Povero linguaggio!

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«Sono depresso» dici e invece sei dispiaciuto. «Sono depresso» dici e invece sei demoralizzato. «Sono depresso» dici e invece sei insoddisfatto. «Sono depresso» dici e invece sei scoraggiato. «Sono depresso» dici e invece sei svilito. Sei svogliato, triste, cupo, mesto. Ma «anch’io sono depressa» dico, pur provando le sfumature di tutti questi sentimenti che con la depressione non c’entrano, seppure le si avvicinino. Depressa è l’unica parola che conosco, che conosciamo. Depressa è un container che ha inghiottito tutte le sfumature di emozioni a lei associate, diventate spazzatura mai riciclata, che sopravvivono nelle reminiscenze della memoria ma non trovano più spazio per la verbalizzazione. Il linguaggio è così povero che povero è diventato il pensiero. 

Non so più dire come mi sento, perché ho perso il linguaggio. Il linguaggio definisce il pensiero, meglio di quanto lo faccia l’immaginazione. Le parole presenti nell’ultima edizione del vocabolario “Lo Zingarelli” sono 145mila; di queste, solo 7000 compongono il nostro lessico fondamentale, meno del 5% dei vocaboli della nostra lingua madre. Parole di plastica, usate impropriamente. Comunicazioni veloci, flash news. Il lessico limitato impedisce una specificità adeguata nella descrizione oggettiva, approssimando il risultato finale. Nella descrizione di un fiore, gli aggettivi che riguardano il colore o la forma possono essere quasi infiniti, tuttavia, si dirà solo fiore bianco, fiore rosso, fiore di campo, fiore di mare. 

Il linguaggio, scelto adeguatamente, complessizzerebbe la descrizione della realtà oggettiva. Il percorso, dal pensiero alla frase pronunciata, contiene strutture organizzative limitanti. E invece che impegnarci a imparare nuovi modi per dire o allenarci nel tempo lento, approssimiamo, preferiamo la velocità e la semplificazione alla cura della parola. È vero che il mondo, pur non riconoscendolo del tutto, fronteggia un forte assedio da parte della storia. Il tardo-capitalismo ci chiede d’essere macchine da lavoro, una catena di montaggio da Ford, ma 2.0. È vero che il mondo corre, più di quanto le nostre gambe possano reggere, è vero che rifiuta la vita lenta, ma di questo passo non sapremo più pensare, o nel migliore dei casi le intuizioni non troveranno parola. C’è una tendenza mortifera nell’immediatezza e nella semplificazione. C’è una distanza irrecuperabile, insanabile tra la stratificazione dell’interiorità e la verbalizzazione dell’interiorità. Non c’è altro modo che parlare, per comunicare, eppure la velocità ci allontana. L’auto-narrazione, cioè la nostra voce narrante, che come un’ombra non smette di seguirci, è necessaria al nostro equilibrio, è la guida per il nostro posto nel mondo. La narrazione che facciamo a noi stessi ci protegge da ciò che è sconosciuto, dall’impronunciabile. E tutt* riconosciamo quanto sia importante collocare ciò che non ha parola, nella parola. Il linguaggio muto, ridotto all’osso, il linguaggio che manca spaventa, confonde, ci rende estranei, strani, inadeguati. Abbattendo le limitazioni lessicali, approssimate e superficiali, si conquista la libertà di rivelare la propria opinione, il proprio genere e la propria appartenenza culturale, con la chiarezza di chi non lascia scampo ad equivoci. La letteratura, in questo, gode di vita propria, è da considerarsi come una zona franca. Chi, prima di noi, prima di questo tempo, ha tentato di indagare l’animo umano e ha provato a descrivere il mondo, Proust e Wolf, Melville e Joice, ravviva la mia memoria, rispolvera il linguaggio, rievoca termini e verbi che servono a sviluppare spirito critico. 

La complessità della lentezza sfugge alla predazione della velocità 

Da un articolo di Christophe Calvé, “Diminuzione del Quoziente Intellettivo”, si dimostra che il livello di intelligenza misurato dai test del QI, negli ultimi quarant’anni, è in calo nei paesi più sviluppati. Il calo del livello medio di intelligenza potrebbe essere in parte attribuito all’impoverimento del linguaggio ed al restringimento del campo lessicale. La diminuzione del vocabolario riduce, infatti, anche le sottigliezze del linguaggio che consentono di sviluppare e formulare un pensiero complesso. Eliminare una parola non significa solo rinunciare al suo suono ma anche promuovere l’idea che il concetto che esprimeva non esiste più. Meno parole e meno verbi coniugati sono meno capacità di esprimere emozioni e meno opportunità di pensare. Gli studi hanno dimostrato che parte della violenza nelle sfere pubblica e privata deriva direttamente dall’incapacità di tradurre le emozioni in parole. 

Come costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza padroneggiare il condizionale? Come immaginare il futuro senza coniugazione del futuro?

Come comprendere una temporalità, una successione di elementi nel tempo, che siano passati o futuri, nonché la loro durata relativa, senza un linguaggio che faccia la differenza tra ciò che avrebbe potuto essere, ciò che era, ciò che è, cosa potrebbe succedere e cosa accadrà dopo che ciò che potrebbe accadere è accaduto? 

Per le persone sarà sempre più facile esprimersi e dare connotazioni ai loro messaggi attraverso i nuovi codici interattivi, piuttosto che utilizzare definizioni appropriate. I nuovi media hanno un potere di attrazione maggiore rispetto alla lettura. I dati ISTAT dicono che nel 2015 il 45,6% dei giovani dai 20 ai 24 anni ha letto almeno un libro; mentre nel 2016 il 90,7% dichiara di aver utilizzato internet.

Attenzione. I due mondi possono coesistere. Sono complementari, uno riesce in uno scopo in cui l’altro fallisce. I social media sono uno strumento, la loro validità dipende dal modo in cui sono utilizzati. L’impoverimento del linguaggio ha a che fare con la digitalizzazione, nell’accezione in cui la digitalizzazione ha a che fare con la velocità e la velocità è figlia del capitalismo. 

Non so. Sempre più spesso penso di tornare a vivere in campagna, dove non c’è spazio per l’inquinamento acustico e nessuna agenda da spuntare. Molto tempo per la vita lenta. 

Autore

Cresciuta nella campagna Casertana, non a raccogliere margherite ma a catturare gatti, scrivo e leggo da quando posso ricordare. Ho studiato scienze cognitive perché le domande sono meglio delle risposte. Mi vedo cambiata, ma mi incastro sempre negli stessi ganci.

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