Quando senti parlare di autismo la prima volta rischi di essere troppo piccolo per capire di cosa si sta parlando. Quando arrivi a capirlo probabilmente sei troppo coinvolto per non pensare che non sarà per sempre parte del tuo quotidiano. Del resto, difficilmente puoi capire che cosa significa realmente convivere con questo disturbo a meno che tu non sia un addetto ai lavori o che in famiglia tu non abbia qualcuno che soffre di questo disturbo. Nel resto dei casi puoi pensare di sapere di cosa si sta parlando, puoi arrivare a capire che esistono varie forme di autismo, più o meno gravi, che possono avere nomi diversi, dove ogni nome indica una specifica sfumatura di questo disturbo e potresti anche riuscire a capire quando una persona soffre di questo disturbo. Tuttavia, capire che cosa è l’autismo è un’altra cosa.
I disturbi dello spettro autistico colpiscono, solo in Italia, tra le 300 e le 500mila persone e si stima che 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenti un disturbo dello spettro autistico, con una prevalenza maggiore nei maschi (4,4 volte in più rispetto alle femmine). Negli Stati Uniti, invece, il numero di persone con autismo si aggira intorno ai 3,5 milioni.
Un’altra stima tutta italiana stabilisce che i casi di autismo siano raddoppiati negli ultimi dieci anni. Nel 1994 i bambini affetti da autismo erano circa il 6% su una campione di mille bambini. Nel 2004 sono il 14%. Questo, però, è dovuto anche a una maggiore capacità nella diagnosi di questo disturbo.
Un aspetto complesso che riguarda questa dimensione è, infatti, che ogni individuo che ne è affetto ha delle caratteristiche personali uniche e irripetibili. Non è facile, dunque, nemmeno per insegnanti e educatori, avere delle linee guida chiare su come comportarsi a scuola, per favorire al massimo l’inclusione dei bambini con un disturbo dello spettro autistico
La scrittrice e blogger Carrie Beckwith Fellows, che da anni si occupa di disabilità, ci fornisce una precisa diapositiva di come la società di oggi si riferisce all’autismo: «Oggigiorno, molte persone pensano che lo spettro autistico sia una linea retta che abbia un’estremità una forma grave di autismo, mentre dall’altra quella lieve, ma in realtà non è così semplice. L’autismo è come un caleidoscopio di colori, dove esistono sfumature diverse della stessa condizione».
È importante sottolineare che l’autismo non è limitante unicamente per la persona affetta da questo disturbo, ma anche per tutte le persone che gli orbitano intorno.
Ogni 2 aprile in tutto il mondo si celebra la giornata mondiale sulla consapevolezza dell’autismo
Si parla di consapevolezza perché è una condizione estremamente difficile da capire, come detto all’inizio, e a meno che tu non abbia che fare direttamente con questo tipo di disturbo probabilmente non puoi arrivare a una reale consapevolezza. Avvicinarsi a questa dimensione è l’unico modo per provare a costruire consapevolezza. A volte però questa si scontra con l’indifferenza. Qualche giorno fa, non molto distante dalla nostra redazione, è andata in scena una rappresentazione brutale, che con la consapevolezza ha ben poco a che fare; al contrario ha molto a che fare con un’estrema indifferenza.
Una donna è in fila davanti al chiosco di Santa Maria Maggiore, riconvertito in un hub per il rilascio della carta di identità elettronica. La donna non è sola, è accompagnata dal marito e da suo figlio affetto da autismo di nove anni. La mamma conosce i limiti del figlio e soprattutto sa interpretare i suoi comportamenti. Dopo un’ora in fila inizia a capire che il bambino inizia ed essere insofferente. Si avvicina allo sportello per chiedere la cortesia, di poter saltare la fila per accelerare i tempi. L’operatore risponde che tutti hanno dei problemi e che non poteva far passare avanti il figlio solo perché autistico, aggiungendo che «neanche si capiva, avesse avuto almeno la carrozzina…». Le altre persone in fila sono rimaste completamente indifferenti alla scena. Nessuna di queste si è offerta di cederle il posto.
Purtroppo, non si può capire cosa significa dover quotidianamente convivere con questo disturbo: se l’operatore avesse soltanto immaginato la forza ma soprattutto la fatica con cui quotidianamente le famiglie riescono a costruire una giornata dopo l’altra e se avesse immaginato la costante preoccupazione di un genitore che si interroga su come farà il proprio figlio una volta che non ci sarà più, non avrebbe pensato alla carrozzina.
Autore
Viterbese di nascita, sono laureato in scienze politiche e governo delle amministrazioni a Padova. Nella stessa città ho conseguito un master di primo livello sullo sviluppo locale sostenibile. Ora studio Law, digital innovation and sustainability presso l’università Luiss Guido Carli a Roma. Giocatore di rugby fin da bambino, sono promotore del primo progetto di educazione alla sessualità all’affettività all’interno del contesto sportivo rugbistico e direttore artistico di Encore Festival, festival musicale culturale che si svolge a Viterbo.