento delle frontiere nella definizione della violenza di genere, facendo intendere che non è necessaria una violenza fisica o, addirittura, un femminicidio per poter parlare di atto violento sulle donne.

L’idea che un fischio non desiderato possa invadere la sfera di libertà entro cui gli individui agiscono è recente, eppure sembra smuovere l’intero universo di valori per come l’abbiamo finora compreso. La formula a cui stiamo cercando di tendere, con estrema difficoltà, è: tutte le volte che una persona vuole entrare in contatto con la sfera d’azione di un’altra persona (e, perciò, influenzarla), tale contatto deve essere sigillato dal consenso.

Sorge dunque un ulteriore problema, ovvero quello dei social media. Infatti, il catcalling, fenomeno che simboleggia esemplarmente la radicalizzazione della cultura dello stupro nel nostro Paese, è un qualcosa che le donne sono costrette a vivere continuamente e che spesso, nella vita di tutti i giorni, si cerca di banalizzare, trasformandolo in ironia. La polemica sollevata da Aurora Ramazzotti, dunque, è una polemica sentita come vera e giusta dalle persone che ne condividono gli ideali, oppure è semplicemente un parere importante perché risuonante dalle campane di un’influencer? Le frasi di Fedez, che pure si è espresso severamente su Er Faina e sui suoi atteggiamenti patriarcali, vengono sentite come proprie, come condivisibili e necessarie dagli utenti che le ripostano sui loro profili, oppure sono semplicemente interessanti perché provenienti dalla bocca giusta al momento giusto?

L’influencer Aurora Ramazzotti in alcune stories su Instagram a seguito di un episodio di catcalling

Veniamo dunque alla faccenda più complicata: che succede quando a compiere il catcalling è un nostro amico? O magari un personaggio che ci sta simpatico. Ecco, se credete di essere immuni alle questioni sollevate da tali domande, questo articolo vuole rivelarvi che non lo siete affatto, che nessuno lo è. Quando andava in onda il famigerato programma Emigratis, trasmesso dalle reti Mediaset, con protagonisti i comici Pio e Amedeo, il catcalling sembrava non essere un problema, ma solo un elemento “goliardico” che potesse colorare di una sfumatura ironica il lato “tamarro” (astutamente ricostruito dagli autori) dei due protagonisti. Le polemiche non sono state sollevate contro tale programma né sui social, né dalle influencer, né tantomeno da uno dei Ferragnez. Risultato? Emigratis è stato uno dei programmi più visti e seguiti della televisione italiana, con ben 3 edizioni andate in onda fino a 2 anni fa. 

Autore

Maria Chiara Cicolani

Maria Chiara Cicolani

Vice Direttrice

Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.

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