Una fede arcobaleno: le esperienze dei gruppi cristiani LGBT+ e le parole di Don Giulio Mignani

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Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, l’anima di Gionata s’era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come sé stesso.

1Samuele 18:1

Comunità cristiane e comunità LGBT+, due cose all’apparenza estremamente distanti tra loro, inconciliabili. Ma questo non è altro che un preconcetto.

Scopriamo perché grazie a Luigi, un ragazzo gay che ha iniziato il suo percorso di fede nella Gioventù Francescana, entrando poi in contatto con gruppi cristiani LGBT+, di cui ancora oggi fa parte. Luigi si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande.

Per prima cosa vorrei che tu ci spiegassi brevemente cosa sono e in che modo “operano” (nel senso di attività che vengono svolte) i gruppi cristiani LGBT+. Probabilmente non molti conoscono questa realtà.

«I gruppi di persone cristiane LGBT+ sono una realtà multiforme e variegata: ci sono realtà nazionali, come il Progetto Cristian* LGBT+, di cui faccio parte, e gruppi locali (Giovani del Guado a Milano, assieme ad altre realtà principalmente nei grandi centri a Bologna, Firenze, Roma, Catania, Palermo…), realtà storiche che hanno accompagnato la nascita del movimento LGBT+ italiano (sempre a Milano il Guado, attivo dal 1980) e gruppi giovanissimi (tra cui il gruppo di cristiani LGBT+ Calabria); alcune vengono accompagnate da persone consacrate, altre sono autonome. 

Il loro comune denominatore è che nascono dalla necessità di incontrare persone che condividano la propria identità assieme alla propria fede, a volte anche in seguito a un’esclusione dalla propria comunità di origine (associazioni, movimenti giovanili, parrocchie). Partendo da questi bisogni, l’obiettivo principale è creare comunità: incontri, momenti di preghiera e di festa in cui vivere questi due aspetti della propria vita. 

A questo, poi, si accompagna spesso la testimonianza, indirizzata soprattutto a realtà della chiesa cattolica, per mostrare che l’integrazione tra la propria identità e la fede è possibile».

La comunità LGBT+ e la comunità cattolica sembrano due realtà che si trovano agli antipodi. È così o è solo un altro mito da sfatare?

«All’interno del movimento di cui faccio parte (la Gioventù Francescana), una mia cara amica dice spesso: “non esiste la fraternità, esistono le relazioni fraterne”.

Mi sento di dire lo stesso in questo caso: la Chiesa cattolica non è un monolite, così come la comunità LGBT+. Soprattutto, non sono realtà astratte, ma fatte di persone in carne ed ossa che incontri la domenica a messa o il venerdì in discoteca; insomma, le intersezioni sono molto meno banali di quello che ci si aspetta.

Certo è che c’è una dinamica di potere precisa: le persone LGBT+ sono una realtà marginalizzata, mentre la chiesa cattolica, nonostante gli acciacchi e le difficoltà, è parte della cultura dominante, soprattutto in Italia. 

Da un lato un gruppo di persone senza voce, dall’altro una realtà con voce autorevole, che purtroppo è stata a volte usata per agire delle discriminazioni».

Ci puoi spiegare da dove ha origine la discriminazione della comunità LGBT+? Ha una genesi teologica o storica? 

«Non sono un teologo né uno storico, nessuna presunzione di essere all’altezza di questa domanda da un milione di euro. Provo però a dire questo: la Chiesa è fatta di uomini (il maschile sovraesteso qui purtroppo è d’obbligo…), e in quanto tale ne eredita tutti i limiti, incluse le discriminazioni. La Chiesa è omofoba, transfobica, razzista, abilista, perché viviamo in una società che è omofoba, transfobica, razzista, abilista. 

Certo, c’è un’influenza reciproca: diversi passaggi biblici sono stati utilizzati negli anni per condannare più o meno esplicitamente l’omosessualità. Fortunatamente, la ricerca teologica in questi ultimi anni sta aiutando a dare nuove interpretazioni a questi testi: non ultimo, il racconto della distruzione di Sodoma presente in Genesi, riferimento utilizzato così spesso come condanna all’omosessualità che il termine sodomita è diventato sinonimo di uomo gay. 

Peccato non fossero queste le intenzioni di chi scriveva: un testo recente della Pontificia Commissione Biblica osserva che il peccato che ha portato alla distruzione della città fosse l’inospitalità verso chi è straniero, non l’omosessualità. Io, comunque, faccio fatica a capire come si possa utilizzare un testo così problematico come strumento di discriminazione invece che farne una lettura critica».

Ci sono mai stati episodi di omofobia nei vostri confronti da parte di altri cattolici?

«Con le realtà vicino Milano da un po’ di tempo celebriamo una messa mensile in Porta Venezia, la zona LGBT+ della città; qualche mese fa abbiamo ricevuto la visita di alcune persone di gruppi ProVita, che si sono però limitate a entrare e filmare la messa – forse si aspettavano di trovare persone vestite di piume di struzzo e sono rimaste deluse, peccato: sarebbe stato divertente vedere un po’ di azione durante l’omelia. 

Parlando invece di odio online, ogni volta che si parla di questi temi è certo che ci sarà almeno una persona che ti ricorderà che brucerai all’inferno. 

Sarebbe bello poter dire che dopo un po’ non fa più male, ma si riaprono sempre vecchie ferite; ogni volta però c’è sempre anche almeno una persona che dice quanto sia importante continuare a parlarne – è per queste che si va avanti».

Ti pongo la domanda al contrario, ci sono mai stati episodi discriminatori da parte di altri membri della comunità LGBT+ per il vostro essere cattolici?

«C’è chi non capisce perché ci si ostina ancora ad abitare luoghi così strutturalmente discriminatori, c’è chi esprime la sua rabbia, devo dire perfettamente giustificata, ma non parlerei di discriminazione, che è una questione sistemica e viene agita da chi ha potere (non la comunità queer). 

Nella maggior parte dei casi poi trovo estrema comprensione, curiosità e gratitudine: non sapete quante persone LGBT+ sono o sono state animatrici di oratorio!».

Non si può ignorare il fatto che il termine LGBT+ sia scomparso dal Sinodo: cosa significa questo per la comunità?

«È una sconfitta e non solo per la comunità: affrontare le tematiche dell’identità e dell’affettività è un bisogno che continua a venire fuori a tutti i livelli, soprattutto dalle nuove generazioni.

Purtroppo, nonostante il lavoro dei gruppi cristiani LGBT+ continui e ci sia un bisogno sempre maggiore di risposte chiare su queste tematiche, la Chiesa ancora fa fatica a porsi le domande. 

Fa riflettere che proprio mentre a Roma usciva il documento finale del sinodo a Bologna si tenevano degli ‘Esercizi Spirituali di frontiera’, con un incontro tra realtà LGBT+ e movimenti giovanili: iniziare dal basso a cambiare le cose credo sia la strada da percorrere; i vertici, prima o poi, seguiranno».

Cosa ne pensi della decisione del Papa di dare l’opportunità a persone facenti parte della comunità LGBT+ di essere madrine e/o padrini ai battesimi e testimoni nei matrimoni purché «non si crei scandalo tra i fedeli»?

«Il linguaggio del documento è improprio e questa chiosa finale lascia molto a desiderare; è importante però tenere a mente che prima del papato di Francesco una nota del genere sarebbe stata impensabile leggerla (su questo, rimando al giornalista e amico Marco Grieco che ha ampiamente coperto la vicenda). 

Questo non vuole essere certo un invito ad accontentarsi, quanto piuttosto a leggere questo documento come un altro passo (certamente minimo, certamente incompleto) nella giusta direzione. Del resto, proprio quei passaggi che identificano ancora una volta le persone LGBT+ come fedeli di serie B mi sembra diano anche la soluzione alla faccenda: da cristiano, credo che nessuna persona che abbia intenzione di mettersi alla sequela di Cristo possa essere uno scandalo. Su questo in particolare invito i miei fratelli e le mie sorelle cattoliche a far sentire la propria voce: che nessuna persona venga esclusa».

Qual è la figura biblica che consideri icona queer per eccellenza e perché?

«Qui sarò banale ma devo dire Gesù. Dopo un’infanzia come rifugiato politico (in fuga da Erode alla caccia del re dei Giudei), torna nella sua terra natale e da adulto inizia la sua predicazione. Le persone si aspettavano un Dio sanguinario che arrivasse a vincere ogni nemico e si ritrovano invece lui che va in giro a predicare amore universale accompagnandosi a persone marginalizzate. In una società fortemente radicata nella famiglia, il suo invito costante è lasciare parenti e amici e creare comunità di fede. Insomma, una vita passata ad abitare le periferie e riscrivere le norme. Del resto, come ci insegna Murgia, non c’è niente di più queer della Santa Trinità!».

Come vedi la Chiesa Cristiana Cattolica tra dieci anni?

«Sarà forse controverso citare qui Papa Benedetto XVI, ma mi piace molto ricordarlo quando diceva: “La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione”. 

Se la Chiesa sarà all’altezza delle sfide dell’oggi continuerà a crescere ed essere feconda. Altrimenti, vedremo probabilmente meno persone in Chiesa, ma una fede più viva fuori».

Per chiudere la nostra intervista fatti una domanda e datti una risposta

«Colgo la palla al balzo per provare a rispondere a una domanda che mi viene fatta spesso: “Ma chi te lo fa fare a restare e provarci?” Certo che sarebbe più facile andare via: abitare un’istituzione che ti discrimina così profondamente è sicuramente delicato e non nascondo che ho bisogno delle mie pause di tanto in tanto. 

È anche vero che, quando penso alla chiesa cattolica, non posso fare altro che sentire un’idea di casa, con tutte le sue difficoltà, i parenti problematici, le lunghe discussioni, gli anziani che non riescono proprio a capire le nuove generazioni, ma anche un profondo sentimento di famiglia. 

C’è poi anche questo: credo davvero di lottare per qualcosa che io ritengo giusto e che non riguarda solo me: so bene che forse non vivrò per vedere una coppia gay che si sposa in chiesa, ma se anche avrò aperto un pochino la strada per chi verrà dopo tutto questo non sarà stato invano».


Non sarò io a scrivere la chiusura di questa bellissima intervista che ci ha rilasciato Luigi; volevo che ci pensasse qualcuno di davvero esperto per quanto riguarda il tema. Don Giulio Mignani, prete della Chiesa Cattolica, ha gentilmente scritto un pezzo per noi. Lascio volentieri spazio alle sue parole.

«Nella mia esperienza, nell’ascoltare persone LGBT+, mi sono reso conto di quanto sia più difficile, per una persona omosessuale, vivere serenamente la propria fede cristiana. Queste persone, a causa di quanto affermato dal Magistero della Chiesa Cattolica, non si sentono infatti pienamente accolte e rispettate per quello che sono. Si tratta di una difficoltà che ha la sua radice in una distinzione presente nei documenti della Chiesa Cattolica: quella tra “tendenze omosessuali” (termine già in sé sbagliato, in quanto si continua così a negare che una persona “è omosessuale”, e non “ha tendenze omosessuali”) e “atti omosessuali”.

Per quanto riguarda le persone che presentano “tendenze omosessuali”, pur affermando che si tratta comunque di una “inclinazione oggettivamente disordinata” (cfr. CCC 2357), viene detto che vanno in ogni caso accolte “con rispetto”, evitando “ogni marchio di ingiusta discriminazione” (cfr. CCC 2358). Anche se già a questo livello ci sarebbe da obiettare che in realtà è la stessa Chiesa Cattolica a continuare a non avere rispetto nei loro confronti e a discriminarle. Non solo perché, chiedendo loro di strappare una parte fondamentale di ciò che caratterizza ogni persona (la dimensione affettiva e sessuale; visto che viene loro espressamente detto che sono “chiamate alla castità” – cfr. CCC 2359), in realtà non le sta rispettando; ma anche perché sono i documenti stessi della Chiesa Cattolica a discriminare le persone omosessuali. Basta pensare al fatto che un uomo dichiaratamente omosessuale non può essere accolto in seminario, come viene stabilito da ben due documenti (uno del 2005 e uno del 2016). Una discriminazione vera e propria! Che differenza c’è, infatti, tra un prete eterosessuale ed un prete omosessuale, visto che ad entrambi verrebbe comunque chiesto il celibato? Perché allora un uomo omosessuale non deve essere accolto in seminario?

Il problema maggiore, però non sta in ciò che i documenti della Chiesa Cattolica affermano riguardo alla singola persona omosessuale, nei confronti della quale, almeno a parole, si richiede appunto rispetto e non discriminazione. Il problema maggiore, infatti, sta nel continuare a ritenere gli atti omosessuali come delle “gravi depravazioni”, degli atti “intrinsecamente disordinati”, “contrari alla legge naturale” e per questo da ritenere “peccati gravi” che “in nessun caso possono essere approvati” (cfr. CCC 2357).

È allora necessario che la Chiesa Cattolica cambi queste affermazioni presenti nel suo Magistero, se vuole veramente eliminare quegli ostacoli che impediscono ad una persona omosessuale di sentirsi pienamente accolta e rispettata per quello che è.

Ed è appunto soprattutto contro queste posizioni che io ho manifestato la mia forte contrarietà. Una contrarietà che ha poi determinato la mia sospensione “a divinis”. Non ho però difficoltà a ribadire che è proprio questo lo schema che è necessario abbandonare: accogliere la singola persona omosessuale ma non gli atti omosessuali che essa compie. In quanto è invece fondamentale giungere a riconoscere come vero, profondo e sincero anche l’amore di due persone dello stesso sesso. Amore che, conseguentemente, è giusto che venga manifestato anche attraverso il linguaggio del corpo. Linguaggio che, essendo espressione di un amore, non può che essere anch’esso benedetto da Dio».


Riprendo la parola per ringraziare di cuore Luigi e Don Giulio Mignani per la loro disponibilità, per il loro sincero impegno nelle battaglie per i diritti civili e per le loro parole che trasmettono con forza quanta passione mettono nel combattere per ciò in cui credono.

Con la speranza che un giorno la parola “discriminazione” resti solo un flebile ricordo, perché come ha scritto per noi Don Giulio, l’amore «non può essere altro che benedetto da Dio».

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