Giuseppe Palmisano è un artista pugliese classe ’89 che si è dedicato alla ricerca di un motivo per connettersi al mondo e alle persone. Ha fatto teatro, fotografato e sperimentato con la performance art. C’è chi lo ha conosciuto grazie al suo progetto fotografico @iosonopipo, in cui ragazze che indossano solo calze colorate entrano a far parte della scenografia domestica suggerendo una via per l’erotico.
Il corpo, anzi, nella sua animalità è poetico, è “divino”.
L’erotico, Georges Bataille
Forse è proprio per questo che dovrebbe essere meno scandaloso e più nostro. C’è anche chi si ricorderà il progetto di @vuoto.vuoto.vuoto e le quasi cinquecento ragazze che hanno risposto alla sua call.
Io, intanto ci chiacchiero un po’ per scoprire qualcosa in più su di lui. E gli faccio la domanda più insidiosa per rompere il ghiaccio, chiedo a Giuseppe Palmisano chi è Giuseppe Palmisano.
«Diciamo le cose semplici. Lo dico tra trent’anni. Sicuramente è qualcosa di complesso, non complicato. Forse a tratti complicato per me. Ma vorrei che la maniera in cui mi restituisco agli altri fosse meno artificiosa. Qui si apre il dilemma tra l’essere e il fare. Ho sempre pensato che quello che faccio derivi da quello che vivo. Ho sempre seguito il flusso di quella persona che vuole traslare più o meno occasioni partecipative. Mi riferisco al fruire ciò che può essere un’opera artistica attraverso le vicissitudini della propria vita. Perché essa fa da traduttore simultaneo del proprio vissuto, rendendola esperienza partecipata. Ecco, questo è quello che secondo me è l’opera d’arte, e lo è sempre, anche per chi la snobba e comunque in qualche modo ne partecipa. E io per certi versi, sono le mie opere d’arte.
Essere Giuseppe Palmisano significa ricercare in maniera quasi maniacale l’esperienza. Non solo quello che sono ma anche quante cose possiamo essere. Per me bisognerebbe parlare di quante cose siamo e quante ne riusciamo a raccontare. Io sono passato dal volerlo fare a tutti i costi al dire “Okay, non è possibile farlo”. Quindi mi sono fermato.
Forse adesso sono in una nuova fase che è quella del sticazzi. Non mi interessa più quanto e cosa possa arrivare, l’importante è fare e stare bene. Io da fruitore dell’arte, per esempio, sono sempre stato d’accordo con quello che volevo fare da artista. Quindi potremmo dire che Giuseppe Palmisano prima di essere un artista è un fruitore dell’opera d’arte. Poi dipende da cosa tocca l’artista. Se tocca le corde della vita privata, vuol dire che sta provando a condividere e in questo caso le cose vengono per necessità, perché l’arte è necessità; va a coincidere con la vita. Quindi, io stesso non so bene chi sono e dove sono arrivato».
Lo invito a raccontare i suoi progetti più importanti. Mentre mi risponde si versa il caffè.
«Devo fare una cronologia dall’anno 0? Sicuramente c’è da dividere. Oggi sono un po’ diviso, a dire il vero. C’è una parte delle mie esperienze che ha influenzato la mia visione e ha a che fare con la parte visiva, la fotografia. Ho sempre detto che tutto è partito il 4 novembre 1989, il giorno della mia nascita. E poi c’è la parte di azione performativa, che ha a che fare con il gesto, la decisione, che parte da quando ho deciso di intraprendere una carriera teatrale all’inizio. Quindi, nelle mie esperienze artistiche ci sono delle fasi. Non tanto opere. Ho capito solo dopo che quello che facevo poteva essere riconducibile alla figura di artista.
All’inizio facevo teatro, suonavo il violino. Fase in cui non comprendi, ma fai palestra. Tutto mi serve a fare quello che faccio. C’è questa fase propedeutica adolescenziale. Dal momento in cui ho preso in mano la macchina fotografica ho avuto un confronto con quello che era il web, anche se già era successo in passato con i vari primi social. Avevo già l’attitudine per i videone mi piaceva condividere fotografie divertenti. Così, man mano ho capito quali coordinate usare per delineare la fotografia di @iosonopipo. Poi c’è stato un punto in cui Io sono pipo è esploso nei miei occhi. Era il 2012.
Nel 2015, involontariamente, io non mi ero promosso molto, sono spuntati un sacco di articoli. Però io ormai avevo venduto la mia macchina fotografica, e questo ha aperto i presupposti per esser senza la fotografia. Quello è stato un atto di cesura, di riflessione che si è insinuato. Poi, anche grazie all’incontro con un mio amico a Bologna ho potuto riflettere su una pratica, un atto estemporaneo, situazionista.
Allora nel 2019 ho venduto @iosonopipo. E ci sono state azioni partecipative che avevano a che fare con la fotografia. Vuoto, è un progetto su cui ho lavorato per più di due anni. Con una call per più di quattrocento donne. Ma la foto era un pretesto per riempire uno spazio, il fine era far spostare le persone e creare qualcosa di corale. Uno dei motivi per cui faccio quello che faccio è far uscire di casa le persone. Quindi i miei progetti successivi sono stati incentrati più su questo. Organizzati in azioni relazionali tramite i social, il mio motore, che mi ha aiutato a riordinare centocinquanta donne o cinque persone per capodanno in un posto sconosciuto, a organizzare pranzi tra sconosciuti a casa della gente o a promuovere le installazioni, tra cui una a Bologna, in cui abbiamo piantato semi da far germogliare in Bolognina. A Lecce, invece, ho chiesto di abbandonare un oggetto, a Roma di riconciliarsi con qualcosa. In qualche modo era quello che stavo facendo con me stesso. Perdermi e ritrovarmi».
Gli chiedo se la parola artista sia un termine appropriato per descrivere ciò che fa.
«Non mi sono mai messo a cercarne un altro. Ci sono tanti sinonimi e il problema è che poi vanno spiegati. Essere artisti è sia un fare che un essere. Anche per tutte le altre cose, in realtà. Tutti i lavori sono così. Si può dire “Sono un pittore, e faccio il pittore”. Non so dove si trovi esattamente il discrimine. Forse sono quello che faccio. La parola artista mi definisce, sono un aggregatore culturale. Sono un topografo dell’immaginario. Sì, non penso ci sia un’altra parola se non artista per delineare una persona che ha a che fare con tutto ciò che riguarda la vita, lo stare a contatto con le persone, la politica, la socialità, la sfera delle emozioni, le domande, la crisi».
A questo punto, mi incuriosisce sapere cosa significhi vendere la propria identità artistica, come è accaduto con @iosonopipo nel 2019. E cosa lo abbia spinto a riprenderla in mano. Me lo faccio raccontare.
«Nel 2019 ho fatto dei giri, quindi sono andato fuori di me. E andando fuori sono entrato. Allontanandomi molto da me stesso, sono riuscito a guardare quello che avevo fatto. Mentre affettavo melanzane in cucina, in un ristorante, riflettevo su questa tensione che è quella tra l’opera e il fruitore. Ho venduto @iosonopipo su Ebay, il posto più pop possibile, più popolare. Chiunque poteva prenderla, era accessibile anche a livello di prezzo. Per me è stato anche un po’ un nascondersi. Però poi ho riflettuto sul riprenderlo in mano, che era un riprendere in mano me stesso, neanche più come possessore. Erano nate le riflessioni sull’opera partecipata, sull’abbandono e la possessione di qualcosa, sullo staccarsi da qualcosa, provando a creare una lingua universale come solo la fotografia sa fare. E forse è stato proprio questo a riaccendere il desiderio di riavere la possibilità utilizzare la macchina fotografica.
E quindi ho pensato “Prendo il profilo in mano” e mi sono fatto ridare la password. Potevo trovarci qualcosa di modificato o distrutto, però invece lo stato era pressoché lo stesso o meglio, il tempo aveva agito sul progetto e ho ritrovato qualcosa di familiare prendendo il social. Sono tornato senza pensarci, è stata una rimpatriata. Adesso mi sento più un custode che un proprietario. Che forse è più bello. È meglio custodire che possedere».
Gli chiedo se ha qualche suggerimento su come fare a ritrovare le cose.
«Per ritrovare bisogna essere capaci di perdere. Quindi per ritrovare bisogna aver perso, mandato via. Per riaccogliere, bisogna sgombrare uno spazio. A volte ripulirlo completamente. Per esempio io rinfresco il lievito e per riaccogliere lo stesso lievito il barattolino lo lavo, eppure potrebbe riaccoglierlo, ma ogni volta è una madre nuova e non voglio che stia a contatto con le vecchie scorie. Quindi il barattolino per riaccogliere viene completamente pulito e penso sia un po’ metaforico di questa cosa».
Sento che siamo arrivati alla fine perché la conversazione ha innescato un paio di riflessioni dentro di me. Gli chiedo dei suoi progetti futuri. Lui si soffia il naso scusandosi. Sorridiamo. Perché stiamo facendo finta di fare un’intervista molto formale, ma in realtà siamo amici.
«Molti sono progetti passati, perché ho riaccolto un sacco di cose e di idee che avevo. Alcune sono estemporanee, tipo quella che è successa il 6 gennaio 2023 a Roma. Altre sono in cantiere. Non so se è una crisi, però voglio sperimentare. Riprendere la macchina fotografica in mano. So abbastanza bene quello che ho fatto e non ho idea di quello che potrei fare e questa cosa mi gasa molto. Progetti futuri ci sono, però niente di così imminente, quindi poi tutto quello che avviene lo condivido tramite call sui social e sicuramente ho bisogno di un periodo di sperimentazione fotografico e poi riprenderò con tutte le call partecipative. Mi sono comunque spinto a segnare quando mi veniva un’idea nel periodo in cui non sono stato attivo e ho un piccolo diario di idee che da un lato mi piace anche solo così. Chissà, forse un giorno potrebbe essere una pubblicazione e non un qualcosa da cui attingo. Probabilmente ho un’idea di una pubblicazione su quello che è successo in dieci anni della mia più o meno piccola carriera. Forse ho in mente di cercare uno spazio fisico che aiuti a raccogliere. Uno studio, ecco. Quello è un progetto».
Prima di salutarlo gli chiedo cosa gli faccia da fonte d’ispirazione.
«Mi ha ispirato mia madre, mio padre. Le vicende della vita intorno a me. La necessità è qualcosa di intimo. Ma è più profondo, scavi e la trovi. Questo è legato al fatto che la mia prima esperienza è stata teatrale e performativa e io devo tutto a questo. Dentro di me avvengono le prove e poi ogni volta la pièce teatrale ha varie sfumature, vari colori. Però da attore è impossibile fare delle prove senza spettacolo, per me è sempre stata una prova aperta. E quasi sempre c’è il pensare a come questa idea possa essere tramutata in un’opera e condivisa»
Potete seguire i progetti di condivisione di Giuseppe Palmisano su Instagram qui: @iononsonopipo, ma anche @iosonopipo, o @vuoto.vuoto.vuoto. Oppure sostenerlo mettendo una firma sul sito Home (giuseppepalmisano.com). Lo ringraziamo per averci concesso di ospitare i suoi lavori su Generazione Magazine.
Autore
Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.