Nell’ultimo mese, studenti e studentesse in tutta l’Italia si sono mobilitate – e stanno continuando a farlo – per richiamare l’attenzione pubblica sul genocidio attualmente in atto contro il popolo palestinese. Presidi, scioperi, boicottaggi, occupazioni di senati e rettorati: insieme, lə studentə stanno gridando a gran voce che non vogliono più essere complici di un’università sanguinaria che sceglie la collaborazione con Israele al posto della solidarietà al popolo palestinese. È una nuova primavera, questa, ed è all’insegna della lotta.
Non una minoranza rumorosa
Si protesta da Torino a Pisa, e ancora da Firenze a Napoli: in molti Atenei, lə studentə di tutta Italia si stanno mobilitando in solidarietà al popolo palestinese, chiedendo alle proprie università di prendere posizione in merito al conflitto attualmente in atto in Palestina. Il magma studentesco che si è riversato dentro e fuori i luoghi del sapere sembra essere – persino nella sua intrinseca eterogeneità – molto coeso sul versante delle rivendicazioni. Il principale obiettivo è, infatti, chiedere l’interruzione degli accordi tra università italiane e Israele, condannandolo non solo in quanto fautore dell’attuale massacro del popolo palestinese, ma anche in quanto potenza occupante che costringe lə palestinesi a vivere in un regime di apartheid inaccettabile, come spiega Amnesty International in questo articolo.
Quella che inizialmente veniva descritta – con malizia – come una minoranza rumorosa, in realtà, non lo è affatto: migliaia di studentə hanno iniziato – e stanno continuando – a mobilitarsi nelle ultime settimane a seguito dalla decisione del Senato accademico dell’Università di Torino di non aderire al bando per la cooperazione scientifica con Israele. Dopo questo precedente, anche la Scuola Normale Superiore di Pisa, su richiesta del corpo studentesco, ha approvato una mozione che chiede al MAECI e al MUR di «assicurare alla comunità scientifica che tutti i bandi e i progetti da essi promossi per favorire la cooperazione industriale, scientifica e tecnologica con altri stati rispettino rigorosamente i principi costituzionali, con particolare riferimento all’art. 11». In aggiunta, la Scuola Normale chiede anche al MAECI di «riconsiderare il “Bando Scientifico 2024” emesso il 21 novembre 2023 in attuazione dell’Accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica Italia-Israele».
Sulla stessa linea si sta muovendo anche l’università di Firenze che, con una lettera aperta firmata da oltre 200 tra docenti, assegnistə, dottorandə e personale tecnico-amministrativo dell’Ateneo, chiede alle istituzioni accademiche di non aderire al Bando Scientifico 2024 emesso dal MAECI.
Sempre a sostegno della richiesta di interrompere gli accordi con atenei e istituzioni israeliane, è avvenuta anche l’occupazione studentesca del rettorato della Federico II di Napoli. Dopo giorni di occupazione, lə studentə hanno ottenuto un incontro con il rettore Matteo Lorito, riunendosi in un’assemblea con circa 700 partecipanti, per discutere insieme delle collaborazioni tra i due stati. In questo contesto, il rettore ha anche annunciato le sue dimissioni dal comitato scientifico della Fondazione Med-Or, legata alla società produttrice di armi Leonardo Spa, con la quale molti atenei italiani hanno importanti collaborazioni (tra cui la stessa università di Pisa).
Alla luce di questi fatti, la mobilitazione studentesca che si dispiega dentro e fuori gli atenei universitari non sembra, quindi, essere gestita da un “manipolo di ribaldi”, come si legge altrove. Al contrario, la presa di consapevolezza da parte dellə studentə sul massacro attualmente in corso in Palestina sembra aver risvegliato una coscienza collettiva nuova: informata, critica e militante, con delle rivendicazioni precise e sostanziate.
In merito al bando di cooperazione scientifica Italia-Israele
Lo scorso 22 novembre 2023 è stato pubblicato dal MAECI (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) il bando scientifico 2024 per la raccolta di progetti di ricerca congiunti tra Italia e Israele nell’ambito delle attività previste dall’Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica. La deadline per inviare i progetti era fissata per il 10 aprile 2024 e i vincitori sono stati prontamente selezionati.
Poco dopo la sua emissione, però, il 29 febbraio 2024 è stata pubblicata una lettera aperta al MAECI per la sospensione del suddetto accordo di Cooperazione tra Italia e Israele «per rischio di dual use e violazione del diritto internazionale e umanitario», firmata da accademiche e accademici, ricercatrici e ricercatori e personale tecnico-amministrativo impegnatə nei centri di ricerca e nelle università in Italia e all’estero.
Il problema principale del bando, infatti, riguarda l’assenza di garanzie sul potenziale impiego dual use, cioè sia civile che militare, di tecnologie sviluppate all’interno di accordi bilaterali di cooperazione scientifica, come in questo caso. Nello specifico, l’accordo in questione concerne lo sviluppo di tecnologie in 3 aree di ricerca: suolo, acqua e ottica di precisione. L’evidente continuità tra il contenuto dal bando e la strategia militare e di occupazione operata da Israele nei territori palestinesi rende l’esistenza stessa del bando estremamente preoccupante, in quanto non c’è alcuna sicurezza che queste tecnologie rimangano confinate all’ambito civile. Lo scorso gennaio, inoltre, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un’ordinanza nella quale si riconosce che vi è un rischio plausibile che Israele stia commettendo il crimine di genocidio a Gaza, rendendo ancora più urgente la condanna di ogni complicità dell’Accademia con la violenza militare operata da Israele che, ad oggi, ha causato la morte di più di 33 mila palestinesi a Gaza dal 7 Ottobre.
A fronte di ciò, si richiede una presa di posizione esplicita, in primo luogo, da parte di chi queste tecnologie le produce, cioè le Università.
Per un sapere schierato
Come scrive il collettivo della Scuola Normale Superiore in una lettera, pubblicata in versione integrale anche su L’indipendente:
I nostri studi non sono separati dal mondo; riteniamo manchevole una formazione che non contempla prese di posizione, pericolosa una didattica slegata dalla realtà. Il silenzio dell’accademia sul genocidio in atto in Palestina si alimenta dell’illusione – e della scusa – che il sapere possa non interfacciarsi mai con quello che succede fuori dalle mura dell’università. Ma per sua stessa natura il sapere è posizionato, schierato; l’accademia ha un ruolo nel mondo e nella società, che lo voglia o meno. Il silenzio che chiamano neutrale nasconde una complicità inaccettabile, e non solo: a chi parla di università non schierate vorremmo ricordare che avere accordi con aziende coinvolte nella filiera bellica le schiera da una parte ben precisa. Ma noi da quella parte non ci vogliamo stare: crediamo in un’università che non si sottrae alle responsabilità che inevitabilmente ha, anche quando affrontarle significa sospendere bandi scientifici o contestare direttive ministeriali. Abbiamo deciso di scioperare dalle lezioni, perché a lezione non vogliamo illuderci che non stia succedendo nulla, perché in classe si deve parlare di Gaza, di occupazione, di scolasticidio. In quelle aule ci insegnano ad avere a che fare con la complessità: sappiamo che essa non è mai una scusa per tirarsi indietro. Tra vent’anni ci chiederanno, ci chiederemo, cosa abbiamo fatto per non rimanere indifferenti, se abbiamo avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di prendere posizione. Ci siamo servitə degli strumenti e dell’analisi critica che i nostri studi ci insegnano e per questo abbiamo deciso di parteggiare, insieme.
L’urgenza di una presa di posizione netta e immediata contro il genocidio attualmente in atto in Palestina ha, di conseguenza, aperto una riflessione molto più ampia, che pone al centro la funzione dello studio e dei luoghi del sapere in cui questo si consuma. Ora più che mai, lə studentə dei vari atenei italiani rifiutano rinchiudersi all’interno della torre d’avorio di un sapere erudito e fine a se stesso. Al contrario, si interrogano su nuove possibili prospettive verso cui far convergere le proprie conoscenze, manifestando l’esigenza di un sapere impegnato, posizionato e messo a servizio della collettività.
Autore
Mi chiamo Alice e c’ho un’anima un po’ scissa. Tra le altre cose, sono una neuroscenziata della Scuola Normale. Nel tempo libero oscillo tra attivismo, femminismo intersezionale e misantropia disillusa. Odio gli indifferenti e credo che dovremmo proprio smetterla di imporre inutili confini al nostro animo in continua espansione.