Pensavamo tutti quanti, nell’ormai lontano marzo 2020, che il mondo sarebbe rimasto qualche mese in stand by per poi ripartire più forte di prima. Le cose non sono andate esattamente così. Quel marzo 2020 ha segnato un cambiamento radicale nella storia del mondo che, però, anziché fermarsi si è adattato a questa nuova condizione, com’è da sempre nella natura dell’uomo. Così, anche il mondo dell’arte ha dovuto prendere atto di questo cambiamento e trovare dei rimedi perché potesse sopravvivere alla pandemia.
Purtroppo, com’è noto, il mondo della cultura è stato tra i più colpiti. I musei, i teatri sono stati chiusi per tanto, troppo tempo. Qualcuno ha cercato di sfruttare questo periodo di chiusura reinventandosi. Ad esempio, i musei capitolini, insieme a molti altri nel mondo (tra tutti il Moma di New York), hanno inaugurato la stagione dei tour virtuali. Stando comodamente seduti sul divano era possibile visitare i musei più importanti del mondo, permettendo a studenti e appassionati di vivere da “vicino” mostre, esposizioni, opere, che, altrimenti, sarebbero rimaste rinchiuse nei musei. È stato un rimedio, utile, necessario, ma che non poteva essere in grado, ovviamente, di sostituire la fruizione reale delle opere. E così, in qualche modo, per reazione o semplice rappresentazione, o ancora per inaugurare un discorso meta-artistico, l’arte e gli artisti hanno iniziato a parlare di questa particolare condizione.
L’arte da sempre, infatti, segue gli eventi del mondo e l’artista è colui che racconta a modo suo la realtà che vive, i suoi stati d’animo e di chi lo circonda. A febbraio di quest’anno alla quadriennale di Roma un’artista come Giulia Crispiani ha creato un’opera concettuale durante il periodo di lockdown che consisteva in delle lettere stampate all’interno di scatole della pizza che sono state consegnate a domicilio. Un lavoro che racchiudeva molto del periodo vissuto durante la pandemia.
Anche il ballerino e coreografo Michele Rizzo ha realizzato un’opera confrontandosi con le restrizioni fisiche del lockdown. Quattro statue adagiate a terra per trasmettere l’idea di una danza vincolata, limitata dalla pandemia.
L’arte è stato lo strumento di comunicazione del disagio e del dolore anche fuori dai musei. JR a Firenze ha realizzato l’opera forse più significativa di quest’anno, un murale che rappresenta uno squarcio per riprodurre l’interno di palazzo Strozzi a Firenze, ovviamente chiuso da mesi per la pandemia. Lo squarcio rappresenta sia il dolore per la chiusura ma vuole anche dare un messaggio di speranza per il futuro e di voglia di rinascita. Recentemente l’artista ha ripetuto la stessa opera a Roma a Palazzo Farnese, attualmente in fase di restauro.
Anche Jago a Napoli ha esposto una sua scultura in piazza del Plebiscito che rappresenta un bambino incatenato. L’opera è passata alla cronaca anche perché un gruppo di giovani l’ha vandalizzata, per poi pubblicare i video sui vari social. Jago non ha recriminato troppo questo gesto ma ha invitato nel suo studio i ragazzi che hanno preso a calci la sua opera, gli ha mostrato la fatica che ci vuole per realizzare una statua del genere cercando di educare all’arte dei giovani un po’ distanti da quel mondo.
JR, La Ferita, Palazzo Strozzi Jago, Lock Down, Piazza del Plebiscito
L’arte ha sempre trasformato i momenti più difficili dell’umanità in qualcosa di bello, di spettacolare. La speranza è che questo periodo sia un elastico che farà ripartire tutto meglio di prima, perché, anche prima del Covid il settore culturale non godeva di buona salute.
Autore
Storica dell'arte classe '93. Specializzata in Arti visive e didattica dell'arte. Figlia prediletta dei castelli Romani. Eclettica, estrosa, elettrica.