Il giorno in cui ho sentito parlare di Florence Given è stato anche il momento esatto in cui il mio sistema di strutture e di significati ha vacillato per la prima volta. Fino a quel momento, infatti, non avevo mai avuto alcun tipo di problema nel difendere la mia visione del mondo alquanto reazionaria e spregiudicata, che non si lascia prigionieri alle spalle: le influencer sono tutte pedine del capitalismo e le modelle sono delle vittime passive dell’oggettivazione del corpo femminile nel nuovo millennio. Niente sembrava potermi far cambiare idea, perché nessuna modella curvy era abbastanza curvy, nessun manifesto pubblicitario LGBTQ+ friendly era abbastanza friendlyda rimettere in discussione il mio universo di significati politici.
Poi, un giorno, vengo a conoscenza di Florence Given, e così decido, un po’ per caso un po’ per curiosità, di volerne sapere di più cercandola su Instagram.
Il suo femminismo
Florence Given nasce in Inghilterra, a Plymouth, nel 1999. Ha vent’anni. È un’attivista sociale ma al tempo stesso è un’influencer. Ma stavolta la mia lettura del mondo “influencer = male” mi poneva davanti a un problema: ciò di cui si occupa Florence Given non è la vendita di prodotti per capelli, ma un utilizzo dei social per promuovere la sua idea di bellezza e di società. In altre parole: per promuovere il suo femminismo. Sì, il suo, perché di nessun altro se non di una ragazza di vent’anni coi capelli biondo cenere spettinati, nata nel 1999 a Plymouth.
Il suo femminismo mi ha fatto pensare, poi commuovere e poi sorridere. Perché a vent’anni le cose dovrebbero essere così: tue e di nessun altro. Come il femminismo di Florence Given, dovrebbero essere ritagliate su di te, trovate per caso da qualche parte nel mondo e cuciteti addosso secondo le tue forme e le tue idee.
Ecco che nasce il femminismo di Florence Given: è rosa, a fiori, colorato, fatto di calze a rete e stivali in ecopelle fino alle cosce, di cardigan con fantasie animalier e di occhiali da sole grandi e vistosi. È un femminismo fatto di peli lunghi sotto le ascelle e di scritte con grafiche anni Settanta. Ma poi è anche fatto di mercatini vintage e di cappotti lunghi fino ai piedi, di quelli che indossavano le rivoluzionarie negli anni Ottanta.
Dump Him
Uno dei suoi motti diventati virali sul web è «Dump Him», ovvero «Scaricalo», slogan con cui vuole invitare le ragazze che la seguono a ripensare alla loro relazione con il proprio ragazzo, il più delle volte costretta all’interno di regole e schemi che vedono la donna come una seconda madre, impegnata nell’accudire il suo uomo e nell’aiutarlo durante le sue pratiche quotidiane. La giornalista inglese Olivia Petter dice di lei:
Given explains how she tired of “mothering a man-child” in her relationship and wanted to push back against archaic gender roles that pigeonhole women into fulfilling servile stereotypes.
Succede allora che tutto questo tipo di femminismo le fa guadagnare l’ambìto titolo di “Influencer dell’anno” della rivista Cosmopolitan nel 2019 e l’attenzione di numerosi nomi del cinema e della musica, come quello della cantante Rita Ora, che decide di affidarle il merchandise ufficiale del suo tour nel 2018.
Women don’t owe you pretty
Dopo una prima analisi sul web e sui social inizio ad interessarmi al fenomeno Florence Given e soprattutto alla possibilità di una nuova frontiera di influencerfemministe e impegnate politicamente. La questione mi appare tanto interessante e rivoluzionaria da spingermi a comprare il libro di Florence Given, Women don’t owe you pretty, edito da Cassell e uscito nel giugno 2020. Il libro sin da subito si guadagna la sua notorietà, cavalcando l’onda per ben dieci settimane consecutive nella classifica dei bestsellers del Sunday Times dalla data della sua pubblicazione.
Il testo affronta temi come quello del body shaming, della relazione uomo-donna in ambienti scolastici e lavorativi e dei pregiudizi di genere. Ma lo fa attraverso modalità e argomentazioni divulgative, rompendo quella barriera che spesso, troppo spesso, si viene a creare tra colui che informa e colui che viene informato. La singolarità della scrittura e del lavoro di Florence Given non è tanto nella portata rivoluzionaria di alcune idee, che già in tanti abbiamo ben in mente e di cui ci sentiamo partecipi da tempo, ma piuttosto nella modalità con cui queste vengono espresse.
Florence Given è stata in grado di fare ciò che un’influencer dovrebbe saper fare al meglio: entrare in un contatto empatico e in una relazione emotiva con il suo pubblico, attraverso l’uso delle parole. E tutto ciò viene fatto non per pubblicizzare un marchio, ma per convincere donne e ragazze ad alzare la voce, a difendere la loro indipendenza e autonomia in un mondo ancora governato da preconcetti sessisti e paternalisti.
Una delle tecniche più brillanti utilizzate nel testo è quella, ad esempio, del dialogo dell’autrice con la sé di qualche anno fa, un’adolescente alle prese con la scuola, le amicizie e gli amori liceali. In questi interludi, l’autrice immagina di avere l’opportunità di confrontarsi con una Florence Given appena ragazza, che si interfaccia per la prima volta col “mondo dei grandi”. Decide allora di darle dei consigli, che probabilmente se fossero arrivati prima avrebbero potuto cambiare la sua infanzia e la sua crescita, e di liberarla da paletti estetici e da ritualità inutili, come quella del doversi truccare ogni mattina o del radersi le gambe prima di uscire con un uomo.
Ci tengo allora ad aggiungere, senza remore, che i consigli della Given alla se stessa bambina sono gli stessi consigli che avremmo voluto aver ricevuto tutte noi. Perché in fondo, per arrivare al cuore delle persone, non serve un trattato di filosofia femminista pubblicato dall’Harvard University (che pure mantiene la sua rilevanza teoretica e il suo valore di ricerca), ma basta una persona come Florence Given che dice le cose così come stanno, magari in una vignetta pop, magari in uno slogan su quella maglietta indossata senza reggiseno.
Autore
Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.