Il 19 ottobre 2023 è arrivata la lettera di licenziamento per i 185 lavoratori rimasti della Ex-GKN. «Spiccare il volo o cadere», dice il collettivo. Oggi è importante fare ordine, per ricostruire, capire e supportare.
La più lunga occupazione di fabbrica della storia recente, la creazione di un collettivo che ha fatto rete con altre realtà autorganizzate solidarizzando con le loro lotte, un piano di reindustrializzazione popolare ed ecologico per convertire una multinazionale in un presidio di welfare locale e sostenibile, la mobilitazione e la comunicazione come strumenti politici per perseguire il cambiamento.
La progettazione a tavolino di un piano segreto di delocalizzazione per generare profitto, più di 400 famiglie lasciate a sè stesse, il disinteresse di ben due governi nel supportare la reindustrializzazione, l’abbandono del supporto mediatico della causa da parte dei media tradizionali, la marginalizzazione politica.
Queste sembrano solo parole alla rinfusa, ma non è così: sono il riassunto di una storia che ne comprende tantissime al suo interno, che testimonia la resistenza della collettività in una società atomizzata di individui. I lavoratori e le lavoratrici del collettivo GKN stanno scrivendo la storia, perché se riusciranno nel loro fine, accadrà qualcosa di inedito e potenzialmente rivoluzionario.
Dal 9 luglio 2021 ad oggi: una scelta premeditata
Il 9 luglio 2021, senza alcun tipo di preavviso, i quasi 500 lavoratori della multinazionale GKN, nella sede di Campi Bisenzio, ricevono un messaggio di posta elettronica certificata con il quale, senza ulteriori spiegazioni, vengono licenziati. L’azienda non aveva comunicato preventivamente nulla ai sindacati presenti tra gli operai, né c’erano state avvisaglie o comunicazioni che avrebbero potuto far presagire una misura così drastica. Anzi, con l’accordo sindacale del 9 luglio 2020, l’azienda dichiarava «la volontà di operare per favorire lo sviluppo del sito e la tenuta occupazionale dello stabilimento».
A settembre 2021 il Tribunale Civile di Firenze, sezione lavoro, dispone la sospensione dei licenziamenti perché ritiene essere stato violato l’art 28 dello statuto dei lavoratori, che inibisce i comportamenti ritenuti antisindacali. È impensabile che un’azienda delle proporzioni di GKN non abbia coinvolto i sindacati in una procedura di licenziamento collettivo di questa portata, il che, in un paese che norma i rapporti industriali e in cui la tutela del lavoro è un interesse costituzionale, non è un’opzione, ma un obbligo.
Oggi grazie al leak diffuso meritoriamente da IrpiMedia, esistono documenti che provano l’esistenza di una precisa strategia di delocalizzazione a fini lucrativi, ben precedente alla chiusura e ai licenziamenti e che confutano quindi «l’inevitabilità» della chiusura a causa della contingenza economica che avrebbe reso impossibile e non rimandabile il proseguimento dell’attività di impresa.
Dal blocco dei licenziamenti, come sappiamo tutti (o quasi, dato che i media tradizionali hanno ignorato questa storia nel tempo), è iniziata l’occupazione della fabbrica da parte dei lavoratori che ha creato una rete di solidarietà sociale e proposto concrete soluzioni alternative alla scelta dell’azienda, come una campagna di azionariato popolare e un piano industriale di riconversione ecologica.
Il Progetto “Skye”
Dall’inchiesta emerge l’esistenza di un piano confidenziale soggetto a clausola di non divulgazione, che, fin da febbraio 2020, valutava la chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio. Nonostante la crisi generalizzata del settore industriale dell’automotive, aggravata in un primo momento dal lockdown, il calo di produttività di Campi Bisenzio non è maggiore rispetto a quello di realtà comparabili e in una fase si rende necessaria addirittura l’assunzione straordinaria di nuova manodopera. Non sembrano esserci vere e proprie motivazioni che spingano alla chiusura. Il vero obiettivo, erroneamente generalizzato, è quello di attuare una massiccia delocalizzazione con lo scopo di tagliare i costi, trasferendo le attività dove i prezzi della manodopera o il livello di tassazione sono più convenienti, così da aumentare i dividendi (e quindi il profitto) dei soci e amministratori di Melrose Industries Plc. Esiste, infatti, anche un “progetto Forest” che prevede la riduzione generalizzata di forza lavoro negli stabilimenti GKN in tutta Europa, con l’obiettivo di licenziare, in totale, 1.115 dipendenti.
Insomma, si tratta di quella che è stata definita da economisti esperti la strategia di “spezzatino e vendita”: smembrare il gruppo industriale, vendere gli stabilimenti, distribuire il ricavo, al di là delle reali condizioni di mercato del settore.
Melrose è il fondo speculativo Britannico che fin dal 2018 controlla GKN e che è, a sua volta, controllato in maggioranza da Capital Group e da altre grandissime società di investimento, come BlackRock e VanguardGroup.
A partire dall’inizio del 2020 inizia la messa in opera del progetto Skye, che sebbene architettato dagli alti piani europei, è permesso da una stretta organizzazione che vede coinvolto l’amministratore delegato della sede, Marco Gelardi e l’esperto in gestione delle risorse umane in crisi aziendale, Alex Aceti, entrambi firmatari del piano di non divulgazione. Esponenti di Confindustria e lo studio legale LaBLaw seguono l’operazione, mentre all’agenzia di comunicazione Barabino & Partners è affidato il compito di schermare la stessa da qualsiasi indiscrezione o curiosità, facendo credere che l’azienda non abbia alcuna intenzione di lasciare Campi Bisenzio. A parte il rallentamento causato nell’estate 2020 dal blocco dei licenziamenti disposto dal governo Conte II, l’operazione, come detto, verrà compiuta nel luglio 2021.
L’esistenza del progetto Skye, è di enorme importanza, perché contraddice il comportamento assunto dall’azienda con i sindacati ed in sede legale, che ha sempre dichiarato di non aver nascosto niente ai diretti interessati e, anzi, di aver – per quanto possibile – perseguito lo sviluppo dell’impianto, aggiungendo che le motivazioni sottese alla scelta di chiudere non fossero nient’altro che un necessario calcolo imprenditoriale in vista della crisi insanabile del settore. È inequivocabile che invece tutto questo rientra in una strategia (ben più ampia rispetto al singolo caso di Campi Bisenzio) che ha perseguito freddamente la speculazione senza preoccuparsi minimamente delle ricadute sociali provocate dalla stessa.
Questo atteggiamento emerge anche da altri documenti illuminati da IrpiMedia, dai quali si apprende come l’azienda aveva classificato la federazione della FIOM, il sindacato dei metalmeccanici della CGIL, come «avversaria» rispetto alle decisioni aziendali e rispetto al numero di scioperi, oltre ad aver schedato i singoli lavoratori in base alla loro appartenenza sindacale.
Promesse di facciate, probabili speculazioni
C’è un’altra partita che corre parallela a quella che si è appena descritta e che racconta un’altra speculazione, questa volta sul destino – promesso e poi infranto – dello stabilimento di Campi Bisenzio. Nel Dicembre 2021 avviene infatti il «passaggio di testimone», che vede Melrose uscire di scena tramite la vendita di GKN Firenze al Gruppo Borgomeo presieduto, da Francesco Borgomeo, che era l’advisor della stessa GKN. Sotto Borgomeo l’azienda avrà il nuovo nome di “QF” che sta per “Fiducia nel Futuro della Fabbrica a Firenze”. Lo stesso imprenditore dall’inizio del 2022 dichiara di avere in mente un piano industriale concreto e almeno due investitori privati che credono nel progetto, grazie ai quali sembra possibile attuare la reindustrializzazione, garantendo che, in ogni caso caso, se non arriverà nessun investitore prima del 31 agosto 2022 lui stesso si assumerà la responsabilità dell’operazione.
Durante la primavera le cose iniziano a cambiare rotta rispetto alle previsioni, i millantati investitori non si palesano e Borgomeo continua ad accusare il collettivo di rendere «inagibile» lo stabile, cosa non vera e non collegata al fallimento del – forse mai esistito – piano industriale.
È chiaro che l’interesse del collettivo, più che legittimo, e che si è espresso nell’occupazione permanente, è quello di ribadire che la fabbrica va salvata e non trasferita e che la riconversione deve salvaguardare il diritto al lavoro dei lavoratori ex GKN rimasti. A settembre 2022, la società QF dichiara di necessitare di un investimento pubblico, ma continua a non presentare un concreto progetto a cui in teoria l’investitore istituzionale avrebbe potuto dare fiducia. La cassa integrazione, anticipata da QF dall’inizio di quell’anno, non è concessa dall’INPS proprio per l’insufficienza grave dello stesso piano di reindustrializzazione. Il 21 Febbraio 2023, la QF finisce in liquidazione e il progetto paventato da Borgomeo risulta solo un enorme buco nell’acqua.
L’ultima denuncia del collettivo e di alcuni giornali (tra cui Domani, l’Espresso e il Fatto Quotidiano) ha a che fare con le triangolazioni societarie che si sono avute in questi mesi, che fanno pensare, con ragionevolezza, ad una probabile operazione immobiliare che le stesse vogliano compiere con il «guscio vuoto» dello stabile, una volta avvenuti definitivamente i licenziamenti.
La QF era detenuta al 100% dalla Pvar S.r.l, facente capo esclusivamente a Francesco Borgomeo. Il 2 ottobre 2023, la Pvar cede il 50% del suo capitale alla Tuscany Industry S.r.l, fondata il 22 settembre 2023. L’amministratore di entrambe queste società è Mirko Polito. Entrambe le società sono società immobiliari, il loro oggetto sociale prevede «L’acquisto, la vendita, la permuta, la costruzione, la ristrutturazione, la gestione di beni immobili». La Tuscany Industry è a sua volta controllata da una società fiduciaria del Monte dei Paschi di Siena, che per il 64% è a capitale pubblico. La società fiduciaria è uno strumento utilizzato proprio per rimanere nell’ombra, e quindi non si sa chi sia il soggetto che gli sta dietro.
Inoltre, come denuncia Domani, un’inspiegabile rivalutazione del valore immobiliare dello stabilimento, ad attività produttiva ferma, è stata compiuta tra il 2020 e il 2021 ad opera del fondo Melrose, facendo passare lo stesso da 2 a 30 milioni di Euro. Tra l’altro nello stesso periodo, lo stabilimento era in stato di fermo causa Covid e quindi non in fase produttiva. Ad oggi non è possibile stabilire in base a quali criteri la società che ha compiuto la rivalutazione si sia ispirata La stessa società a questo interrogativo non risponde. Borgomeo, tra l’altro, ha una società in crisi la Saxa gres, tra i cui azionisti appare Gaetano Caputi, capo di gabinetto di Giorgia Meloni.
A proposito, cosa ha da dire l’attuale Governo su questa – tutt’altro che chiara – vicenda? La sottosegretaria Fausta Bergamotto del Mimic ha chiosato, interrogata dalla ex-GKN sulla necessità di un tavolo tecnico, di non essere a conoscenza di nessun piano di reindustrializzazione e che un tavolo di crisi non si possa convocare per una società in liquidazione. Entrambe le cose non sono vere, perché il piano esiste e perché i tavoli sono stati convocati in precedenza anche con quando la società era in liquidazione, ma non hanno avuto nessun esito.
Aspettando l’ora x, non a braccia conserte
Adesso c’è l’ultimo atto, come dice il collettivo: «L’ora x». C’è la possibilità di vedere concretizzarsi due anni e mezzo di lotta, di resistenza vera e propria, di progettualità sindacale politica e comunicativa, di gesti quotidiani di ogni persona che ha partecipato a questa prova di sopravvivenza. Oppure, semplicemente, c’è la possibilità che non accada niente e che tutto quanto si dissolva sotto il peso della dipendenza economica creata dal potere, da chi lo detiene senza scrupoli e freni.
L’ora x è il giorno di capodanno che il Collettivo, e la sua ampia rete di solidarietà, ha deciso di passare in fabbrica. Il primo gennaio 2024 era il giorno in cui i licenziamenti sarebbero divenuti definitivi, ma il tribunale di Firenze ha nuovamente riconosciuto la condotta antisindacale dell’azienda – come aveva fatto a settembre 2021 – ex art 28 dello statuto dei lavoratori, con una sentenza emessa il 27 dicembre 2023. Questo significa invalidità della procedura di licenziamento collettivo anche a causa del mancato tentativo reale ed effettivo di attuare un piano di reindustrializzazione. In definitiva, si tratta di tempo guadagnato. Ma in ogni caso, se non avverrà niente, se il governo non deciderà di trattare e di investire capitale pubblico nel piano di reindustrializzazione proposto dal collettivo, la fine di questa utopia sembra scontata.
L’idea che il collettivo ha costruito per salvare l’ex GKN e l’occupazione dei suoi operai, ha un potenziale applicativo fortissimo. L’idea è quella di riconvertire la produzione della fabbrica in senso sostenibile: cargo-bike per il trasporto di merci nella città, pannelli fotovoltaici e batterie riutilizzabili di nuova generazione, sono solo alcuni dei prodotti che la fabbrica potrebbe iniziare a produrre. Inoltre, la reindustrializzazione avverrebbe «dal basso» perché fin dalla primavera di quest’anno la società ha lanciato un crowdfunding di azionariato popolare, in modo da coinvolgere nel capitale della futura Società Cooperativa per azioni, cittadini comuni e le associazioni di prossimità che abbiano direttamente interesse nella gestione o che partecipino alle attività della stessa, oltre che i lavoratori stessi.
Le società cooperative sono ispirate al principio della mutualità, ovvero che la gestione in forma associata dell’attività di impresa deve mirare a ottenere continuità occupazionale e le migliori condizioni retributive, economiche, sociali e professionali dei propri soci. Il lucro non è lo scopo principale come in una qualsiasi azienda, lo sono le condizioni dei lavoratori che vi partecipano. È la risposta più concreta (scritta anche nell’art 45 della nostra Costituzione), ed esattamente contraria alle politiche di delocalizzazione che hanno dato il via a questa storia. È la fiera risposta di un collettivo di lavoratori che sfida le regole della società tardo capitalista in cui viviamo, proponendo soluzioni concrete, realizzabili, ecologiche, sociali.
Autore
Federico Mastroianni
Autore
Classe 2001, ma mi sento molto più vecchio. Studente di Giurisprudenza a Roma, aspirante giornalista (infatti mi piace molto scrivere), ma anche suonare la chitarra. E questo è quanto.