La filosofia non serve a niente

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Filosofia: amore per il sapere. Siamo nel ventunesimo secolo e più che sapienti appariamo saccenti, gonfi delle nostre convinzioni fondate sulle notizie online, articoli di giornale, dibattiti radiofonici.

Ci sforziamo mai di focalizzare la nostra attenzione su pensieri più grandi, idee più ampie e concetti che quasi sembrano schiacciarci? Non saprei; il mondo va di corsa e le domande esistenziali risultano troppo scomode per far sì che si fermi. Immaginiamo di essere a cena fuori e improvvisamente un Fichte pone la questione: “Cos’è l’ Infinito?”. Ma solo porsi sul limite di ciò che possiamo conoscere è filosofare.

Filosofare è appurare, sorprendersi, realizzare, esaminare tutte quelle concezioni che secoli e secoli fa qualcuno ha già formulato o che noi stessi possiamo supporre. Qualcuno che non era immerso nell’ispirazione idilliaca di un locus amoenus ma ha vissuto condizionamenti culturali e storici che hanno smosso qualcosa. Una considerazione, una teoria, una scintilla di pensiero.

Così Pitagora aveva già capito che il bello è nella proporzione, nell’ordine e nell’armonia fra le parti e il neoclassicismo ne riaffiorò le idee scolpendo. E gli stessi pitagorici intuirono che nell’universo, concepito come un grande e assolato campo, non possa esistere una sola spiga di grano, quale è il nostro pianeta terra, ma ben altre luminose e crescenti.

Pensiamo ai sentimenti, alle emozioni che un brano, la scena di un film, una poesia possano suscitarci. È una sorta di fitta al cuore, un colpo preciso e dritto verso la fragile sensibilità. Ecco, Kant lo aveva già capito e teorizzato, lo aveva già gridato nelle sue pagine:

Il Sentimento provoca nell’essere umano un’unità. L’oggetto appare a noi bello come se fosse stato creato per suscitare in noi qualcosa di inspiegabile razionalmente.

Immanuel Kant, Critica del Giudizio, 1790

Questa stessa cosa che è l’emozione di viverlo tanto meravigliosamente quanto bello per noi, universale.

Gustave Doré, Dante e Beatrice contemplano l’Empireo (Paradiso – Canto trentunesimo), 1861

Ma pensiamo al guardarci allo specchio, al pensare nella nostra mente e presupporre un “Io”. Un qualcosa, un’entità, un soggetto che nella società diventa individuo ma nella riflessione è coscienza. Cosa sono io? Cosa scorre intorno a me? Un Eraclito avrebbe risposto con “panta“, perché “tutto” è sotto al flusso incessante del divenire che cresce e si rinnova. E quando ciò avviene può intraprendere due tortuose correnti: per un fine, per obbedienza ad un piano – quanti avranno mai risposto ad un avvenimento con un “era destino, doveva andare così“?- o semplicemente per conseguenza di un fatto precedente, un risultato di un meccanismo di cui facciamo inevitabilmente parte.

La filosofia non è un sapere specifico ma abbraccia i più vasti ambiti, è terreno fertile senza recinzioni, è, come affermò Aristotele, “senza servitù“. Non implica costrizioni, leggi o limiti, è in continua crescita ed evoluzione, riflettendo la dinamicità del pensiero che si mette in discussione. Il confronto, il dibattito critico, la crescita nel valutare diverse posizioni: questo ci rende consapevoli di noi stessi senza mai appurare nulla per certo, questo ci rafforza piuttosto che indebolirci.

Ci pensate che per giustificare un errore Cartesio aveva già sottolineato che è la nostra volontà, libera ed estesa, a smarrirsi e ad affermare ciò che non è puramente vero? Sbagliamo perché siamo liberi, perché possiamo scavalcare i limiti del nostro pensiero.

Quante volte ci capita di dover giustificare un’azione scomoda o semplicemente di sostenere una nostra idea? Siamo retori, ereditieri dei sofisti, che nel libero gioco del discorso riescono a prevalere. Ed è così che Gorgia difende nel suo encomio Elena di Troia, battendo i più grandi discorsi giuridici moderni, proprio come uno studente che armato di scuse convincenti tenta di scappare da un’interrogazione.

Dante Gabriel Rossetti, Lady Lilith, 1866–1873

Hume parlava dell’esperienza in cui viviamo come vittima dell’abitudine: gli esseri umani hanno la tendenza di ricondurre il presente al passato, e così di rivivere questo ogni giorno credendo debba essere sempre così. Uno scozzese settecentesco che finì la sua carriera come bibliotecario ad Edimburgo ebbe già l’intuizione di definirci schiavi delle aspettative, del “feeling“(sentimento) che proviamo nella realtà che costruiamo. E così fece anche Rousseau che in un discorso del 1750 delineò un quadro impeccabile della società in cui si trovava e in cui ancora viviamo: “Il tradimento si nasconde sotto all’ipocrisia della cortesia, addio stima reale! La cultura è finzione e commedia“. Eppure i social network non c’erano ancora arrivati.

Ecco, semplicemente studiando la storia della filosofia ci si pone in continua sfida con ciò che si legge e ciò che si affronta, che riguardi il bello (si parla così di Estetica), la nostra esistenza (Ontologia) o la scienza in sé (Epistemologia), ecc.

Al di là dell’interesse che questa materia possa suscitare, è inevitabile dire che senza filosofia si vive bene, ma con la filosofia si pensa meglio.

Le posizioni sono due: o si rimane passivi davanti al mondo e si vive da puri spettatori, o si indaga per scoprire il copione di fondo. Copione di cui però non c’è alcuna traccia e alla cui base non c’è regista. Allora perché agire? Fondamentalmente perché non serve a niente.

La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero.

G. W. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, 1820

Autore

Aurora Rossi

Aurora Rossi

Autrice

Roma, lettere moderne, capricorno ascendente tragedia. Adoro la poesia, tifo per l’inutilità del Bello, sogno una vita vista banchi di scuola (dal lato della cattedra, preferibilmente). Non ho mezze misure, noto i minimi dettagli, mi commuovo facilmente e non so dimenticare. Ma ho anche dei difetti.

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