Nel calcio italiano i talenti scarseggiano. Questa frase risuona ormai da qualche anno, specie dopo la mancata qualificazione ai mondiali del 2018. A cosa si deve la penuria di talenti? La nostra nazionale ha ottimi giocatori, con qualità varie e fondamentali nel contesto squadra. Manca, tuttavia, il fuoriclasse. Non si tratta solo del classico fantasista, sulla scia di Totti, Del Piero o Cassano; il talento non si esprime solo nella metà campo offensiva. La genialità di Pirlo, la leadership di Cannavaro o il ritmo di Zambrotta sono tutte qualità che definiscono un talento. Dove nasce, dunque, questa inversione di tendenza nel calcio italiano?
La genesi del talento
Partiamo da qui. Il talento non si compra, non si impara, né si crea: il talento già è in nostro possesso. Il talento esiste sempre, ma raramente si rivela agli altri. Non è facile mostrarlo, occorre il giusto compromesso tra maturità e sfrontatezza, tra razionalità e irrazionalità. Il percorso di autocoscienza del proprio talento è lungo e tortuoso, parte dall’infanzia. Proprio in questa fascia d’età la situazione è maggiormente cambiata. Il progressivo passaggio dal calcio di strada alla scuola calcio aiuta molti ragazzi ad approcciarsi a questo sport, favorisce lo sviluppo di aspetti come la tattica, la tecnica, le doti atletiche. Ma tarpa le ali al talento.
Sì, perché la consapevolezza del talento si acquisisce attraverso le scelte sul campo. Ogni momento della partita impone delle scelte: tirare, passare, intervenire in scivolata, temporeggiare, fare una diagonale difensiva. Le opzioni sono molte, la scelta dovrà essere soltanto una. Nelle scuole calcio, però si tende ad allenare, non a formare, nonostante il termine “scuola” faccia chiaro riferimento ad un intento formativo. Qui le scelte dei ragazzi sono guidate, talvolta telecomandate. Si insegna ai bambini il gesto tecnico in modo meccanico e in situazioni che si ripetono; nelle esercitazioni è l’allenatore stesso a fornire la soluzione in caso di errore, è l’allenatore a scegliere.
In strada la responsabilità di questa scelta cade invece sul singolo, che non subisce pressioni o indicazioni di un allenatore o genitore. Vuole solo divertirsi con gli amici e sceglie in maniera quasi inconsapevole. Il vantaggio più grande del calcio di strada, quindi, è il libero arbitrio. Scegliere cosa fare in partita senza condizionamenti. Capire lo spazio e il tempo dell’azione, imparare a pensare, ad immaginare le giocate in anticipo. Non ci sono esercitazioni, tattiche, fasi di allenamento, non ci sono regole. O meglio, sono i ragazzi a crearsi le regole, nonché i modi per infrangerle. Un momento di totale libertà, condizione necessaria per esprimere il proprio talento. In strada nasce e cresce il calciatore pensante, che si adatta al momento della partita, trova soluzioni all’istante, sceglie seguendo l’istinto e si diverte senza pensare ad altro.
Vorrei tornare negli anni ‘90
In passato bastava un cortile, una piazza, una via; poi degli indumenti per costruire le porte ed infine un pallone, di qualsiasi materiale e grandezza. Ore e ore trascorse a rincorrere un pallone: botte, risate, pianti, vittorie e sconfitte. Romanzi di formazione più che partite, in cui ogni personaggio ha una precisa fisionomia, un suo percorso di evoluzione e maturazione, di autocoscienza del suo talento. Confrontandosi con gli altri può scoprire i suoi punti di forza, le sue debolezze, se gli piace attaccare o difendere, fornire assist o realizzare gol. È costantemente di fronte a prove da superare, a scelte da prendere. In questo modo cresce e si conosce, si autodetermina.
Il calcio di strada è uno scenario sempre meno diffuso in Italia. Le ragioni sono molteplici: le ordinanze comunali che vietano attività sportive per disturbo della quiete pubblica; l’urbanizzazione, che riduce questi spazi di gioco; i genitori dei ragazzi, iperprotettivi e sempre meno propensi a lasciare i figli divertirsi col rischio di qualche sbucciatura sulle ginocchia.
Da dove ripartire?
Proprio all’interno delle scuole calcio si potrebbe ricreare il calcio di strada. Senza il fascino della strada, sia chiaro, ma con lo stesso spirito. È compito di chi gestisce questi spazi creare un’esperienza di gioco il più possibile libera. Esercitazioni? No, partita. Tutto il tempo della lezione. Lasciare i ragazzi il più possibile liberi, farli divertire e crescere in autonomia; creare le condizioni necessarie affinché sviluppino il loro talento. Se uno di loro non passa mai la palla, smarca tutti gli altri e segna dieci gol non dovrebbe essere rimproverato e accusato di egoismo: così il talento si affievolisce fino a spegnersi del tutto. Al contrario, deve essere incoraggiato e messo nelle condizioni di farlo. È l’unica via da intraprendere perché possa nascere un altro Cannavaro, un altro Pirlo, un altro Totti. Insomma, un altro talento.
Autore
Nasco a Roma nel 1997. Formatomi sui precetti morali del Re Leone, mi laureo in lettere e divento giornalista pubblicista. Appassionato di sport e storie di sport, nella vita faccio il centrocampista. Amo il mare e detesto il sensazionalismo quasi più degli anfibi.