Andrés e Pablo Escobar: destini incrociati

Andrés Escobar, calciatore professionista; Pablo Escobar, narcotrafficante professionista. Un cognome comune e un destino comune. Due grandi personalità che, a modo loro, hanno segnato la fine di una delle pagine più cruente degli anni ’80: il narcotraffico.

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Durante la metà degli anni ‘80 la diffusione della cocaina influiva sulla scena politica e finanziaria mondiale. Pur conoscendo tutti i principali protagonisti di questo fenomeno, non si riusciva a porre un freno al fenomeno e il potere dei narcotrafficanti dilagava giorno dopo giorno. I due grandi cartelli colombiani che si contendevano il primato erano il cartello di Cali, al cui vertice c’erano i fratelli Rodriguez e “Pacho” Herrera, e il cartello di Medellìn, i cui fondatori sono i fratelli Ochoa, Gonzalo Rodriguez Gacha e infine Pablo Escobar, che presto concentrerà tutto il potere su di sé. Pablo Escobar creò il suo impero dal nulla, dall’idea di dominare il mondo. Per questo il narcotraffico non si limitò solo al mercato della droga, ma per ragioni ben precise, dilagò anche nel calcio. E la rivalità stessa dei due cartelli venne contesa anche sul rettangolo verde.

Pablo fu l’idolo della popolazione povera anche grazie al calcio, costruendo campi e donando materiali nelle zone più abbandonate di Medellìn, risultando un vero e proprio mecenate. Divenne il proprietario di una squadra di calcio professionistica, l’Atletico Nacional; attività che favoriva il riciclaggio di denaro sporco ma a cui Pablo era molto affezionato. La violenza però non risparmiava neanche il campo; numerosi sono gli atti con cui Pablo Escobar facilmente riusciva a favorire la sua squadra o, a volte, a vendicarla. Il caso più celebre è l’assassinio dell’arbitro Alvaro Ortega, colpevole di aver favorito l’America de Cali contro l’Indipendiente, un’altra squadra gestita da uomini vicini al cartello. Questi trucchi non devono distogliere l’attenzione dalla forza dell’Atletico Nacional. Divenne una vera e propria armata in America del Sud e la sua cavalcata, dopo tre campionati nazionali successivi vinti, culminò con la vittoria della Copa Libertadores nel 1989. 

L’Atletico Nacional di Escobar vince la Copa Libertadores nel 1989

Già da qualche anno si stava mettendo in mostra un giovane spilungone, difensore centrale, dal gioco elegante, pulito, essenziale; questo identikit risponde al nome di Andrés Escobar.

Non lasciatevi ingannare dal cognome, può fuorviare. Fu solo il caso che volle Andrés nella squadra di Pablo. Andrés era un giocatore di categoria superiore al semplice campionato colombiano e nella finale di Coppa Intercontinentale del 1989 contro il grande Milan olandese di Sacchi, dimostrò di poter competere con i più grandi campioni europei. La sua carriera era segnata, l’Europa lo stava aspettando nonostante qualcuno non era d’accordo.

La Coppa del Mondo 1994

Nel 1994, alla vigilia della Coppa del Mondo in cui la Colombia era una delle favorite per la vittoria e Pelè lo aveva affermato chiaramente. E l’anima della squadra, il capitano, il “gentiluomo del calcio” era Andrés Escobar. 

Ma la squadra colombiana non partì come tutti si aspettavano: dopo la partita d’esordio steccata contro la Romania, ci si gioca tutto contro gli Stati Uniti, i padroni di casa. Alla vigilia della partita, però, alcuni eventi sconcertanti gettarono ancora più preoccupazioni sulla squadra: il fratello di Luis Fernando Herrera, difensore dell’Atletico Nacional, al quale mesi prima del Mondiale era stato sequestrato il figlio di 3 anni e riconsegnato dopo lunghe trattative, viene assassinato. Ad un altro calciatore, il centrocampista Gabriel Jaime Gomez, a cui la stampa aveva imputato la colpa della sconfitta nella prima partita, vennero recapitate minacce di morte: «Se gioca Gomez, facciamo saltare la sua casa e quella del Ct. Maturana».

La partita iniziava, quindi, con la paura negli occhi dei calciatori, con il pensiero alle loro case, ai loro cari. Non era la squadra perfetta e ammirata durante le qualificazioni che avevano battuto più volte gli Stati Uniti. E poi, l’imponderabile: dalla sinistra arriva un cross basso, Andrés cerca un salvataggio in scivolata, la devia, ma verso la porta. È autogol. Nel secondo tempo la nazionale di casa raddoppia e la Colombia è fuori dal mondiale.

L’autogol di Andrés Escobar contro gli Stati Uniti

Dopo il ritorno in patria, ai giocatori viene consigliato di rimanere in casa per un po’ di giorni per evitare problemi. La sera del primo luglio, Andrés uscì comunque. «Voglio mostrare la mia faccia alla gente» risponde a tutti coloro che cercano di fermarlo.

Insieme ad alcuni amici e alla fidanzata Pamela, si intrattenne nella discoteca Padova fino alle 3.30 del mattino. Intorno a quell’ora inizia una discussione con i fratelli Gallon Henao, narcotrafficanti alleati del cartello di Cali. Dopo una serie di insulti, il difensore pensa sia meglio andarsene, ma arrivato al parcheggio sente qualcuno gridare: «Complimenti per l’autogoal». Sei colpi di mitragliatrice partono da una Toyota Land Cruiser. “El caballero de la cancha” muore.

Una folla di 150 mila persone partecipa al funerale, tra cui tutti i tifosi del Nacional e il presidente della Colombia Trujillo. I responsabili però non vengono identificati fino al 2018, quando la polizia arresta Juan Santiago Gallon Henao, scoprendo che è il proprietario della stessa Land Cruiser che si era avvicinata ad Andrés quella sera. Si scoprì che fu il Cartello di Cali a ordinarne l’uccisione perché con quell’autogol aveva fatto perdere parecchi soldi nel giro di scommesse.

Il funerale di Andrés Escobar a Medellìn

«Lotto perché si mantenga il rispetto. Un abbraccio forte a tutti. Ci vediamo presto perché la vita non finisce qui» scriveva qualche giorno prima di morire. 

Nel 2019 gli venne intitolata la Cittadella sportiva di Belen a Medellìn. È diventato un simbolo e un punto di riferimento per tutti i bambini che sognano un giorno di diventare campioni come Andrés, che campione lo è sempre stato.

Autore

Romano e romanista. Tutti mi dicono che assomiglio a Mauro Icardi, ma secondo me sono più bello. Nei viaggi con gli amici sono quello che guida, ma per passione. Laureato in Lettere, sognavo di scrivere per qualche testata giornalistica, ma per il momento mi ritrovo in Generazione: mi accontento.

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