La Tour Eiffel come simbolo francese
Parigi, maggio 1889. Aprono al pubblico entusiasta i cancelli della decima esposizione universale. Prima ancora di poter apprezzare le nuove invenzioni e acquistare i brevetti delle ultime tecnologie il visitatore rimane ammaliato alla vista del nuovo gioiello cittadino: la Tour Eiffel. Questa torre, realizzata in poco più di due anni, rappresenta con la sua struttura all’avanguardia l’emblema dell’avanzamento industriale francese, diventando dapprima l’attrazione principale dell’esposizione e successivamente simbolo della città e della Francia intera nel mondo, tanto da essere conservata anche dopo la chiusura dell’evento, contrariamente a quanto previsto originariamente. La torre non è l’unico caso in cui un grande evento ha cambiato le sorti di una città, arricchendola di architetture e donando nuova identità a intere metropoli. Tutti gli eventi straordinari, infatti, impattano sulla figura del luogo che li ospita ma le esposizioni universali sono la categoria che lasciano maggiormente il segno nell’immagine architettonica e urbanistica del territorio.
Esposizioni universali e architettura
Il concetto di esposizione universale come lo conosciamo oggi nasce a metà Ottocento dalla necessità di diffondere, tramite un unico evento, le invenzioni tecnologiche sviluppate in ogni paese, cercando al contempo di dimostrarne l’avanzamento industriale al cospetto del mondo. Il rapporto tra architettura ed esposizioni è naturale e viene posto in primo piano già dalle prime edizioni. Gli edifici fieristici, infatti, non sono più solo sterili contenitori ma anche opportunità di condivisione delle nuove tecniche costruttive ereditate dalla rivoluzione industriale, rendendo la disciplina progettuale un mezzo privilegiato per la comunicazione delle potenzialità tecnologiche delle nazioni. I padiglioni nazionali mettono in mostra l’importanza del paese che li costruisce, spesso con l’utilizzo di soluzioni architettoniche volte a creare stupore (vedi la Tour Eiffel). Infatti, fin dal Crystal Palace, realizzato da Joseph Paxton per ospitare la prima great exhibitiondel mondo a Londra nel 1851, il progetto di una mostra universale ha come esito edifici non solo pratici ma anche rivoluzionari, con il fine di dimostrare la supremazia tecnica e culturale del proprio paese.
La promozione delle culture nazionali partecipanti
Le esposizioni universali, inoltre, hanno da sempre avuto il compito di esportare le diverse culture dei paesi partecipanti, spesso attraverso l’utilizzo di architetture eclettiche, che in un solo edificio racchiudevano elementi caratteristici dei più rappresentativi stili architettonici nazionali. È in questo contesto che si sviluppano, ad esempio, il borgo e la rocca medievale che si possono trovare all’interno del Parco del Valentino a Torino. Questo complesso viene progettato per ospitare il padiglione italiano all’esposizione universale tenutasi nella città sabauda nel 1884, con l’intento di immergere il visitatore in un tipico villaggio del Piemonte tardo-medievale. Questo caso dimostra come spesso il fulcro dell’esposizione sia la rappresentazione della cultura locale attraverso i caratteri dell’architettura. Un ulteriore esempio di architettura eclettica a scopo espositivo viene costruito pochi anni più tardi, in occasione della mostra millenaria di Budapest del 1896. Nel parco cittadino Városliget viene riprodotto un castello della Transilvania, riadattato con elementi romanici, gotici, rinascimentali e barocchi. Originariamente realizzato in cartone e legno come architettura effimera -un romantico pastiche destinato a sciogliersi nel giro di pochi mesi-, questo castello viene successivamente ricostruito in muratura con funzioni permanenti grazie al grande affetto sviluppato nei suoi confronti dai visitatori e dalla città stessa. Questa sorte è capitata anche all’esempio torinese, destinato anch’esso alla demolizione pur essendo costruito originariamente in solida muratura. La demolizione del borgo non è mai iniziata e dagli anni Quaranta dello scorso secolo è stato riconvertito in museo civico.
Expo 2008 per lo sviluppo urbanistico di Saragozza
Da inizio Novecento, con il passare delle edizioni e lo sviluppo tecnologico sempre maggiore, il numero dei paesi che partecipano alle mostre universali è andato crescendo. Ad oggi eventi di questo tipo necessitano di grande organizzazione, investimenti cospicui e molta attenzione agli effetti sulla città, che non sempre vengono gestiti in maniera ottimale. L’Expo svoltasi a Saragozza nel 2008 è un esempio di come l’evento straordinario sia stato sfruttato per la riqualificazione e l’espansione della città, concentrandosi sul tema del rapporto con l’acqua. Saragozza 2008 è la prima edizione tematica, ovvero che fissa un tema comune a tutti i partecipanti, con l’obiettivo di condividere soluzioni e tecnologie e approfondire nel dettaglio un argomento unico. L’aspetto più interessante di questa edizione è probabilmente il fatto che la pianificazione del post-expo sia avvenuta prima dell’organizzazione dell’evento stesso. In particolare, l’amministrazione ha deciso che la struttura fisica che si sarebbe dovuta creare ad hoc dovesse corrispondere ad un futuro quartiere della città che mettesse in comunicazione l’abitato esistente con il fiume Ebro. Questo ha permesso un riutilizzo quasi totale del sito, grazie ad una progettazione che aveva negli obiettivi prefissati il disegno di edifici stabili, flessibili e non effimeri. Questa pianificazione ha permesso lo sviluppo di Saragozza nel settore degli studi ambientali, arrivando a ospitare il centro di riferimento per l’ONU in materia acqua.
Milano effetto Expo
Seppure con un’organizzazione più rocambolesca, anche Expo Milano 2015 a tema “nutrire il pianeta” è un esempio lampante degli effetti positivi delle mostre universali sulle città che le ospitano. La candidatura di Milano a sede Expo è stata avanzata e supportata fino alla vittoria grazie alla prospettiva dei progetti di riqualificazione urbanistica e ambientale previsti per l’intero territorio urbano. Tralasciando le vicissitudini giudiziarie che Expo 2015 ha vissuto, l’esito dei lavori ha evidenziato come furono disattese molte delle realizzazioni previste; in primis l’attesissima riapertura dei Navigli al traffico turistico e commerciale. L’influenza positiva dell’evento, infatti, non è tanto legata agli interventi contestuali per l’esposizione ma è dovuta alle conseguenze dirette che essa ha avuto sull’indotto economico milanese. Expo 2015 è stata la scintilla che ha scatenato una corsa agli investimenti privati, che hanno contribuito a riqualificare non solo la forma fisica della città, ma anche l’immagine di Milano nel mondo. Da città grigia e industriale, nebbiosa e malcontenta, il capoluogo meneghino è diventato una delle mete turistiche con la maggiore crescita di arrivi degli ultimi anni, superando Roma per presenze annuali. Questa felice fase economica ha permesso l’ammodernamento della città, che nel contesto di Expo ha visto catalizzarsi importanti investimenti immobiliari che stanno modificando l’immagine della città da luogo dove voler lavorare a città dove voler vivere.
Come dimostrano questi esempi, fin dalla nascita del concetto di esposizione universale, questi eventi hanno avuto un forte impatto sull’immagine formale delle città attraverso gli esiti della progettazione, sia in campo architettonico che urbanistico, contribuendo a creare dei landmark che si fissano nell’immaginario collettivo di un luogo. Senza Expo, a Parigi mancherebbe un’appendice, Milano sarebbe rimasta una nebbiosa fabbrica a cielo aperto e Saragozza avrebbe ancora un rapporto conflittuale con l’acqua.
Autore
Friulano, classe 1997. Durante il liceo linguistico ho passato dieci mesi in Texas e non ci sono più tornato. Mi sono trasferito a Roma per l’università, provando Medicina, Economia, Lettere Moderne, per approdare poi ad Architettura. Ho una passione scostumata per l’edilizia storica e amo da poco la montagna.