Il valore delle opere d’arte per la Mafia

Perché due capolavori di Van Gogh rubati ad Amsterdam vengono ritrovati 15 anni dopo in casa di un boss della Camorra?

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Riciclaggio di denaro, scarico illegale di rifiuti tossici, traffico di droga, estorsione, prostituzione: tra i vari business, la Mafia è interessata anche al mercato nero delle opere d’arte. Non voglio certamente dipingere il ritratto di un boss intento a decantare un Sassicaia del ’93 mentre contempla un Van Gogh in un caveau blindato e circondato da eruditi, stile Federico Da Montefeltro. In questa logica ci sono dinamiche ben più profonde.

Un caso in particolare

Nella notte del 7 dicembre del 2002 vengono rubati, dalla collezione del Van Gogh Museum di Amsterdam, due importanti pezzi: il primo quadro ad olio del pittore La spiaggia di Scheveningen durante un temporale del 1882 e il quadro introspettivo Una congregazione lascia la chiesa riformata di Nuenen del 1884.

I protagonisti del furto, Octave Durham (un habitué del ladrocinio) e il complice Henk Bieslijn, vengono arrestati dopo aver abbandonato sulla scena del crimine importanti prove inquisitive, come un cappello contenente alcune ciocche di capelli, quindi tracce di DNA.

Al primo gli investigatori non riuscirono a torcere la minima confessione, mentre il secondo diede alla polizia importanti informazioni: l’identità dell’acquirente dei quadri, un tale Cor van Hout, assassinato il giorno stesso stabilito per la cessione. Così i due erano entrati successivamente in contatto con un certo “Pinocchio” interessato all’acquisto dei due capolavori. Ma qui le indagini delle forze dell’ordine olandesi si arenarono completamente.

Una delle più sanguinose faide per la supremazia dello spaccio a Napoli

Pochi mesi dopo la sparizione dei Van Gogh, agli inizi del 2003, a Napoli, scoppiò una delle più sanguinose faide fra clan per il controllo del traffico di stupefacenti, che sfociò poi nella Prima Faida di Scampia. Ne conseguirono un centinaio di arresti e altrettante vittime.

Stefania Castaldi, Magistrato del Tribunale di Nola impegnata nella lotta contro la Camorra, durante gli interrogatori legati alla Faida, scopre che a rifornire di droga i clan era un certo Raffaele Imperiale, uno dei maggiori narcotrafficanti del mondo. E quest’ultimo, alla fine della guerra, si ritrovava con un’immensa somma di denaro sporco del sangue di vittime – anche innocenti – rimaste coinvolte nella barbarie.

Ma chi è questo Raffaele Imperiale e che relazione ha con il furto dei due Van Gogh?

Nasce nel 1974 da una famiglia di ricchi imprenditori di Castellammare e a 25 anni emigra ad Amsterdam per aprire un coffe shop: questo sarà la cabina di regia da dove dirigerà uno dei più grandi traffici illeciti d’Europa, che lo porterà a guadagnare dai 15 ai 20 milioni l’anno.

Nel Settembre del 2012 uno dei principali soci del boss, Mario Cerrone, viene arrestato e condannato a 14 anni. Ed è qui che abbiamo una prima svolta nelle indagini sulla ricerca dei due quadri: questo dichiara alle autorità che i Van Gogh sono in possesso di Imperiale.

Raffaele Imperiale, a seguito di un arresto e di un processo tenutosi a Napoli con una sentenza di condanna a 18 anni, fugge a Dubai, un Paese che non ha mai firmato con l’Italia un trattato di estradizione. Per questo motivo si pensa che ancora oggi Imperiale stia trascorrendo una latitanza di lusso.

Raffaele Imperiale fotografato a Dubai dove vive con la sua famiglia.

Ed è proprio da Dubai che fa recapitare ai magistrati italiani una lettera datata 26 Agosto 2016, nella quale esplica tutti i dettagli, sia di natura economica che logistica, della sua attività iniziata nel 1990. Alla fine del documento in questione, nel fare una lunga lista dei propri possedimenti, Imperiale fa comparire anche le due opere d’arte, dichiarando, inoltre, di averle acquistate nel 2002 per una cifra pari a 5 milioni di euro, contrariamente a quanto avevano ammesso i due ladri olandesi che avevano confessato la cessione dei due quadri per ben 4 milioni in meno: Raffaele Imperiale è il nostro Pinocchio.

Qual è il vero motivo che spinge Raffaele Imperiale a fare una confessione del genere?

La risposta al nostro quesito la troviamo nell’architettura del sistema legislativo italiano, in una clausola volta ad incoraggiare i testimoni a denunciare la criminalità organizzata. Il Codice di Procedura Penale prevede che qualora l’imputato dovesse fornire, nel corso delle indagini o del processo, informazioni non note riguardo opere d’arte scomparse o rubate, la pena potrebbe subire una riduzione.

Inoltre, sempre secondo la legge italiana, nel momento in cui l’imputato rinuncia a parte dei propri guadagni derivati dalle attività illecite, egli può godere di un ulteriore sconto della condanna finale.

Per Raffaele Imperiale, che conosceva bene queste falle nel Codice, i due Van Gogh rappresentavano merce di scambio nella valutazione dei propri reati: li avrebbe quindi, in un certo senso, barattati per accorciare la permanenza in carcere prevista per 18 anni.

Le indagini proseguono portando gli inquirenti fino all’abitazione del padre, il quale apparentemente non aveva nessun legame con le attività del figlio. Ed è proprio qui che vengono ritrovati i due capolavori, nel doppiofondo della cucina, avvolti con degli stracci. Vengono riesposti al pubblico e alla stampa, per la prima volta dopo quindici anni, il 6 Febbraio del 2017 al Museo Capodimonte di Napoli, come trofei della lotta alla Camorra, per poi ritornare, dopo sei mesi, in madre patria, nella loro collezione d’appartenenza.

Autore

Simone Mastronardi

Simone Mastronardi

Direttore Creativo

Nato lo stesso giorno di Stanley Kubrick, è del Leone e non lo nasconde. Da grande vuole fare il regista e farsi crescere i capelli; è più vicino alla seconda. C'è un giro illecito di scommesse che divide in due la sua cerchia di amici: riuscirà mai a laurearsi?

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