I Promessi Sposi sono il romanzo più noioso di sempre ma solo se si studia a scuola

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Condannati allo studio di quest’opera sin dai primi anni di scuola, arresi alla divisione in sequenze di capitoli interi e alla descrizione dei personaggi in base ad alcuni passi. Tutti, anche precocemente, imbattuti in un romanzo che ci è stato presentato per il suo immenso – e riconosciuto, ovviamente – valore letterario, del quale però spesso si è perduto il vero insegnamento.

Cosa ci può lasciare la lettura del capolavoro di Manzoni? Quanto si è perso a scuola a discapito di un’analisi passiva, obbligata e meccanica? Perché, oltre che essere il primo romanzo storico italiano, è davvero giusto che venga insegnato ai nostri studenti e ancor di più che meriti una seconda lettura più consapevole, più lucida, più pronta ad accogliere il bello che è celato.

Scopriamolo insieme e viaggiamo a ritroso nel tempo, nella Lombardia descritta da Manzoni durante il periodo dell’occupazione spagnola, fra il 1628 e il 1630.

Tutto è bene quel che finisce insieme

I due promessi sposi sono Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due giovani apparentemente senza alcun dramma sentimentale –il che è già molto– che decidono appunto di convolare a nozze. Tutto nella norma fino a quando Don Abbondio, ecclesiastico col compito di celebrare il loro matrimonio, viene frenato dal signorotto di paese Don Rodrigo, invaghito della bella Lucia: In due è amore, in tre è una tragedia.

Renzo disperato chiede in primo luogo aiuto all’Azzeccagarbugli, avvocato, che però si rifiuta intimorito da Don Rodrigo. Stesso esito col frate cappuccino Cristoforo, che tuttavia tenta di bloccare il malvagio signorotto, ma fallisce. Nel mentre case, libri, tentativi di nozze a sorpresa, un rapimento da parte dei bravi, auto, fogli di giornale e le strade dei due innamorati si dividono: Lucia a Monza, in un convento, e Renzo a Milano, nel caos dei tumulti popolari.

Gertrude, la monaca di Monza, collabora con l’antagonista della storia e lascia che Lucia venga rapita da un certo Innominato – non Voldemort, ma «un signorotto di statura grande, calvo e con pochi capelli bianchi», come lo descrive Manzoni – che la stessa notte però, convinto dall’implorare della fanciulla disperata, si converte e la libera. Una grazia (quella del Signore), una graziella (Lucia, teneramente convincente) e grazie al pazzo (l’Innominato illuminato).

E che non lo aggiungi un altro po’ di disordine alla storia? Arrivano i Lanzichenecchi in Italia, e con loro il morbo della peste. Però i pipistrelli di Wuhan ancora non esistevano. Renzo si ammala, Don Rodrigo pure – perché le disgrazie colpiscono sia il buono che il cattivo- ma l’ultimo morirà. Renzo si salva e si ricongiunge a Lucia, che finalmente riesce a sposarlo. Tutto è bene quel che finisce insieme.

Sì, d’accordo, ma poi… tutto il testo è noia?

Dopo aver letto attentamente il romanzo, aver studiato la complessa psicologia dei personaggi, aver ritirato i panni che Manzoni ha sciacquato nell’Arno, cosa ci resta? Una morale, un insegnamento da trarre sia dalla conclusione generale dell’opera che dai singoli passaggi che questo capolavoro ci offre, custodendolo con cura.

«Se non andrà bene, non è la fine». Prima di tutto: impariamo ad aspettare, che il lieto fine può arrivare davvero. Non importa che l’amore della tua vita sia preda di un riccone potente che ha come seguito un branco di criminali, non importa una pandemia che porta allo strenuo un’intera società, non importa nemmeno che tu sia un poveraccio che si ritrova a protestare per il pane senza un minimo di speranza; questo da qualche parte porterà, e sarà sicuramente il posto giusto, quello in cui bisognava trovarsi. Nel lungo e travagliato cammino di ognuno, un piccolo e insignificante incontro può cambiare radicalmente la situazione: non temiamo dunque ciò che si presenta come inaspettato, perché in realtà può essere qualcosa di profondamente rivoluzionario.

L’Innominato: senza volto ma con un risvolto. Manzoni ci dà pochissime informazioni riguardo a questo personaggio, in realtà di una profondità psicologica incredibile. È senza volto e senza un’apparente storia, collabora con Don Rodrigo e porta avanti il rapimento della bella Lucia. Dunque sembra svolgere la funzione di antagonista nella storia, fino a quando, una volta portata Lucia nel suo castello, si spoglia della sua malvagità e fa emergere la sua vera natura: vulnerabile e pentito, si converte. Non ha una concreta identità, non conosciamo le sue origini, tuttavia sappiamo essere un peccatore sulle note di Tu t’e’ scurdat ‘e Dio, un po’ il Liberato di cui avevamo bisogno.
Cosa ci lascia questa inaspettata conversione? Che possiamo cambiare, anche dopo una vita nell’ombra, riaccendendo la nostra luce. Per l’Innominato con la fede, per noi con qualsiasi cosa che possa dare un risvolto positivo alla nostra esistenza, che come ci insegna il Manzoni ha sempre possibilità di migliorarsi.

Renzo: dovrò soltanto reimpare a camminare ♫. Manzoni descrive la situazione disastrosa nella Lombardia del tempo: proteste in strada, burocrazia assente, mancanza di tutele, insoddisfazione, nessun diritto d’asilo, corruzione e pandemia incombente. Niente di troppo lontano da noi. Eppure, in tutto ciò, Renzo non si ferma. Ha mal d’amore come uomo e male civico come cittadino, eppure non si arrende e si muove. In prima fila lui stesso protesta, si risveglia la coscienza morale di una società e si combatte per la libertà in nome del bene comune. Cosa dovremmo imparare? A spostarci, come fa Renzo. Un movimento che sa di protesta e di non resa, che abbandona l’egoismo del singolo e si apre invece al mondo che finalmente ritrova un’idea di civiltà.
E l’amore poi parla, e la strada parallelamente ritrova voce.

Promessi Sposi, promessi lettori

Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessione che un romanzo così potente può offrirci. Scene, luoghi e comportamenti che possiamo accogliere e possono permetterci di ragionare, prendendo dalla tradizione letteraria una lezione preziosa che prima di tutto bisogna tenere a mente: impariamo ad andare oltre la piattezza di un insegnamento scolastico, se questo non ci ha acceso sufficientemente. Rileggiamo, approfondiamo, immedesimiamoci: diventiamo Promessi lettori, prima che semplici studenti.

E le promesse, come sappiamo, vanno mantenute.

Autore

Aurora Rossi

Aurora Rossi

Autrice

Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.

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