Le vicende politiche della Regione Calabria sono la sintesi della crisi amministrativa del paese

Roberto Occhiuto ha fatto della guida della Regione Calabria un banco di prova per una comunicazione politica fortemente personalizzata, incentrata sul tema del “riscatto calabrese”. Dietro la forza delle parole e di un racconto ben costruito, però, si cela una realtà ben più complessa

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Le dimissioni lampo di luglio 2025, a seguito di un’inchiesta per corruzione, e la contestuale ricandidatura segnano l’apice di una parabola in cui la potenza della narrazione ha sostituito il bilancio reale dell’azione di governo regionale. 

LA STRATEGIA DELLE DIMISSIONI-NON DIMISSIONI

Quando la politica diventa marketing

In un sistema democratico maturo, le dimissioni di un Presidente di Regione rappresentano un atto politico di grande rilievo: interrompono il mandato conferito dai cittadini e segnano una presa di responsabilità di fronte a eventi che compromettono l’azione amministrativa. È un gesto che dovrebbe essere accompagnato da trasparenza, riflessione e rispetto delle forme istituzionali.

Il caso di Roberto Occhiuto si discosta radicalmente da questo schema. Il 31 luglio 2025, alla vigilia degli Stati Generali del Mezzogiorno di Forza Italia, ha annunciato le sue dimissioni non in una conferenza stampa istituzionale, ma con un video diffuso sui social media. Una scelta tutt’altro che neutra, che dice molto di come la politica contemporanea tenda a reinventare – o meglio, a piegare – le regole del gioco democratico alle proprie esigenze comunicative. “Non ci faremo fermare, mi dimetto e mi ricandido”, ha dichiarato, trasformando un atto formale in uno slogan elettorale. La strategia, infatti, è ribaltare una crisi giudiziaria in un’opportunità politica, facendo delle dimissioni non un’ammissione di responsabilità, ma il trampolino di lancio per una nuova campagna elettorale.

La retorica dell’assedio

Dopo l’avviso di garanzia per corruzione ricevuto nel giugno 2025, Roberto Occhiuto ha costruito una narrazione precisa: quella dell’uomo solo al comando, ostacolato da un sistema ostile. Ha adottato toni da crociata personale, ricorrendo a quella che gli esperti di comunicazione politica definiscono “retorica dell’assedio”. Una strategia tipica dei leader in difficoltà, che offre vantaggi evidenti: trasforma l’indagato in vittima, i magistrati in persecutori e gli avversari politici in nemici del territorio. Così, l’inchiesta giudiziaria – anziché essere affrontata con trasparenza – diventa un’occasione per rilanciare l’immagine e rafforzare il consenso.

Il messaggio implicito è che non conta ciò che emergerà dalle indagini, ma ciò che decideranno le urne. “Questa volta il futuro della Calabria lo decidono solo i calabresi”, ha affermato, fondendo abilmente volontà popolare e presunzione di innocenza. Questa narrazione mira a trasformare un’eventuale rielezione in una sorta di assoluzione politica preventiva, un precedente che, se consolidato, rischia di minare alla radice il principio di separazione dei poteri su cui si fonda la democrazia.

LA PERSONALIZZAZIONE DEL POTERE: UN MODELLO CHE SVUOTA LE ISTITUZIONI

L’eredità berlusconiana nella politica calabrese

La vicenda Occhiuto non è un caso isolato, ma rappresenta l’evoluzione di un modello politico ben radicato nella storia recente dell’Italia: la personalizzazione della leadership. Silvio Berlusconi lo inaugurò nel 1994 con Forza Italia, un “partito personale” costruito interamente attorno alla figura del leader. Gli elementi chiave di questo modello – controllo dell’informazione, risorse economiche significative, carisma personale e capacità di comunicazione – sono diventati progressivamente dominanti nel panorama politico italiano. La televisione prima, i social media poi, hanno reso questo approccio non solo possibile, ma quasi inevitabile. La politica si è trasformata in spettacolo, dove conta più il modo in cui si comunica qualcosa piuttosto che il contenuto effettivo del messaggio.

Roberto Occhiuto incarna pienamente questa tradizione. Ha saputo trasformare un atto giudiziario in un’occasione per rafforzare il proprio ruolo, mostrando una padronanza delle tecniche di comunicazione contemporanea che supera le competenze amministrative convenzionali. Ma questo processo ha un costo: le istituzioni smettono di essere garanti dell’interesse collettivo e si trasformano gradualmente in strumenti al servizio del progetto politico personale del leader di turno.

Con la campagna elettorale ormai conclusa, Occhiuto non ha perso occasione per rivendicare i pochi risultati positivi ottenuti, scaricando invece ogni responsabilità dei fallimenti su altri soggetti. Privatizzare i meriti, socializzare le colpe: è una strategia che funziona, ma che svuota il senso stesso della politica. Le elezioni anticipate, inoltre, comportano costi aggiuntivi per il bilancio regionale e interrompono la continuità amministrativa in un momento particolarmente delicato, con progetti PNRR in corso e fondi europei da spendere. Una mossa che rafforza il leader, ma indebolisce la Calabria. 

PROFILO DI UNA LEADERSHIP IBRIDA

Le radici di una scalata al potere

Roberto Occhiuto, nato a Cosenza nel 1969, incarna una “leadership ibrida” tipica dell’Italia contemporanea, che intreccia imprenditoria, giornalismo e politica. Laureato in Economia all’Università della Calabria, ha fatto della comunicazione strategica il suo punto di forza, padroneggiando sia media tradizionali che piattaforme digitali per costruire narrazioni politiche incisive.

Il suo percorso politico, iniziato nella Democrazia Cristiana, lo ha portato progressivamente nel centrodestra, fino a diventare figura chiave di Forza Italia nel Mezzogiorno e vicesegretario nazionale nel 2024. Questa posizione ha un’ambivalenza strategica: quando i risultati dell’amministrazione regionale sono positivi, il merito viene rivendicato personalmente; quando emergono ritardi, criticità o fallimenti, la responsabilità viene sistematicamente attribuita al “centro” che continua a trascurare le esigenze del Sud. Una narrazione flessibile che gli permette di indossare, a seconda delle circostanze, i panni dell’uomo delle istituzioni o dell’outsider che lotta per il riscatto del territorio calabrese.

Il trionfo elettorale del 2021 e i suoi limiti

La consacrazione politica di Occhiuto è arrivata con le elezioni regionali del 2021, dove ha ottenuto una vittoria netta con il 54,46% dei consensi, doppiando la candidata del centrosinistra-M5S Amalia Bruni (27,68%). Questo successo è stato reso possibile da una coalizione ampia e ben coesa che ha saputo tenere insieme Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, UDC, Forza Azzurri, Coraggio Italia e Noi con l’Italia. Tuttavia, al di là del trionfo in termini di percentuali, emerge un dato che merita particolare attenzione: l’astensionismo si è attestato al 55,6%, una cifra che evidenzia la persistente sfiducia di una parte significativa dei calabresi verso la politica regionale.

Lo slogan della campagna elettorale – “La Calabria che l’Italia non si aspetta” – racchiudeva l’ambizione di restituire centralità a una regione troppo spesso relegata ai margini. Era una promessa di trasformazione profonda che, a quattro anni di distanza, presenta un bilancio molto più complesso e contraddittorio di quanto la narrazione ufficiale lasci intendere.

LA SANITÀ CALABRESE E L’ETERNO COMMISSARIAMENTO 

Il doppio ruolo di Occhiuto: presidente e commissario

Nel 2021, Roberto Occhiuto ha assunto un incarico senza precedenti: oltre alla presidenza della Regione, ha ottenuto anche la nomina a commissario ad acta per la sanità regionale. Questa concentrazione di poteri rappresentava un’opportunità storica per superare le disfunzioni di un sistema in cui si erano succeduti vari commissari senza mai ottenere risultati significativi. Tuttavia, a quasi quattro anni di distanza, la sanità calabrese rimane ancora commissariata e il tanto annunciato “cambio di rotta” si è rivelato più uno slogan che una reale trasformazione. Nel luglio 2025, lo stesso Occhiuto ha pubblicamente denunciato i ritardi nell’approvazione del nuovo Piano di rientro.

Al di là dei rimpalli di responsabilità tra istituzioni, la realtà è che la sanità calabrese continua a rappresentare il simbolo più evidente del fallimento amministrativo regionale e della disuguaglianza del sistema sanitario nazionale. Tra le scelte più controverse della gestione Occhiuto c’è stata l’adozione del cosiddetto “metodo AGENAS” – Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali, un ente pubblico che monitora e valuta la qualità, l’efficienza e i risultati delle strutture sanitarie in Italia. Si basa su parametri standardizzati, derivanti dalle disposizioni del DM 70/2015, che – secondo Potere al Popolo Catanzaro – sottostima gravemente il reale fabbisogno di personale nelle strutture calabresi. In passato, il DM 70/2015 ha già avuto effetti negativi sul sistema sanitario nazionale, riducendo significativamente i posti letto e chiudendo molte strutture in tutto il Paese. 

Secondo la Relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria delle Regioni e Province autonome, la spesa sanitaria calabrese rappresenta il 77,24% del bilancio complessivo regionale, a testimonianza di quanto la sanità sia al centro dell’azione amministrativa. Nonostante questo elevatissimo impegno finanziario, persistono gravi criticità nella qualità e nell’efficienza dei servizi erogati, come dimostrato dall’alto tasso di mobilità sanitaria passiva e dalle valutazioni sistematicamente insufficienti del Ministero della Salute sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

I LEA: una “pagella” insufficiente 

I LEA rappresentano l’insieme delle prestazioni e dei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire gratuitamente o con partecipazione alla spesa su tutto il territorio nazionale, senza distinzioni geografiche. Come spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, il punteggio LEA funziona sostanzialmente come una “pagella” che stabilisce quali Regioni vengono promosse (e quindi ammesse ai fondi premiali), e quali invece vengono bocciate per inadempienza.

Dal monitoraggio dei LEA 2023, realizzato dal Ministero della Salute attraverso gli indicatori core del Nuovo Sistema di Garanzia, la Calabria ha registrato un miglioramento in tutte le aree di assistenza sanitaria, pur restando sotto la soglia di adempienza. Un segnale positivo, ma che non cancella le criticità strutturali che ancora affliggono il sistema. Mentre l’assistenza ospedaliera e quella della prevenzione mostrano progressi lenti ma percettibili, il vero problema rimane l’assistenza distrettuale – ovvero i servizi socio-sanitari offerti direttamente sul territorio per rispondere ai bisogni quotidiani di benessere e salute. Qui, la Calabria totalizza appena 40 punti, ben sotto la soglia di sufficienza. 

L’emergenza quotidiana della sanità calabrese

Dietro questi numeri tecnici, si nasconde una realtà fatta di carenze che si ripercuotono direttamente sulla vita e sulla salute dei cittadini calabresi. Costretti a scegliere tra il rinvio indefinito delle cure necessarie e il cosiddetto “viaggio della speranza” verso strutture del Centro-Nord, i calabresi vivono un’emergenza sanitaria costante.  Liste d’attesa per esami diagnostici e visite specialistiche lunghissime, screening oncologici (strumento fondamentale di prevenzione) insufficienti, tempi eccessivi nei soccorsi di emergenza e carenza di personale sanitario sono solo alcuni dei problemi quotidiani. 

Secondo i dati ufficiali sulla mobilità sanitaria regionale, la Calabria ha speso più di 304 milioni di euro per garantire cure ai propri cittadini presso strutture sanitarie di altre regioni. Questi fondi potrebbero invece essere investiti per potenziare il sistema sanitario locale. La mobilità sanitaria passiva, che riguarda il 25,75% della popolazione calabrese secondo il Rapporto Osservasalute 2023, riflette una sfiducia profonda: più di 1 calabrese su 4 preferisce o è costretto a rivolgersi a strutture sanitarie di altre regioni per ricevere cure adeguate. 

Articolo 32 della Costituzione: un diritto negato 

Per comprendere appieno la portata della crisi sanitaria calabrese, bisogna considerare il contesto nazionale. L’Italia è tra i Paesi europei che investono meno nella sanità pubblica: la spesa sanitaria pro capite è di circa 900 euro inferiore alla media dei Paesi OCSE europei, con conseguenze evidenti sulla qualità e sulla sostenibilità del sistema.

In questo scenario, l’autonomia differenziata promossa dal governo Meloni rischia di accentuare ulteriormente i divari territoriali già esistenti. Le regioni del Centro-Nord, già avvantaggiate da strutture sanitarie e capacità amministrative superiori, otterranno maggiori risorse, mentre il Sud vedrà inevitabilmente ridursi le possibilità di recupero competitivo. Il rischio concreto è la cristallizzazione definitiva delle disuguaglianze. La mobilità sanitaria passiva, già oggi insostenibile, rischia di trasformarsi in un esodo irreversibile.

Questa situazione nega un diritto costituzionale fondamentale: l’articolo 32 che tutela la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Quando un calabrese deve viaggiare centinaia di chilometri per cure, sostenendo costi aggiuntivi, e l’accesso alle cure diventa un privilegio legato alle disponibilità economiche, quell’articolo diventa lettera morta.

Una crisi sistemica con radici profonde

Infine, è importante ricordare che questa crisi non è recente né imputabile solo all’attuale amministrazione. È il risultato di decenni di politiche sanitarie miopi, tra tagli lineari e riforme punitive, che hanno normalizzato una disuguaglianza ormai strutturale. Un momento critico fu il piano di riorganizzazione ospedaliera del 2010, voluto dall’allora governatore Giuseppe Scopelliti, nelle fila di Forza Italia, con la chiusura di 18 ospedali regionali. Roberto Occhiuto, allora deputato UDC, sostenne pubblicamente quel piano, legittimando quella logica di smantellamento.

La situazione è stata aggravata dall’inerzia dei governi successivi, anche di centrosinistra, che non hanno invertito la tendenza. Nessuna amministrazione ha affrontato con decisione la desertificazione sanitaria delle aree interne né ha investito nella medicina territoriale o nel rinnovo di una rete ospedaliera fatiscente e sotto organico.

IL DECLINO DEMOGRAFICO: LA CALABRIA CHE SCOMPARE

I numeri di una crisi irreversibile

La crisi sanitaria calabrese è accompagnata da un fenomeno altrettanto grave e strettamente collegato: il declino demografico della Regione. I dati ISTAT confermano che la popolazione residente è in costante diminuzione, con un saldo naturale (la differenza tra nati e morti) fortemente negativo, pari a -4,4 per mille abitanti. A questo si aggiunge una crisi della natalità ormai strutturale, che riflette non solo i cambiamenti culturali delle società occidentali, ma soprattutto la mancanza di prospettive economiche e sociali, che scoraggia le giovani coppie dal mettere al mondo figli in un territorio percepito come privo di futuro.

Questo calo demografico è alimentato da due fattori che si rafforzano reciprocamente: l’invecchiamento progressivo della popolazione calabrese e la persistente emigrazione dei giovani verso il Centro-Nord Italia o l’estero. Il risultato è un progressivo svuotamento demografico che non accenna a rallentare e che sta modificando profondamente il tessuto socio-economico della regione.

Le previsioni future sono allarmanti. Secondo le stime elaborate da SVIMEZ sulla base dei dati ISTAT, entro il 2050 la Calabria potrebbe perdere quasi un quinto della popolazione, scendendo sotto 1,5 milioni di residenti: si tratta di un calo pari alla scomparsa combinata delle città di Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza. Questa drastica riduzione minaccia la sostenibilità dei servizi pubblici, la tenuta del welfare locale e la capacità di attrarre investimenti infrastrutturali di lungo termine.

L’emorragia del capitale umano giovanile

Il dato statisticamente più allarmante e strategicamente più dannoso riguarda l’emigrazione giovanile, un problema che affligge tutto il Mezzogiorno. Secondo il Rapporto SVIMEZ 2024, tra il 2002 e il 2023 il Sud ha perso quasi 213.000 abitanti per migrazioni internazionali, mentre solo nel 2023 circa 124.000 persone hanno lasciato le regioni del Sud per trasferirsi nel Centro-Nord. Questo flusso migratorio è fortemente selettivo: quasi il 70% di chi parte ha tra i 20 e i 39 anni e un alto livello di istruzione, con un numero crescente di diplomati e laureati e un calo significativo di chi possiede solo la licenza media, segno che il Sud continua a perdere soprattutto giovani qualificati. 

Si tratta di una vera e propria emorragia di capitale umano, quella risorsa che qualunque economista considera la più preziosa per immaginare e costruire processi di sviluppo economico duraturo e sostenibile. Le conseguenze sono già evidenti: scuole che chiudono per mancanza di iscrizioni, comuni che si spopolano progressivamente, un mercato del lavoro sempre più invecchiato e stagnante.

Lavoro irregolare e precario

ANSA riporta che, secondo le tabelle Eurostat 2024, in Calabria il tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni si è attestato al 44,8%, registrando un lieve aumento (+0,2% rispetto al 2023), ma rimanendo comunque tra i più bassi sia in Italia che in Europa.

La regione si distingue inoltre per una delle più elevate incidenze di lavoro irregolare (il cosiddetto “lavoro nero”) e occupazione precaria a livello nazionale, una realtà che pesa gravemente sull’economia e sulla società calabrese. Gli impieghi irregolari, privi di contratti e tutele, non solo mantengono bassi i redditi, ma impediscono a molte persone di costruire percorsi professionali stabili e duraturi. I più colpiti sono sistematicamente i giovani e le donne, che subiscono una doppia discriminazione legata all’età e al genere.

La UIL evidenzia la grave esclusione lavorativa che colpisce le donne in Calabria, dove meno di 1 su 3 ha un’occupazione regolare e la maggior parte è costretta a contratti precari o a part-time involontario, ovvero con orari di lavoro ridotti non per scelta personale, ma per mancanza di alternative occupazionali più soddisfacenti e dignitose. A ciò si aggiunge un divario retributivo di circa il 30% rispetto agli uomini. Questa condizione – aggravata dal peso quasi esclusivo del lavoro di cura familiare e dalla carenza di servizi come asili nido – limita fortemente la possibilità di costruire un progetto di vita stabile, dall’acquisto della casa alla formazione di una famiglia, e influisce negativamente anche sulle future pensioni. 

PROPAGANDA VS REALTÀ 

Il fallimento del PNRR

Se esiste un indicatore capace di misurare con precisione la distanza siderale tra retorica istituzionale e realtà operativa, questo è l’utilizzo dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) in Calabria. I dati ufficiali smontano, cifra dopo cifra, la narrazione della “Calabria modello di efficienza” ossessivamente promossa dalla macchina comunicativa dell’amministrazione Occhiuto.

Secondo il report della SVIMEZ “PNRR Execution: le opere pubbliche di Comuni e Regioni”, la Regione Calabria occupa una delle ultime posizioni in Italia per capacità di attuazione del PNRR, con un misero 23,5% dei progetti effettivamente avviati rispetto agli impegni assunti. Un risultato che assume contorni ancora più imbarazzanti se confrontato con le performance dei Comuni calabresi, che hanno raggiunto un tasso medio di attuazione del 65,5% – quasi tre volte superiore a quello dell’ente regionale.

Questo divario non è solo statisticamente rilevante, è politicamente devastante. Dimostra che il problema non risiede in generiche difficoltà strutturali del territorio calabrese nel gestire i fondi europei, ma in specifiche e gravi carenze della macchina amministrativa regionale nella progettazione, programmazione e realizzazione degli interventi. Quando i Comuni riescono a fare meglio della Regione, il problema non è la Calabria: è chi la governa.

Strada Statale 106 Jonica: quando la propaganda calpesta il dolore

Tristemente soprannominata “strada della morte”, la SS 106 Jonica attraversa paesaggi di straordinaria bellezza lungo la costa ionica per 491 chilometri da Reggio Calabria a Taranto, ma la sua pericolosità è nota e documentata da decenni. Carreggiate strette, curve insidiose, attraversamenti urbani e tratti stradali risalenti all’epoca del fascismo ne fanno un’arteria ben lontana dagli standard europei di sicurezza.

Il confronto con le altre regioni attraversate dalla statale restituisce un quadro impietoso per la Calabria. In Puglia e Basilicata, i rispettivi 39 e 37 chilometri sono stati interamente ammodernati: quattro corsie, spartitraffico centrale, carreggiata larga 18,60 metri e dotazioni di sicurezza conformi alle norme UE. In Calabria, invece, la situazione è radicalmente diversa. Dei 415 chilometri complessivi, soltanto 67 – pari al 16% – sono stati adeguati. I segmenti ammodernati, distribuiti in maniera frammentaria, non modificano la natura complessivamente rischiosa dell’arteria, lasciando oltre 348 chilometri ancora da riqualificare. Le conseguenze di questo ritardo si leggono anche nei numeri della sicurezza stradale. La Gazzetta del Sud riporta che, dal 1996 al 2023, la SS 106 è stata teatro di circa 12 mila incidenti, con 27 mila feriti e oltre 750 vittime. Dati che non raccontano soltanto una tragedia umana, ma certificano il fallimento di decenni di politiche infrastrutturali.

Le cause dei ritardi affondano le radici in fattori strutturali che vanno oltre la politica contingente. Sul fronte giudiziario, l’operazione “Affari di famiglia” ha svelato il coinvolgimento della ‘Ndrangheta nei lavori di ammodernamento della SS 106; la più recente “Coccodrillo” (2021) ha documentato una collusione sistematica tra imprenditori e cosche mafiose con l’obiettivo di controllare gli appalti pubblici. Intimidazioni, danneggiamenti e la necessità costante di controlli antimafia rallentano inevitabilmente ogni intervento.

Su questo scenario si innesta la strategia comunicativa di Roberto Occhiuto, che ha posto la SS 106 al centro della propria narrazione politica. Nel marzo 2025, durante un incontro con il ministro Matteo Salvini, ha dichiarato: “Nei trent’anni precedenti era stato stanziato soltanto un miliardo. Negli ultimi tre anni siamo arrivati invece a 3,8 miliardi.” Un’affermazione di forte impatto, che alimenta l’idea di una svolta epocale. Tuttavia, la realtà dei lavori racconta altro. Il cantiere più avanzato è quello del Terzo Megalotto, tra Sibari e Roseto Capo Spulico: 38 chilometri di nuova arteria a quattro corsie per un investimento di circa 1,3 miliardi di euro. I lavori sono partiti a maggio 2020, prima dell’elezione di Occhiuto, e il completamento è previsto per agosto 2026, sei anni dopo l’avvio. 

Per chi vive lungo la costa ionica, non si tratta di un tema da convegno, ma di una questione di vita o di morte. Alimentare aspettative irrealistiche attraverso comunicati trionfalistici, quando gran parte dei lavori è ancora in fase progettuale, non solo genera frustrazione e sfiducia, ma rappresenta una mancanza di rispetto verso le vittime, spesso giovani con sogni e progetti spezzati, e le loro famiglie. Per restituire credibilità, serve una comunicazione trasparente e dati certi: informare con onestà sui tempi, affrontare le criticità e garantire una pianificazione rigorosa è un dovere verso la comunità. Soprattutto quando in gioco c’è la sicurezza e la vita delle persone. 

La “Calabria da vetrina”: quantità non vuol dire qualità

Un bilancio intellettualmente onesto non può ignorare i successi: sotto la presidenza di Roberto Occhiuto, la Calabria ha attratto una quantità senza precedenti di finanziamenti europei, segnando una svolta storica per la regione. Tuttavia, questo traguardo da solo non basta.

Se la difficoltà nel gestire i fondi del PNRR è un chiaro segnale di inefficienza amministrativa, gli investimenti settoriali mettono in luce un problema ancora più profondo: la falsa convinzione che aumentare la spesa corrisponda automaticamente a una maggiore efficacia.

Nonostante le dichiarazioni di investimenti record, l’effettiva capacità di trasformare queste risorse in sviluppo tangibile per la Calabria rimane limitata. La programmazione regionale mostra infatti l’assenza di una strategia integrata e una governance stabile. Senza strumenti adeguati per monitorare e valutare i progressi, gli investimenti rischiano di tradursi in spesa fine a se stessa, senza benefici duraturi per il territorio e per le comunità. 

Il problema principale è la mancanza di una visione d’insieme che colleghi ambiente, turismo, infrastrutture e sviluppo economico. Ad esempio, gli investimenti nel settore turistico potrebbero rappresentare un’opportunità straordinaria per una regione ricca di patrimoni naturali, culturali ed enogastronomici. Tuttavia, gli aeroporti di Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone rimangono scarsamente interconnessi con il territorio regionale e poco accessibili attraverso trasporti pubblici efficienti. Il sistema ferroviario calabrese continua a essere caratterizzato da infrastrutture obsolete, tempi di percorrenza poco competitivi e scarsa integrazione con altri sistemi di mobilità. Anche il patrimonio culturale diffuso – aree archeologiche, centri storici, borghi antichi, musei – soffre per la mancanza di manutenzione adeguata, di personale qualificato e di progetti di digitalizzazione. Inoltre, non esiste un modello di turismo sostenibile e destagionalizzato. In sostanza: si investe nel turismo senza costruire le condizioni perché il turismo diventi davvero motore di sviluppo.

Il quadro che emerge è quello di una “Calabria da vetrina”, una regione che comunica efficacemente sostenibilità, innovazione e modernizzazione, ma che nella pratica quotidiana non riesce a costruire processi duraturi di vera trasformazione. Gli investimenti si trasformano in operazioni di marketing territoriale piuttosto che in reale rafforzamento delle capacità economiche e sociali del territorio.

LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE NELL’ERA DELLA POST-VERITÀ: IL CASO DELL’AMMINISTRAZIONE OCCHIUTO IN CALABRIA

Secondo il sondaggio SWG, Roberto Occhiuto è al quarto posto nella graduatoria tra i governatori più apprezzati. Eppure, un interrogativo cruciale si impone quando si analizza l’attuale amministrazione calabrese: come può un governo regionale che presenta risultati concreti così deludenti mantenere un’immagine pubblica così positiva e solida? La risposta risiede nella già citata strategia comunicativa adottata dall’amministrazione Occhiuto.

Sul piano della comunicazione istituzionale, infatti, ha mostrato un’efficacia indiscutibile: presenza costante e strategica sui media nazionali e locali, costruzione di uno storytelling coerente e accattivante, attenzione maniacale al linguaggio utilizzato e alla cura dell’immagine pubblica. La comunicazione istituzionale tradizionale, orientata principalmente a informare i cittadini sulle attività dell’amministrazione, si è trasformata in vero e proprio marketing emozionale. L’obiettivo di questa strategia comunicativa va ben oltre la semplice informazione: punta a ispirare i cittadini, convincerli dell’efficacia dell’azione di governo, creare un legame emotivo tra la popolazione e la figura del presidente. 

È l’era della “post-verità amministrativa”. Non si tratta di mentire apertamente, cosa che risulterebbe troppo grossolana e facilmente smascherabile, bensì di selezionare accuratamente gli elementi da comunicare, enfatizzando ogni piccolo successo e occultando sistematicamente le criticità. Questa strategia ha conseguenze profonde: genera una dissociazione tra la percezione pubblica e la realtà concreta vissuta quotidianamente dai cittadini. In Calabria, in particolare le nuove generazioni, sempre più orientate ai canali digitali, sono bombardate da immagini di una regione in rinascita, mentre al contempo devono fare i conti con disservizi evidenti come ritardi dei trasporti, carenze sanitarie, mancanza di opportunità lavorative e infrastrutture inadeguate. Così si creano due mondi paralleli: quello idealizzato dalla comunicazione istituzionale e quello reale. 

Questa frattura non produce solo delusione individuale, ma mina la fiducia nelle istituzioni democratiche. Quando la distanza tra comunicazione ufficiale e realtà percepita diventa incolmabile, il rischio è la progressiva disaffezione verso la partecipazione democratica e il coinvolgimento civico. Per questo motivo, analizzare criticamente la comunicazione istituzionale non è un mero esercizio teorico, ma una necessità per preservare il buon funzionamento della democrazia.

La Calabria merita più di una narrazione perfetta. Merita politiche pubbliche efficaci, investimenti che si traducano in risultati duraturi, una classe dirigente che sappia trasformare le sfide in opportunità concrete. Merita, in sintesi, di passare dalla politica dello spettacolo alla politica dei risultati. Solo così potrà davvero diventare quella “Calabria che l’Italia non si aspetta” che era stata promessa e che continua a essere attesa. E i calabresi devono avere il coraggio di pretenderlo. 

Autore

Katia Sabbagh

Katia Sabbagh

Autrice

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