Il disegno di legge del Ministro della Giustizia Nordio è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, anche se è ancora suscettibile di modifiche.
Il d.d.l., all’insegna del garantismo e dichiaratamente in linea con le volontà di Berlusconi in materia di giustizia, ha subito dure critiche. Alcune vengono, naturalmente, da parte dell’opposizione. Ma le più rilevanti sono poste da soggetti esterni al mondo governativo, tra cui l’Anm (Associazione nazionale magistrati) e dai giornalisti.
La misura è stata definita “legge salvacorrotti”, in quanto predispone la riformulazione del reato di traffico di influenze, in modo da limitarne l’ambito di applicazione a condotte particolarmente gravi. Questo reato, in breve, punisce l’intermediazione tra corrotti e corruttori. Come sottolineato dall’Anm, la sua revisione potrebbe portare a rendere leciti comportamenti pericolosi per la formazione delle decisioni della pubblica amministrazione. Inoltre questa riformulazione non è coerente con la linea di un governo che ha più volte dichiarato di voler combattere la corruzione ad ogni costo. Tuttavia, negli ultimi mesi, il governo ha innalzato il tetto del contante e implementato le misure contenute nel nuovo Codice appalti apertamente criticate dall’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione.
Ma in materia di corruzione le modifiche non finiscono qui: la riforma vuole infatti eliminare il reato di abuso d’ufficio. Questo reato riguarda il caso in cui un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni produca un danno o un ingiusto vantaggio patrimoniale in contrasto con la legge. La sua applicazione pratica pone indubbiamente dei problemi, ma la cancellazione del reato contrasta con delle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia. «Queste modifiche […] potrebbero compromettere l’efficace individuazione e lotta alla corruzione» si legge in un rapporto della Commissione Europea. Il Ministro ha già preso atto del problema e si è dichiarato disposto ad una revisione della proposta, spinto anche dalla premier Meloni, che non desidera ricevere ulteriori rimproveri da Bruxelles.
Non esenti da critiche sono le novità in materia cautelare, tra cui l’interrogatorio preventivo. Queste, secondo l’Anm, «avranno un effetto devastante sugli uffici». Inoltre, per il d.d.l. sarà un collegio di tre giudici, non più un solo magistrato, a decidere durante le indagini l’applicazione della custodia cautelare in carcere. La misura provocherebbe un allungamento dei tempi del processo, il che, oltre ad essere contro l’interesse dei cittadini, si trova in violazione degli obiettivi del PNRR.
A suscitare la rivolta mediatica sono però le misure in materia di intercettazioni. Si tratta di un ambito molto delicato, in cui è cruciale il bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto alla riservatezza. Occorre infatti salvaguardare interessi diversi, ma ugualmente degni di essere tutelati.
Il d.d.l. amplia il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, consentita solo se il contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento, o è utilizzato nel corso del dibattimento. Inoltre, stabilisce il divieto di rilascio di copia delle intercettazioni delle quali è vietata la pubblicazione, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, salvo che tale richiesta sia motivata dalla esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato.
Gli addetti ai lavori sono insorti in seguito alle nuove strette, anche perché degli ulteriori limiti in materia di intercettazioni erano già stati posti dalla riforma Cartabia. «In tema di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni l’unico criterio di riferimento deve essere l’interesse pubblico a sapere, il diritto dei cittadini a essere pienamente informati, come ha ribadito in più sentenze anche la Corte europea dei diritti umani» dichiara la Federazione nazionale della Stampa italiana. La Fnsi aggiunge anche, che con le nuove restrizioni alla libertà di stampa, si rischia di «far scivolare l’Italia nelle classifiche dei Paesi liberi in cui il giornalismo deve essere il cane da guardia della democrazia».
Tra i giornalisti critici c’è infine chi sottolinea come la questione delle intercettazioni non può esaurirsi imponendo nuovi paletti ai mezzi di comunicazione tradizionali. Come osserva Peter Gomez, infatti, potranno anche impedirne la pubblicazione sui giornali ma non riusciranno mai a impedire che finiscano su internet, basti pensare al caso Wikileaks.