Lo scorso 11 agosto, nello stesso istituto penitenziario, le Vallette di Torino, hanno avuto luogo due suicidi: prima viene dichiarato il decesso di una donna di 42 anni, Susan John, lasciatasi morire di fame e di sete perché non riusciva a vedere i figli (morte che non verrà inserita nella conta dei suicidi); dopo qualche ora viene ritrovata impiccata una ragazza di 28 anni non estranea ad atti di autolesionismo, Azzurra Campari, nella propria camera. Il giorno seguente, il 12 agosto, mentre il Ministro manifestava solidarietà con una visita nella struttura torinese, nell’istituto penitenziario di Rossano in Calabria si suicida Andrea Muraca, un uomo di 44 anni.
Con quest’ultimo sale a quota 47 la stima dei suicidi (numero al quale bisognerebbe aggiungere il conteggio di altre morti le cui cause sono “incerte”, come nel caso di Susan John, la prima donna trovata morta a Torino) e siamo solo ad Agosto: il 2022 si era macchiato di 84 suicidi, il numero più alto da quando è iniziata la raccolta dei dati nel 1990. Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria, commenta a DIRE che dobbiamo anche tener parimenti conto del suicidio di un uomo appartenente al Corpo di polizia penitenziaria il che ci apre ad altre considerazioni: il carcere è un luogo abitato anche da persone libere che vivono quegli stessi ambienti e quelle stesse dinamiche.
Cosa significa “sovraffolamento”
Si legge in un comunicato di Antigone che «Il sovraffollamento continua ad essere una delle principali problematiche del sistema penitenziario italiano, con un tasso che viaggia attorno al 121%, con 10.000 persone detenute in più rispetto ai posti effettivamente disponibili (e un numero di presenze in costante crescita).» Il sovraffollamento non è un fenomeno che dobbiamo considerare esclusivamente come limitazione dello spazio vitale e carenza di ambienti, sovraffollamento significa soprattutto più persone da gestire, che ogni risorsa del carcere va “divisa” per un numero crescente di detenut3, che viene meno la «possibilità di lavoro e di svolgere attività che spezzino la monotonia della vita penitenziaria. Quella monotonia che porta all’emergere di situazioni di forte depressione, alla base di un aumento di suicidi e atti di autolesionismo nel periodo estivo.»
Per risorse si intendono anche e soprattutto quelle relative al personale penitenziario, in questo momento sotto organico, il che significa appunto non poter gestire e seguire i detenuti nelle varie attività e iniziative oltre quelle lavorative e scolastiche. Criticità che si aggravano durante il periodo estivo dove polizia e volontar3 godono delle ferie e per rispondere alle esigenze della vita penitenziaria c’è chiaramente meno attenzione.
Pensate di trascorrere ogni giorno della vostra vita privati della vostra libertà, costretti in un edificio da condividere con sconosciuti provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo. Di non avere più privacy e la possibilità di avere contatti con l’esterno è limitata. Il tempo passa lento, inesorabile e si fa sentire, prima o poi lo si accusa. La mancanza di prospettive durante la giornata, non avere qualcosa a cui rivolgere il pensiero e che riesca in qualche modo a spezzare quella “monotonia” che inevitabilmente caratterizza il quotidiano, vi logorerà.
Lavorare, studiare, allenarsi, frequentare laboratori, parlare con uno psicologo, giocare, passare del tempo all’aperto, sono attività che salvano e permettono di distrarsi dal pensiero di essere recluso. Purtroppo il sovraffollamento compromette il tempo, lo spazio e le risorse dedicate a queste. Di conseguenza la mancanza di un obiettivo a lungo o breve termine, il non poter progettare una scansione del tempo eterogenea, compromettono la salute mentale dei e delle detenut3. Compromissione che sfocia poi in atti estremi.
E non stiamo affrontando, in questo articolo, i problemi strutturali degli istituti: riscaldamenti o condizionamenti d’aria o dell’acqua assenti in alcuni di questi, celle troppo piccole che non rispettano gli standard di 9 mq per il primo detenuto e 5 mq per gli altri nella stessa camera, gabinetti all’interno degli ambienti dove i detenuti si cucinano. Fattori che chiaramente aumentano l’invivibilità del contesto penitenziario.
Le soluzioni “populiste” di Nordio
È ormai ovvio che il sistema detentivo italiano è prossimo al collasso. L’unica soluzione sensata, per Nordio e per l’equipe ministeriale, è quella di attuare «una detenzione differenziata tra i detenuti molto pericolosi e quelli di modestissima pericolosità sociale», convertendo e adattando beni demaniali dismessi del ministero della Difesa i quali hanno già spazi e strutture compatibili con l’istituzione penitenziaria e che si presterebbero per natura all’accoglienza e al soggiorno di detenuti che devono scontare una pena ridotta e che il profilo corrisponda a quello di “non pericoloso”.
«Usare strutture dismesse con ampi spazi» non rappresenta una soluzione con «effetti immediati» se consideriamo questi ultimi positivi. Comporterebbe un’ulteriore diluizione del personale penitenziario e un’ancora maggiore decrescita dello stesso per denut3 all’interno degli istituti attuali, nonostante la promessa di un’assunzione di massa fino a 2800 unità su tutto il territorio nazionale per l’anno prossimo.
Ma pare che al Ministro, il quale non ha mai incontrato nessuna sigla sindacale di riferimento, sfugga che all’appello manchino circa 6mila agenti e che i reparti siano mediamente carenti del 20% di organico.
La speranza di Nordio pare essere quella che guerra, pandemia, alluvioni, incendi e tutto ciò che riguarda la crisi climatica cessi entro il 2024 in modo che i soldi vengano finalmente investiti nel sistema penitenziario (con questo Bilancio invece, come tutto il resto del Pubblico, l’amministrazione penitenziaria ha subito tagli di 35 milioni complessivi in tre anni): come se fossero solo questi gli ostacoli agli investimenti.
Considerazioni banali
Lo scopo rieducativo delle pene, costituzionalmente previsto e garantito dal 3° comma dell’articolo 27, viene e verrà sempre meno se non viene ridefinito e rivoluzionato il sistema legislativo prima e quello penitenziario dopo.
Il 35% circa dei detenuti nelle carceri italiane sta scontando una pena legata al DPR 309/90, ovvero spaccio o detenzione di droghe. Due delle tre persone citate all’inizio di questo articolo erano detenute per reati legati, direttamente o indirettamente, alle sostanze stupefacenti: da una parte furti commessi per permettere poi l’acquisto e il consumo, dall’altra il traffico illecito delle stesse.
«Le persone coinvolte in procedimenti penali pendenti per violazione dell’articolo 73 e 74 sono rispettivamente 186.517 e 45.142. In totale 231.659 fascicoli per droghe intasano i tribunali italiani.» possiamo leggere in un comunicato dell’Associazione Luca Coscioni. Pensare quindi alla depenalizzazione ed eliminazione di reati minori, ad esempio, significherebbe permettere una decrescita della popolazione detenuta e una depressione delle circondariali (dove spesso scontano la pena i detenuti definitivi, ma questa è un’altra storia). Lo stesso succederebbe se aumentassimo le pene alternative non detentive.
Un’altra ottima manovra potrebbe essere quella di assumere, oltre al personale destinato a ricoprire ruoli all’interno del Corpo di polizia penitenziaria, educatori ed educatrici che negli ultimi anni sono effettivamente aumentat3, come possiamo notare dalla cartella stampa di Antigone, determinando una variazione di rapporto detenuto/educatore (che rimane comunque alto) da 1 a 88 a 1 a 70: queste sono le iniziative di cui il sistema ha davvero bisogno.
Se è davvero come diceva Voltaire e si misurasse il grado di civiltà e democrazia di una Nazione dalle condizioni delle sue carceri, allora è (anche) da lì che lo Stato italiano dovrebbe ripartire.
Autore
Nato lo stesso giorno di Stanley Kubrick, è del Leone e non lo nasconde. Da grande vuole fare il regista e farsi crescere i capelli; è più vicino alla seconda. C'è un giro illecito di scommesse che divide in due la sua cerchia di amici: riuscirà mai a laurearsi?