Matteo Pugliese è un analista nel settore degli Studi Strategici. In particolare, si occupa di sicurezza internazionale e terrorismo. In passato ha collaborato con l’ISPI e dal 2020 scrive approfondimenti per il quotidiano Domani, concentrandosi ultimamente soprattutto sul conflitto russo-ucraino e sull’influenza della propaganda russa nei media italiani.
Lo abbiamo intervistato per capire quanto accaduto nelle recenti elezioni presidenziali moldave e in generale che ruolo l’information warfare gioca nei conflitti odierni, soprattutto in quello russo-ucraino.
Da quando la Russia ha aggredito l’Ucraina nel 2022, ti sei occupato di questo conflitto dal punto di vista del tuo settore, gli Studi Strategici. In particolare, nei mesi di marzo-giugno 2022 hai studiato la permeabilità dei media italiani all’infowar russa, arrivando a concludere che questo è un vero e proprio strumento di guerra implementato dalla Russia di Putin. Secondo te, tra i conflitti attualmente in corso, quello russo-ucraino è quello in cui la guerra ibrida trova più applicazione?
«Ci sono una serie di conflitti dove si è palesata per la prima volta questa nuova dimensione. Ai domini tradizionali (mare, terra, aria) negli ultimi anni si sono aggiunti nuovi domini (spaziale e informativo), e non è detto che quello ucraino sia necessariamente il solo contesto in cui questo tipo di attività abbia avuto più risalto. A Gaza gli aspetti mediatici hanno avuto un impatto, come anche nei conflitti asimmetrici in Africa. Quello che forse in Ucraina ha avuto più rilevanza è il fatto che da entrambe le parti è aumentata la consapevolezza di quanto sia importante questo strumento, sia per il conflitto stesso sia per cercare di plasmare una propria agenda nei confronti degli alleati. Nel conflitto russo-ucraino ci sono esempi chiarissimi di come questo dominio di guerra sia stato utilizzato: gli stessi stessi ucraini ne hanno beneficiato in vari modi (leggevo sul Times – qui – una settimana fa un esempio interessante di un’attività condotta dagli ucraini nei confronti dei soldati russi: sono riusciti ad accedere alle cartelle mediche di alcuni ufficiali modificandone dei dati e quindi facendo sembrare che fossero malati, di modo che venissero richiamati dal fronte. In particolare, uno di questi ufficiali ha dovuto assentarsi dal fronte per tre mesi prima che venisse accertato che non era veramente malato. Di fatto è stato più efficace portare via dal campo di battaglia un ufficiale in questo modo che ferendolo in combattimento). Questo è solo un esempio per capire quanto sia effettivamente importante questa dimensione».
Lo scorso gennaio la Russia ha condannato i fatti di Acca Larentia. Cosa che facciamo anche noi, ovviamente. Solo che in ottica russa, questa condanna avalla la tesi per cui l’Occidente sarebbe ancora intriso di nazismo e quindi la guerra in Ucraina è giusta in quest’ottica di de-nazificazione. Come possono i cittadini fare questo passaggio in più, e cioè capire quando qualcosa che parla di noi vada in realtà collocato all’interno di una linea narrativa più ampia, se quella linea narrativa sta diventando sempre più subdola e “normalizzata” (almeno dai nostri media)?
«Dal punto di vista delle narrazioni strategiche, un aspetto molto interessante di quelle russe è la loro contraddittorietà. Riescono a convincere settori dell’opinione pubblica di narrazioni completamente opposte fra di loro, ad esempio portano avanti quella sulla rinascita del pensiero fascista in Europa, ma allo stesso tempo descrivono l’Europa come un continente decadente dove dilagano i diritti LGBTQ+ e non ci sono più valori tradizionali. Queste due narrazioni sono in completa contrapposizione l’una con l’altra, eppure riescono a fare breccia in settori dell’opinione pubblica. Alcune, secondo me, hanno più efficacia perché fanno leva su dei sentimenti e su delle idee che sono già presenti nella società target, per esempio sentimenti di omofobia, razzismo, simpatie per un modello autoritario (tutte cose riscontrabili in fasce dell’opinione pubblica italiana), quindi hanno più facilità di trovare terreno fertile. A livello europeo molto è cambiato negli ultimi 2 anni, mentre in Italia ancora deve prendere forma questo tipo di difesa, la “difesa totale” dei paesi, che comprende anche la difesa della società da una minaccia ibrida di questo tipo. In Ue dal 2023 è stata creata con la creazione del FIMI-ISAC, un centro in cui varie organizzazioni, sia pubbliche sia private, cercano di mettere in comune tutte le informazioni raccolte su operazioni di questo tipo e anche di sensibilizzare l’opinione pubblica europea. In Italia ancora ci sono anticorpi molto deboli, per fattori ideologici ma anche perché c’è ancora poca consapevolezza a livello politico di quanto sia pericolosa questa minaccia. Alcuni settori delle istituzioni italiane, in realtà, specie gli ambienti militari l’hanno capito (le dichiarazioni sia di Cavo Dragone – capo di stato maggiore della difesa fino a ottobre 2024 – sia di Masiello – capo di stato maggiore dell’Esercito italiano – sono chiarissime sul fatto che il dominio informativo è una minaccia di guerra ibrida diretta all’Italia), altri settori invece forse non la ritengono ancora una priorità come dovrebbe essere, ed è per questo che qui non esiste una struttura pubblica che si occupi esclusivamente di questa minaccia – come invece c’è in altri Paesi. Queste strutture o agenzie analizzano e mettono al corrente le istituzioni e il governo di quali campagne vengono messe in moto. Eppure ancora non c’è una grande consapevolezza (o forse la volontà politica) di implementare una strategia concreta e seria di questo tipo in Italia».
Che costo possiamo immaginare abbiano per un Paese come la Russia – che abbiamo detto farne ampio uso – tutte queste operazioni?
«Con Debunk.org abbiamo calcolato quanto viene destinato dal budget pubblico alla macchina della propaganda russa, nella sua applicazione tanto interna quanto esterna. Nel 2022, per esempio, sono stati investiti 1.9 miliardi di dollari, a cui si aggiunge il budget per le agenzie di intelligence russe che gestiscono operazioni di disinformazione. La disinformazione è uno strumento militare, e si evince proprio dal fatto che viene condotta da reparti militari. Ci sono diverse unità dell’intelligence russa che si occupano esclusivamente di implementare operazioni di disinformazione. A cui poi si aggiungono anche una serie di organizzazioni private che lavorano su commissione dell’amministrazione presidenziale russa. Vengono utilizzate un mix di strutture pubbliche e organizzazioni private per mettere a segno queste campagne aggressive di disinformazione o misinformaizone, prendendo le vulnerabilità informative di un contesto e sfruttandole a proprio vantaggio. Questo richiede un immane sforzo economico, perché per creare tutti i canali che vengono utilizzati nella sfera digitale, condurre programmi (che in Europa sono bloccati ma in contesti come quello africano o sudamericano canali come Sputnik o Russia Today vengono trasmessi e attecchiscono anche facilmente sulla popolazione) e implementare le operazioni di interferenza».
Le scorse settimane in Moldova si sono tenute due consultazioni importanti: il referendum per un impegno formale all’adesione Ue scritto in Costituzione, e le elezioni presidenziali. Al referendum ha vinto il “Sì” per il rotto della cuffia; alle presidenziali è stata confermata al ballottaggio la presidente uscente, Maia Sandu, filoeuropeista. Sia lei sia l’avversario del ballottaggio, filorusso, hanno contestato la modalità in cui queste elezioni si sono svolte: lei ha parlato di un’ingerenza russa senza precedenti, lui contesta i risultati dei moldavi residenti all’estero (molto filoeuropeisti).
Ci parli un po’ di delle varie tecniche che sono state apparentemente implementate dalla Russia durante queste elezioni moldave? Ho letto di finti allarmi bomba, aerei con cittadini con doppio passaporto, pagamento di mazzette. A chi spetta verificare quante di queste notizie e in che misura sono vere?
«Nella stessa Moldova ci sono una serie di organizzazioni e siti di fact-checking che si occupano di verificare le campagne di disinformazione russe. Quando si tratta di fatti totalmente inventati è facile de-costruirli. Un’altra cosa invece è quando si tratta di narrazioni più astratte, ad esempio quella per cui entrare nell’Unione Europea comporterà una deriva LGBT.
Prendiamo per esempio il caso dell’Operation Middle Floor: una rete russa ha inviato, a funzionari dei vari ministeri moldavi, e-mail apparentemente provenienti dalle istituzioni europee, cercando di influenzare in negativo l’opinione sull’UE di funzionari del governo moldavo. Un’analisi approfondita fatta a partire dai domini di questi indirizzi mail ha determinato che questi domini erano falsi e che i documenti contenevano al loro interno una serie di errori, anche di traduzione (le e-mail erano state scritte in russo e poi dal russo tradotte all’inglese). Ecco, in casi come questi è più facile capire e smontare questo tipo di operato.
Per quanto riguarda cosa è successo in Moldova, possiamo dire che questo Paese rappresenta, a mio avviso, un esempio da manuale delle “misure attive” (termine usato dai tempi dell’Unione Sovietica per identificare questa serie di operazioni di interferenza della Russia) russe. La Moldova è un paese piccolo, con una popolazione contenuta, dunque è facile per la Russia mettere in campo quasi tutto l’arsenale di strumenti a disposizione, a cominciare dalle ingerenze elettorali più pesanti, come tutte le operazioni di corruzione elettorale: per esempio si sa che da due anni c’è una sorta di sistema di corrieri che cercano di far entrare nel Paese migliaia di dollari ciascuno per poi finanziare la campagna elettorale dei partiti legati al Cremlino e per comprare letteralmente i voti – la polizia ha calcolato che sono stati pagati almeno 130.000 cittadini moldavi. Un’analoga operazione è stata fatta nella regione della Gagauzia, una regione con statuto di autonomia e fortemente filorussa, che ha concluso un accordo con le banche di Stato russe per pagare ai pensionati di questa regione le pensioni in rubli. Al di là delle operazioni più pesanti di brogli o di corruzione elettorale, sono avvenute anche tutta una serie di operazioni di disinformazione, di influenza e di manipolazione. Da anni vengono portate avanti molteplici narrazioni strategiche, a cominciare da quella sulla perdita dei valori ortodossi, quella sull’aumento del costo della vita nel caso di ingresso nell’Ue, le accuse a Maia Sandu di essere corrotta e di censurare i media filorussi, quella sul fatto che i paesi europei vogliano sbarazzarsi dei migranti inviandoli in Moldova, eccetera. Chiaramente queste operazioni hanno avuto un impatto di qualche genere sulla popolazione, perché se guardiamo i risultati di referendum e ballottaggio delle presidenziali vediamo che una parte dell’opinione pubblica residente in Moldova si è mostrata vulnerabile a questo tipo di timori dovuti alle narrazioni della propaganda russa e ha votato per il candidato filorusso.
D’altro canto, la diaspora moldava nell’Unione Europea è molto vasta (tanto da poter essere decisiva sul voto, dal momento che numericamente corrisponde quasi alla popolazione residente in Moldova) e si è espressa a favore dell’Unione Europea. In Italia hanno votato circa 85 mila moldavi, su 120 mila totali residenti qui. Questa partita insomma si è combattuta su moltissimi aspetti, e il timore più grande è che in occasione delle elezioni parlamentari moldave del prossimo anno ci possano essere ancora più ingerenze, perché in quel caso la corruzione sarà molto più diffusa dato che è più facile corrompere i singoli candidati al parlamento. La Russia fa questi esperimenti di operazioni in un Paese piccolo come la Moldova, e così ha un feedback di cosa funziona e cosa è replicabile in altri contesti. La Moldova rappresenta dunque un caso di studio interessantissimo».
Autore
Letizia Sala
Autrice
amante della satira e delle percentuali elettorali (se le due cose sono combinate: meglio), nasco nella primavera 2003 alle porte di Monza. qualche km più in là, Bush stava decidendo di invadere l’Iraq. non so nulla di oroscopo ma se mi state leggendo proprio qua qualcosa vorrà pur dire.