Perché Mohamed Naffati è stato trattenuto nel Cpr di Milano?

0% Complete

Mohamed Naffati pubblica il primo video su TikTok l’11 ottobre 2024. Pronuncia il suo nome tutto d’un fiato, come se volesse far conoscere la sua storia il più rapidamente possibile. Ha una cicatrice visibile sulle labbra, segno di un incidente che sembra segnare la sua vita non solo fisicamente, ma anche simbolicamente. Mohamed vive a Roma. Tuttavia è stato trattenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Milano, e la sua vicenda sta attirando sempre più attenzione.

Nassati racconta di essersi recato presso la questura di Como per emettere una denuncia e nello spiegarsi fa riferimento ad alcune questioni lavorative delicate e di essere in Italia da dieci anni. Mohamed Naffati è del 1998, quindi ha iniziato da minorenne. Si lamenta nei numerosi contratti in nero che ha accettato pur di guadagnare qualcosa. E ripete che non capisce perché sia stato portato nel Cpr di Milano. Ripete anche di avere i documenti validi. Ribadisce di avere una visita dall’otorino il mese prossimo, a causa dell’incidente che gli ha procurato le cicatrici e deficit uditivi. 

Ribadisce di dover rinnovare il permesso di soggiorno in data 4 novembre 2024. Dunque no, Mohamed Naffati non capisce perché si trovi nel Cpr di Milano. Molte persone gli mostrano solidarietà, contattano le istituzioni e gli forniscono informazioni utili. Altri dicono di aver contattato Chi l’ha visto e taggano nei commenti la redazione delle Iene. 

Naffati voleva denunciare di aver ricevuto un assegno scoperto. Nonostante risieda in Italia da dieci anni, con numerosi contratti in nero alle spalle, non capisce perché sia stato portato nel Cpr di Milano. La sua detenzione nel Cpr non è chiara. Alimenta in lui sentimenti di confusione e frustrazione. Del suo caso ne parla anche la rete Mai più lager, in forte opposizione all’esistenza dei Cpr.

Nonostante il Cpr di via Corelli ci abbia messo 3 giorni a formalizzare la richiesta, Naffati avrebbe ricevuto assistenza legale del Naga, per poi essere separato bruscamente da Anna Moretti, incaricata di seguirlo legalmente. Lunedì scorso Naffati è stato scortato in aeroporto per il rimpatrio in Tunisia, a Sousse.

Il caso di Mohamed Naffati sembra portare alla luce le condizioni dei Cpr, strutture destinate al trattenimento dei migranti irregolari in attesa di rimpatrio. In Italia, i Cpr sono al centro di dibattiti accesi da anni. Questi centri sono stati criticati per le condizioni spesso degradanti in cui vivono i detenuti, la mancanza di trasparenza sulle motivazioni per il trattenimento, e l’incapacità di garantire diritti fondamentali come l’accesso a cure mediche, l’assistenza legale e una detenzione in condizioni dignitose. Il caso Naffati ne porta testimonianza. Il ragazzo, infatti, ha potuto usufruire della nomina di Moretti tardivamente, e tutt’ora le cause della sua reclusione non sono chiare. D’altro canto, da richiedente asilo, aveva appuntamento in questura il 4 novembre per il rinnovo del suo permesso, eppure è stato espulso.

Il CPR di Milano, in particolare, si trova in stato di commissariamento, che durerà fino al 31 dicembre 2024. La decisione è stata presa in seguito a una serie di criticità gestionali, organizzative e di sicurezza che si sono verificate all’interno della struttura. La gestione straordinaria è volta a garantire il miglioramento delle condizioni del centro e a far fronte alle problematiche emerse, inclusi episodi di tensione tra i detenuti e l’inadeguatezza delle risorse. Tuttavia, testimonianze di ex detenuti e report di organizzazioni come Amnesty International e Medici per i Diritti Umani (MEDU) denunciano sovraffollamento, mancanza di assistenza sanitaria adeguata e periodi di detenzione prolungati senza una chiara spiegazione legale. Malgrado la loro scelta di restare anonimi, le storie raccolte parlano di violenze fisiche e psicologiche, che rendono l’esperienza all’interno di questi centri piuttosto ambigua o criticabile.

L’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) ha denunciato la violazione di diritti fondamentali, in tale centro, evidenziando la necessità di interventi immediati per garantire condizioni più umane e rispettose degli standard di legge, producendo il Report sulla visita al Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Milano – Via Corelli (Documento_ASGI).

Immagine presente nel report ASGI, Cpr Milano Corelli

Va evidenziato che presso il Cpr di Milano, dove in analogia con altre strutture non vengono realizzate attività ricreative degne di nota, anche l’accesso al servizio di barbiere è risultato, nei giorni della visita, problematico e condizionato da esigenze di sicurezza; nel corso della prima visita (dicembre 2020) alcuni dei trattenuti lamentavano l’impossibilità di tagliarsi i capelli o radersi, così come risultava impossibile servirsi di un tagliaunghie, nonché di avere un kit completo per la propria igiene personale.

Report sulla visita al Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Milano – Via Corelli, ASGI

«Chi ha preso il mio diritto?» chiede Mohamed Naffati. 

La legislazione italiana prevede che i migranti irregolari possano essere trattenuti nei Cpr per un periodo massimo di 90 giorni, prorogabile fino a 180 giorni in casi eccezionali. Questo avviene in attesa dell’identificazione e del successivo rimpatrio nel paese di origine. Tuttavia, Mohamed Naffati si trovava in una posizione non chiara. Pur avendo documenti validi e un permesso di soggiorno in corso di rinnovo, è stato comunque trattenuto. E in seguito riportato in Tunisia. Ciò solleva interrogativi sul funzionamento del sistema legale e amministrativo che regola il trattenimento nei Cpr.

In più la mancanza di un’efficace comunicazione tra le autorità competenti e i detenuti può aggravare ulteriormente la situazione. Come probabilmente è accaduto con Nassati. Infatti Nassati, ha confessato nel video diario della vicenda che ha tenuto, di aver pensato molto spesso alla morte. Queste sono riflessioni che portano a pensare alla situazione psicologica che si vive in centri come questo.

Da quanto emerso dall’ispezione effettuata dal Senatore De Falco nelle giornate del 5 e 6 giugno 2021 si registrano frequenti atti di autolesionismo e anche tentativi di suicidio ma non è stato possibile avere dati precisi anche solo quantitativi.

Report sulla visita al Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Milano – Via Corelli, ASGI
Immagine diffusa da Nassati che lo ritrae mentre lavora

Per la questione lavorativa c’è molto da dire. Nei suoi video Nassati si lamenta di aver accettato lavori in nero per sopravvivere e guadagnare qualcosina. Questa realtà è tristemente comune tra i migranti in Italia. Secondo i dati forniti da varie organizzazioni sindacali e ONG, una grande parte della forza lavoro migrante è impiegata in condizioni di sfruttamento, spesso sotto il controllo di reti di caporalato.

Il lavoro agricolo, l’edilizia e il settore dei servizi sono tra i più esposti al fenomeno del lavoro in nero. I migranti, privi di protezioni legali e sindacali adeguate, si trovano a subire condizioni lavorative degradanti, salari bassissimi e nessuna garanzia di sicurezza sul lavoro. Per molte persone, accettare questi lavori è l’unica opzione per sopravvivere in un paese che fatica a integrare i lavoratori stranieri nel mercato regolare. Questo sistema alimenta un circolo vizioso di sfruttamento e vulnerabilità, in cui persone come Mohamed Nassati si trovano intrappolate.

Secondo uno studio della Flai-Cgil (FLAI-agromafie-4-rapporto.pdf), il 30% dei lavoratori agricoli in Italia sono migranti, e una significativa parte di loro lavora in nero o sotto contratto irregolare. Queste persone vivono spesso in condizioni di vita precarie, in baracche o alloggi di fortuna, senza accesso ai servizi essenziali come l’acqua potabile o l’assistenza sanitaria.

Mohamed Naffati ha scelto TikTok come piattaforma per far sentire la sua voce e raccontare la sua storia. I suoi video hanno raccolto l’attenzione di migliaia di persone, molte delle quali si sono mobilitate per cercare di aiutarlo. La sua disperazione è evidente quando, nel video del 16 ottobre, esprime l’intenzione di togliersi la vita, lasciando intendere che il sistema che lo ha messo in una situazione così drammatica gli ha tolto la speranza. La sua domanda «Chi ha preso il mio diritto?» risuona come un grido di aiuto, non solo per lui, ma per tutti coloro che, come lui, vivono nell’ombra delle leggi migratorie italiane.

Casa mia è la bocca di uno squalo

Naffati preso dalla disperazione per la reclusione, chiede che venga chiesta alla gente che lo conosce se è una brava persona. Contrastando lo stigma associato alle cicatrici sul volto che gli hanno fatto guadagnare l’etichetta di “pericoloso”. I documenti che ha condiviso sui social testimoniano il suo impegno lavorativo e il suo desiderio di essere riconosciuto per quello che è: un uomo che ha lavorato duramente per costruirsi una vita dignitosa in Italia.

Il caso di Naffati è emblema di una più ampia crisi dei diritti umani che coinvolge i migranti in Italia. Le sue parole e i suoi video su TikTok offrono uno sguardo diretto su un sistema di detenzione amministrativa che spesso fallisce nel rispettare i diritti fondamentali degli individui. La sua vicenda apre una riflessione su come sia necessario riformare i Cpr, garantire maggiori tutele legali e migliorare le condizioni di lavoro per i migranti, per evitare che storie come questa continuino a verificarsi nel silenzio generale.

Come ha scritto la poetessa somala-britannica Warsan Shire, «Nessuno lascia la sua casa, a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo». Forse si dovrebbe riflettere sul fatto che quelle case a volte sono prigioni, altre i cimiteri di chi non ce la fa a cercare i suoi diritti altrove.

Nelle conclusioni del report dell’ASGI sul Cpr Milano Corelli si afferma,

Si ritiene che ai garanti possano essere rivolti reclami per lamentare la violazione dei propri diritti, delle disposizioni che regolano la convivenza all’interno del centro e in particolare dell’art. 21 del Regolamento di esecuzione e del Regolamento CIE, nonché la mancata erogazione dei servizi previsti da tali disposizioni. La possibilità prevista per le persone trattenute di presentare reclami deve essere effettivamente garantita. Si condividono le preoccupazioni espresse dal Garante nel Rapporto sulle visite effettuate nei Centri di permanenza per i rimpatri nel periodo 2019-2020 in ordine alla necessità di verificare l’effettiva applicazione di tale strumento di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale.

Report sulla visita al Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Milano – Via Corelli, ASGI

Autore

Sono pugliese ma ho studiato fuori. Sto imparando a prendere le cose fragili con le mani bagnate. Ho scritto due libri di poesie. Amo la letteratura e una volta ho litigato con un prete.

Collabora con noi

Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine Sede di Generazione Magazine

Se pensi che Generazione sia il tuo mondo non esitare a contattarci compilando il form qui sotto!

    Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

    Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

    Chiudi