Tutti i momenti che hanno unito e disunito di Sanremo 2022

Sanremo, si sa, non è solo musica. Dalle polemiche contro Eni all'auto-battesimo di Achille Lauro, ecco una carrellata di tutto ciò che è successo

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Si è conclusa sabato la settantaduesima edizione del Festival di Sanremo con il trionfo (non so se ve ne siete accorti) di Mahmood e Blanco. Una vittoria annunciata praticamente già dalla prima sera e certificata dal successo immediato che la canzone ha riscosso, di cui abbiamo parlato qui. Cinque serate di esibizioni, 25 inediti in gara e tanti ospiti, dai Maneskin a Cesare Cremonini.

Ma a Sanremo, si sa, non c’è spazio solo per la musica: dal pugno chiuso de La Rappresentante di Lista, per arrivare al battesimo di Achille Lauro, il gesto femminista di Emma, la polemica contro Eni e lo sketch fallimentare di Checco Zalone. Una serie di avvenimenti perfettamente in linea con un festival che sempre di più fa parlare di sé non solo per la musica in gara. 

Per chi se li fosse persi, o per chi vuole ripassare, ecco una carrellata di tutto ciò che è successo a Sanremo che poco aveva a che fare con le canzoni in gara. Tutti i momenti che hanno unito e tutti quelli che hanno disunito. Come solo il Festival di Sanremo sa fare.

La Rappresentante di Lista e il pugno chiuso

Pugno chiuso e Ciao Ciao da parte del duo La Rappresentante di Lista a fine esibizione. C’è chi furiosamente lamenta il fatto con estrema denuncia, e chi, invece, come Maurizio Acerbo, leader del Partito di Rifondazione Comunista, dichiara orgogliosamente che «anche Nelson Mandela quando uscì dal carcere salutò col pugno chiuso il suo popolo in festa». Un gesto rivoluzionario che ben si sposa con il testo che Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina hanno portato in gara: «Questa è l’ora della fine, / romperemo tutte le vetrine. / Tocca a noi, non lo senti? Come un’onda arriverà». Una canzone che dice addio al vecchio mondo che si sta sgretolando, ma lo fa con gioia perché, ad attendere, ce n’è uno migliore: «La fine del mondo è una giostra perfetta. / Mi scoppia nel cuore la voglia di festa». Il Giornale, all’indomani della prima esibizione, ha titolato “La Rappresentante di Lista porta il comunismo sul palco”. Ma la verità è che La Rappresentante di Lista ha portato sul palco la rivoluzione contro un sistema marcio, patriarcale, paternalista, immobile e fascista. Come un cavallo di Troia, Ciao ciao è stata una rivoluzione mascherata da festa.  

«Stop Greenwashing»: Cosmo contro Eni

Nella serata delle cover, La Rappresentante di Lista ha portato Be My Baby, il capolavoro del 1963 delle The Ronettes. Con loro sul palco anche Margherita Vicario, Ginevra e Cosmo. Proprio Cosmo, durante l’esibizione, ha gridato al mixer «Stop Greenwashing» contro l’attività di Eni, sponsor principale del Festival, di far apparire come verdi le sue attività che verdi non sono. Il colosso del petrolio e del gas, infatti, è stato quest’anno il principale finanziatore del Festival, nel tentativo di lanciare la sua nuova società Plenitude che millanta una sua svolta sostenibile e che, invece, è, come ha scritto Domani, «un’operazione per fare attecchire il suo nuovo simbolo dai colori verdi nelle simpatie del pubblico, ma anche in vista della quotazione in borsa entro l’anno», in un momento in cui i mercati sono molto attenti alle componenti green delle aziende. Oltre al “green carpet” di erba finta fuori dal teatro Ariston che ha sostituito il tradizionale rosso, Eni ha tentato di proporre la sua finta sostenibilità con pubblicità mandate ripetutamente durante le serate e con il suo logo verde negli spazi della stampa. Lo stesso Amadeus ha ringraziato Eni dal palco. «Abbiamo scelto Sanremo, la città dei fiori, per raccontare la nostra evoluzione e per continuare con il nostro impegno a far sbocciare il cambiamento energetico e creare un futuro migliore per tutti» recitano gli sponsor. Puro marketing, considerando che Eni continua ad essere una delle più grandi aziende che si occupano di petrolio e gas e che alimentano il riscaldamento globale. «Non restiamo in silenzio mentre il Festival di Sanremo viene usato come vetrina di chi sta distruggendo il pianeta» scrive sui loro social Fridays For Future Italia.

Il femminismo di Emma

Emma, una femminista da palco d’eccezione, denuncia tutto ciò che si possa denunciare contro il patriarcato, purché tutti lo vedano, sia chiaro. Durante l’esibizione del suo brano Ogni volta è così, la cantante ha unito le due mani nel segno del femminismo, nel momento in cui il testo recitava «ogni volta è così, siamo sante o puttane. / E non vuoi restare qui e neanche scappare». Il bell’amato gesto femminista significa letteralmente “viva la fica“, non nel mal comune senso sessuale, quanto nel vero senso sociale: viva la donna e basta. Dovremmo veramente pensare, come i più speranzosi e in cerca di scoop dicono sui social, che sia una dichiarazione d’orientamento sessuale da parte di Emma? Sarebbe del tutto banale oltre che improbabile, ma soprattutto poco politico. La conferma del suo approccio femminista a Sanremo c’è stata durante la serata dedicata alle cover. Emma ha cantato in compagnia di Francesca Michielin uno dei brani più noti di Britney Spears, Baby One More Time, scelta che pone l’accento sul movimento #FreeBritney divenuto popolare nel 2019. Il movimento, lanciato dai fan, è nato dall’emergere di accuse circa il tempo di permanenza della Spears in una struttura psichiatrica e la tutela del padre da cui non era più autonoma. Ma la scelta fa luce su un tipo di femminismo che, come in questo caso, risulta più una scelta stilistica ed esibizionistica che ideologica. A tal proposito, l’esibizione di Elisa con la ballerina Elena d’Amario, dove l’intesa e l’unione tra due donne di due mondi diversi è stata palese e per nulla forzata, ha incarnato, senza alcuna ostentazione né servendosi di mezzi, il vero senso del femminismo.

Come la Rai ha oscurato l’invito alla legalizzazione della cannabis di Ornella Muti

Perché Ornella Muti, che ha accompagnato Amadeus nella prima serata, si esprime ovunque sulla legalizzazione della cannabis tranne che sul palco sanremese? Ricordate la teoria secondo cui il Festival è ormai permeato di politica? Ecco, la motivazione per cui non è stato concesso alla Muti di spendere due parole su un argomento così rilevante sta tutta lì. Allora le è stato concesso di parlare solo di ambiente, ma in maniera tristemente vaga e breve, fingendo che se ne stesse facendo sensibilizzazione. Parlare di cannabis sarebbe stato un andare contro tutte le logiche italiane (una di queste si chiama Chiesa, un’altra Mafia) di cui l’Italia ne è patria e soprattutto vittima. Di cannabis ne parleranno a Sanremo tra trenta edizioni, forse.

L’auto-battesimo di Achille Lauro: rivoluzione o blasfemia?

Il 14esimo posto di Achille Lauro ci ha fatto capire che nemmeno la scelta di battezzarsi in diretta sorprende più. Una scelta che ricorda un po’ Luca Romagnoli che, il Primo Maggio 2013 in piazza San Giovanni, durante l’esibizione, brandì un preservativo come fosse un’ostia: «Questo è il budello che uso io, che toglie le malattie del mondo, prendetene e usatene tutti». Quanto fece arrabbiare la Chiesa? Tanto. Abbastanza da far contenti tutti. Lo stesso ha fatto Lauro ma in maniera visibilmente ridotta: torso nudo e pantaloni in pelle nera rappresentano la massima semplicità per Achille Lauro che fino ad ora si è destreggiato tra outfit più che importanti ed esemplari. Questa scelta così minimal, infatti, significa rinascita e significa «interrogarsi sul senso del mio essere umano», come dichiara sui social (qualsiasi cosa questo significhi). Una rinascita che lui stesso ha auto-battezzato e un’altra delle provocazioni a cui ci ha abituato nel corso degli ultimi anni. Achille Lauro non è piaciuto, però, al vescovo di Sanremo, mons. Antonio Suetta, che definisce l’esibizione come «penosa», perché Lauro «ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del battesimo in un contesto insulso e dissacrante». Possiamo dire dunque, che il perfomer più che arrabbiare, ha fatto indignare la Chiesa, ma nulla di più. Come scrive L’Osservatore Romano: «Volendo essere a tutti i costi trasgressivo, il cantante si è rifatto all’immaginario cattolico. Nulla di nuovo. Non c’è stato nella storia un messaggio più trasgressivo di quello del Vangelo. Da questo punto di vista difficilmente dimenticheremo la recita del Padre Nostro, in ginocchio, di un grande artista rock come David Bowie. Non ci sono più i trasgressori di una volta». Possiamo, quindi, dire che il fenomeno Achille Lauro è ora solo un pallone (s)gonfiato?

Checco Zalone: la transfobia che si traveste da ironia

Telegraficamente: il monologo di Checco Zalone (o meglio, la «storia LGBTQ ambientata in Calabria» raccontata per celebrare l’amore «universale») era transfobico. Non è la prima volta che un comico annuncia di avere l’intenzione di abbattere pregiudizi su una minoranza e finisce solo per rafforzarne lo stigma. Oreste, nella «favola» di Zalone, appartiene a tre categorie apparentemente distinte ma che nella rappresentazione comune sono costantemente associate: la donna transgender, l’immigrata e la prostituta. Questa però, per la protagonista, non è una favola di redenzione da questo schema, che rimane incollato a lei tanto quanto lo è nell’immaginario collettivo. Aggiungiamo il continuo misgendering e la frittata è servita. Come scrive Francesco Cicconetti su Instagram, «questo tipo di umorismo si definisce punch-down, “pugno verso il basso”, ed è classico della persona privilegiata che ottiene consenso tramite l’ironia a spese di comunità discriminate». La comicità (soprattutto se intesa come “servizio pubblico” e trasmessa durante l’evento televisivo più importante dell’anno) ha senso solo se va a colpire il potente e l’intero sistema di potere su cui si basano i privilegi. Non è un caso che il giullare di corte prendesse in giro il re e non i contadini. Ce lo spiega Terry Pratchett in una frase: «La satira nasce per ridicolizzare il potere; se ridi degli oppressi non è satira, è bullismo». E, più, siamo stanchi di farci dire cosa dovrebbe o non dovrebbe offenderci.

Il cuore anarchico di Giovanni Truppi

Durante la serata di venerdì, Giovanni Truppi ha portato sul palco una cover dell’iconico brano di De André Nella mia ora di libertà, con l’accompagnamento di Vinicio Capossela e dell’armonica di Mauro Pagani. Appuntato sulla canotta rossa del cantautore napoletano c’era anche un cuore di stoffa rosso e nero, simbolo del circolo anarchico di Carrara. «Sul palco abbiamo portato dei simboli e sul mio cuore c’era un cuore rosso e nero opera di Goliardo Fiaschi, partigiano in Italia e Spagna e fondatore del Circolo Anarchico di Carrara. Non sono a mio agio ad espormi così tanto. Allo stesso tempo credo che sia necessario fare assunzione di responsabilità rispetto alle parole che ho cantato anche a loro protezione, perché sono parole incendiarie e tali devono restare» ha scritto Truppi in un lungo post sui social. «Credo che tra i compiti di un artista ci sia quello di porgere dubbi piuttosto che certezze, ma anche che nella vita sia importante cercare di farsi delle idee e, quando ne vale la pena, prendere posizioni».

Drusilla Foer: l’accettazione di sé come primo passo per la diversità

Drusilla Foer, alter ego di Gianluca Gori, è indubbio la persona più rivoluzionaria giunta a Sanremo fino ad ora, e al contempo colei che, con semplicità d’altri tempi, ha mostrato il vero senso della normalità: essere sé stessi. La bellezza del suo monologo risiede da subito nella denuncia alla parola diversità, che, spiega Drusilla, ha in sé comparazione e distanza, denotando da subito qualcosa di sbagliato. Per ovviare alla “diversità”, decide di incentrare il suo discorso sull’”unicità”, una parola molto più forte, umanitaria e non discriminante. Aggiunge anche, con l’ironia che la contraddistingue, che «le parole sono come gli amanti, quando non funzionano più vanno cambiate subito». Il focus del monologo, però, non è stato banalmente sull’essere unici a tutti costi, bensì intendeva fare luce su quanto sia necessario comprendere la propria unicità, capire di cosa si compone, di cosa siamo fatti, tra cose belle, valori, convinzioni e talenti. Come i talenti che vanno allenati, Drusilla invita, infatti, ad allenare la propria unicità, che significa “forzarla” nel mero senso di “darle forza”. Ci suggerisce di prendere per mano tutte le cose che risiedono in noi, belle e brutte, perché esse rappresentano la nostra bellezza. Soprattutto, invita a dare un senso alla sua presenza sul palco dell’Ariston per dar via «al più grande atto rivoluzionario che si possa fare oggi: l’ascolto». Così, l’invito a individuare la nostra unicità, a darle forza e, infine, all’ascolto, distruggono con maestria ed eleganza la nascita delle convinzioni: «promettetemi che […] accoglieremo il dubbio, anche solo per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni».

Due anni senza concerti

Tre settimane fa, i Pinguini Tattici Nucleari hanno annunciato sui social il rinvio del loro tour: «Siamo allo stremo sia psicologico che professionale, ma nuovamente ci viene chiesto di tenere duro. Cercate solo di capire che stare per due anni senza fare la cosa per cui siamo nati ci fa sentire segati in due, oltre che vuoti». Per questo, venerdì sera, sono saliti sul palco con due cartelli di protesta: «Due anni senza concerti» e «Fateci tornare a suonare». Sulla musica dal vivo pesano, ormai da due anni, i dubbi circa la ripresa di tutte le attività. Migliaia di concerti rinviati a data da destinarsi, l’incertezza su quello che succederà dopo, artisti costretti all’immobilità e operatori dello spettacolo senza lavoro. E sul palco di Sanremo vari artisti hanno lanciato il loro grido d’aiuto, dai Pinguini Tattici Nucleari a Dargen D’Amico: «Voglio ringraziare Amadeus che ha creduto in me ma anche il governo italiano che tende a dimenticarsi delle piccole realtà musicali».

Autori

Samuele Vona

Samuele Vona

Direttore Editoriale

Nasco a Roma e amo le cose démodé: se scatto lo faccio in analogico, compro solo libri usati, scrivo ancora con la penna (blu) e ho una laurea in Lettere Moderne. Desidero una nuova bicicletta perché quella di prima me l'hanno rubata.

Ho iniziato a scrivere per pensare ai fatti miei, ora scrivo solo di quelli degli altri. Di solito mi faccio descrivere dalla musica che più mi piace, per esempio: il mio album preferito ha una banana sullo sfondo.

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