Il Festival di Sanremo è agli sgoccioli. Stasera verrà eletto il vincitore di un’edizione seguitissima, ma musicalmente non del tutto convincente. Indubbiamente molti brani necessitano di un ascolto più attento e poche esibizioni non bastano per dare un giudizio di valore, ma non si deve dimenticare che quando si tratta di musica e, soprattutto, di una competizione come Sanremo che si esaurisce nell’arco di cinque serate, l’effetto prima impressione può essere determinante per il successo di un brano e per tutto ciò che ne consegue. Insomma, colpire con la prima esibizione, per un artista, significa avere – almeno in parte – la strada spianata: esiste, infatti, una bella differenza tra il bisogno di riascoltare un brano per comprenderlo meglio e il bisogno di riascoltarlo per pura necessità.
Grazie ai social, dove ogni informazione corre veloce, è ormai facile comprendere quali siano effettivamente i preferiti del pubblico che, per ora, sembra dividersi tra chi balla su Ciao Ciao de La Rappresentante di Lista, chi si commuove ascoltando Ovunque sarai di Irama e chi, da buon nostalgico – ma non troppo – sta in fissa con Apri tutte le porte di Gianni Morandi.
Ci sono, insomma, brani che piacciono molto, brani che piacciono il giusto e brani che, semplicemente, non piacciono. Tuttavia, tra questi ce n’è uno che, dal primo ascolto, sembra aver messo d’accordo tutti: stiamo parlando, ovviamente, di Brividi, di Mahmood e Blanco.
Le aspettative nei loro confronti erano alte in partenza – lo sanno bene gli organizzatori del Fantasanremo che gli hanno attribuito ben trentacinque baudi; la quotazione più alta tra tutti i cantanti in gara – ma, prima del Festival, si parlava a fatica di una possibile vittoria perchè gravava (e continua a gravare) sulle loro spalle l’ombra imponente di Elisa, artista straordinaria, che con la sua O forse sei tu sembra, ancora oggi, la grande favorita della critica. Di sicuro, i brani sono diversi, i percorsi artistici e le fanbase anche, e tutto sembra ancora da decidere; però, va sottolineato come questo incontro, forse insolito, o forse no, tra Mahmood e Blanco, abbia dato vita a una collaborazione che ha superato di gran lunga quelle che erano le nostre aspettative prima dell’inizio della competizione.
Il successo del brano è, infatti, immediato. Nella conferenza stampa del 2 febbraio la Rai comunica che la loro esibizione durante la prima serata ha raggiunto il picco di share tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni; dato più che significativo in un Festival come Sanremo in cui l’età media degli spettatori è decisamente più alta. Ma non è finita qui: il video dell’esibizione a Sanremo totalizza un milione di visualizzazioni in dodici ore e il video ufficiale quasi tre milioni in ventiquattro ore, mantenendo uno scarto gigantesco rispetto ai videoclip degli altri artisti in gara. E, come se tutto ciò non bastasse, mercoledì 2 febbraio, Brividi diventa, con circa 3,8 milioni di stream, la canzone più ascoltata di sempre in un giorno su Spotify in Italia, debuttando anche in quinta posizione nella Top 50 globale.
A questi riconoscimenti si accompagnano innumerevoli attestati di stima, non solo dall’Italia che li premia al televoto nella serata di giovedì, ma da tutta Europa. Infatti, già pochi minuti dopo la loro prima esibizione, sotto il video caricato sul canale Youtube della Rai, appaiono numerosi commenti provenienti da Spagna, Lituania, Portogallo. Tra questi, alcuni provengono da fan che avevano conosciuto Mahmood ai tempi dell’Eurovision, ma, molti altri, sono scritti da utenti che dicono di aver scoperto il video dell’esibizione su Twitter e, pur non comprendendo il testo, di esserne rimasti incredibilmente colpiti.
A entusiasmare è, dunque, il valore della performance che, visti i riscontri, ci permette di guardare a questo duo già in un’ottica internazionale come possibile candidato alla vittoria del prossimo Eurovision. Infatti, Blanco e Mahmood, insieme sul palco, sono talmente perfetti da arrivare anche a chi non riesce a comprenderli. A colpire, tra i due, è soprattutto la grande intesa: ognuno dona qualcosa all’altro, preservando, comunque, il peso della propria unicità. Affrontano insieme una canzone delicata, ma tecnicamente molto complessa, con una padronanza totale, sia del palco, sia delle loro vocalità. E, se da Mahmood, anche alla luce della sua maturità artistica, ce lo aspettavamo, Blanco, che di palchi ne ha calcati ancora pochi, riesce a sorprenderci ancora una volta, positivamente, dimostrandosi degno di tutti i successi conquistati nell’ultimo anno. Infatti, pur essendo il più giovane tra tutti i cantanti in gara, sembra proprio lui quello più a suo agio sul temutissimo palco dell’Ariston, con un’interpretazione che riesce ad essere al tempo stesso una carezza e un pugno nello stomaco.
Gli apprezzamenti superano, dunque, ogni aspettativa, persino dei cantanti stessi, fieri che un brano per loro così importante sia già riuscito a conquistare un pubblico così vasto.
Anche perché, performance a parte, va sottolineato che, prima ancora che nella voce e nella presenza scenica dei suoi interpreti, l’unicità di Brividi sta proprio nel testo: attraverso una scrittura che potremmo definire immaginifica, Blanco e Mahmood affidano alla loro musica il compito di raccontare ciò che, spesso, nella vita di tutti i giorni, non hanno il coraggio di dire.
Infatti, quel «e ti vorrei amare ma sbaglio sempre», come ha raccontato Mahmood in numerose interviste, non è altro che l’ammissione di una colpa che spesso si tende a far passare sotto silenzio: così la musica assolve la sua funzione catartica, diventando confessione e trasformando i punti deboli della vita quotidiana in punti di forza. Nel brano, in effetti, viene mostrata a più riprese la tensione continua tra il bisogno di amare e la paura di donarsi fino in fondo, che si traduce anche in una sorta di difficoltà nel raccontarsi («Non so dirti ciò che provo è un mio limite/ A volte non so esprimermi»), a cui, però, per fortuna, riesce a sopperire la musica.
E così, nella catarsi della scrittura si incontrano gli artisti e gli esseri umani. I due, così diversi nella vita e così vicini nell’arte, hanno infatti raccontato che il testo di Brividi non nasce per un destinatario preciso, ma semplicemente come frutto della necessità di narrare un amore universale attraverso due esperienze di vita; quella di un uomo di quasi trent’anni, Mahmood, e quella di un ragazzo di diciotto, Blanco, che, pur nella loro diversità, ritrovano un minimo comune denominatore nella necessità di raccontarsi attraverso un brano che afferma la libertà dell’amore.
E la libertà è proprio l’ideale che i due artisti hanno portato sul palco dell’Ariston, nonché il fil rouge che lega la loro partecipazione al festival: anche nella scelta di cantare Il cielo in una stanza di Gino Paoli nella serata delle cover si nasconde, infatti, – soprattutto dietro l’immagine dell’immensità del cielo – un monito a cercare, custodire e preservare la propria libertà.
Ed è proprio nell’obiettivo che Mahmood e Blanco si sono posti scrivendo Brividi, che sta, secondo me, la principale ragione del successo del brano. Proust sosteneva che «ogni lettore, quando legge, legge se stesso», perché è innato, nell’essere umano, il bisogno di riconoscersi in una storia. E tale principio può essere esteso, senza ombra di dubbio, anche alla musica: soprattutto a vent’anni, ascoltiamo canzoni non per il semplice piacere di farlo, ma per cercare (e trovare) nei testi una parte del nostro modo di essere e di pensare, per non sentirci soli e vedere la nostra vita prendere forma attraverso le parole degli altri, nelle storie di persone che non siamo noi, ma che sembrano somigliarci. È un bisogno, niente di più, niente di meno. E nella risposta che Mahmood e Blanco hanno dato a questo bisogno sta già scritta la loro vittoria.
Autore
Classe 1997. Ho una laurea in Italianistica ma provo a scrivere di musica mentre sogno la sala stampa di Sanremo.