Acquistare per vendetta dopo le privazioni della pandemia: si chiama Revenge-Buying e tutti noi lo abbiamo fatto almeno una volta

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Dal marzo 2020, la nostra relazione con il concetto di acquisto è cambiata notevolmente. Abbiamo visto supermercati presi d’assalto, prodotti “di prima necessità” sparire dagli scaffali, file interminabili davanti alle tabaccherie per far scorta di sigarette, cercare, come se avesse proprietà salvifiche, l’ultima confezione rimasta di gel igienizzante. 

Da quel periodo molte dinamiche sono cambiate: quel terrore di rimanere improvvisamente senza qualcosa è sostanzialmente svanito. Ciò che però si è intensificato è il meccanismo opposto: spendere soldi, quasi ossessivamente, per avere tutto ciò che una situazione di quarantena rende superfluo.

Revenge buying e pandemia

Ecco allora che, già da un po’ di tempo, si parla di revenge buying o revenge shopping, ed indica una tipologia di acquisto che si verifica quando le persone comprano quasi per vendicarsi di tutte le privazioni che, le fasi più acute del Covid, hanno imposto.

In Cina, dopo la prima ondata di contagi, si è registrato, ad esempio, un dato particolare: la boutique di Hermès a Canton ha incassato, in un solo giorno, circa 2,7 milioni di dollari, proprio a dimostrazione di questo strano meccanismo in cui la ritrovata libertà si traduce in un’intensificazione dei consumi.

Dinamiche psicologiche che muovono il revenge buying

Per spiegare il meccanismo, partiamo dalla piramide di Maslow. Nel 1943, Abraham Maslow, psicologo statunitense, esponente di spicco della psicologia umanistica, teorizza la sua famosa Piramide, ovvero una gerarchizzazione dei bisogni umani secondo il grado di realizzazione sociale che questi rappresentano nella vita delle persone. Maslow collocava il bisogno di appartenenza, inteso come la definizione del sé in relazione agli altri e alla società, come uno dei bisogni primari dell’uomo, subito dopo i bisogni fisiologici necessari al sostentamento. Nel bisogno di appartenenza, pertanto, rientrano tutte quelle dinamiche relazionali legate al concetto di sicurezza, ovvero quelle dinamiche mosse dalla paura di non-appartenenza.

In questa definizione si inserisce il tema del riscatto sociale, inteso come la necessità dell’essere umano di sentirsi parte di un insieme, di un gruppo, proprio in opposizione alla condizione di esclusione sociale e di emarginazione. Tutti i comportamenti che le persone adottano per sopperire alla mancanza di appartenenza sono da considerarsi vere e proprie strategie per raggiungere l’obbiettivo di colmare quel bisogno. 

Le persone particolarmente sensibili all’ansia e affette da disturbi d’ansia sociale sono molto più suscettibili al bisogno d’appartenenza e tendono a sviluppare un rapporto competitivo con l’altro per la necessità di dimostrare il proprio status all’interno del contesto in cui sono inseriti. Questo si traduce spesso in comportamenti agonistici socialmente riferiti (come la necessità di primeggiare), ma anche ego-riferiti (come l’ansia da prestazione).

L’evento traumatico della pandemia ha messo in crisi l’appartenenza sociale

Il susseguirsi dei vari lockdown e le continue restrizioni causate dalla pandemia di Covid-19, hanno portato ad una forte limitazione del raggio d’azione delle persone, limitazione che ha interessato anche (e soprattutto) la sfera del bisogno di sicurezza e di appartenenza. Questo ha causato ciò che in psicologia descriveremmo come un vero e proprio evento traumatico, dovuto alla mancanza di stabilità nel processo di riconoscimento sociale. Per sopperire al dolore traumatico, pertanto, si è verificato l’innescarsi di meccanismi di “ricompensa”, come quello del revenge shopping.

Per capirlo meglio, proviamo a pensare a quante volte, durante i lockdown, ci è capitato di pensare frasi come «se dovessero riaprire bar e locali… non mi vedrete più», o anche «appena ci sarà di nuovo la possibilità di andare a cena fuori spenderò tutti i miei soldi al ristorante».

Ecco, il meccanismo che innesca questo tipo di pensiero è proprio quello del volersi riscattare di una sicurezza perduta, della paura di non-appartenenza sperimentata durante il momento di crisi.

Il riuscire a riconoscere tali comportamenti, in sé, è già un grande passo avanti nel superamento del trauma e potrebbe aiutarci a capire quando alcune delle nostre azioni sono mosse dal desiderio di vendetta e di riscatto più che dal piacere reale.

Autori

Maria Chiara Cicolani

Maria Chiara Cicolani

Vice Direttrice

Mi sono laureata in Filosofia a Roma. Ho vissuto per un po’ tra i fiordi norvegesi di Bergen e prima di questa esperienza mi reputavo meteoropatica, ora non più. Mi piace la montagna, ma un po’ anche il mare. Il mio romanzo preferito è il Manifesto del Partito Comunista e amo raccontare le storie.

Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.

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