Cosa ha deciso il governo francese con la riforma dell’immigrazione

Un’intervista a Loubna Reguig, Presidente dell’associazione degli Studenti Musulmani Francesi

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Recentemente, in Francia, è stata promulgata una legge che ha suscitato un vivace dibattito. La sua storia è stata travagliata e complessa, caratterizzata da elementi eclatanti e segnata da “prime volte” dopo un lungo periodo di tempo. Il Parlamento francese ha recentemente approvato una modifica delle regole sull’immigrazione, confermando il disegno di legge “Pour contrôler l’immigration, améliorer l’intégration” il 19 dicembre scorso. Questa legge è comunemente conosciuta come “Loi Darmanin”, prendendo il nome dal suo principale promotore.

Per comprendere meglio la parabola politica della “Loi immigration”, restano utili le dichiarazioni rilasciate da Bardella, presidente di Rassemblement National, il partito di estrema destra di Marine Le Pen.

È l’11 dicembre 2023, durante il governo di Borne con Attal come ministro dell’Istruzione, Per la prima volta dopo 25 anni una legge subisce una bocciatura senza nemmeno arrivare alla discussione parlamentare. La mozione di rigetto era stata promossa dai Verdi, ottenendo il sostegno di una coalizione insolita tra la sinistra radicale, l’estrema destra e partiti più moderati. Bardella commenterà in questo modo l’accaduto: 

“Abbiamo il nostro disegno di legge sull’immigrazione, è scritto, è pronto ed è mille volte più duro di quello proposto dal governo.”

(Guardian)

Darmanin, ministro degli Interni francese, dopo l’eclatante mozione presenta le dimissioni, e Macron rifiuta. 

Giorni tesi, tesissimi. Macron però non si ferma e nei giorni prima di Natale la legge viene riscritta. Conterà 86 articoli al momento dell’approvazione. La legge passerà grazie ai voti della destra. Macron opterà per il compromesso, che in quel momento significava concedere molto alla destra, soprattutto a Le Pen. 

“La vittoria ideologica di RN [nda: Rassemblement National] è ogni giorno più forte. Siamo passati dal respingere un testo lassista a un testo più duro sulle condizioni per la concessione dell’assistenza sociale agli stranieri”

J. Bardella (Radio Inter)

Da un’originaria proposta di legge che poteva essere considerata abbastanza severa, si è trasformata in una versione ancor più rigida e di orientamento marcatamente di destra. Tuttavia, nonostante l’approvazione della “loi immigration”, la crisi persiste. La pressione della destra su una maggioranza instabile porterà alle dimissioni di Elisabeth Borne e a un rimpasto di governo l’8 gennaio 2024. Attal viene nominato Primo ministro e gli aggettivi che lo descrivono sono gli stessi che i media usarono con il Macron del 2015 e anni a seguire. Il giornale francese Libération titola “Macron premier ministre” per sottolineare la somiglianza dei loro profili.

Nel frattempo, il Consiglio costituzionale esamina molti degli articoli all’interno del testo di legge: a un mese circa dall’approvazione, 35 degli articoli vengono censurati, quasi tutti quelli proposti dall’estrema destra. Bardella: 

«Il Consiglio costituzionale censura le misure di fermezza più approvate dai francesi: la legge sull’immigrazione è nata morta.»

(Le Monde)

La parabola è quindi descritta attraverso una voce, quella di Bardella, e da una linea che vede  il soddisfacimento e poi il rifiuto delle richieste di RN e altri partiti più conservatori. Molti in questa legge hanno visto la consacrazione di uno spostamento del governo di Macron – obbligato o volontario che fosse –, ma di segnali ce n’erano stati tanti e anche molto forti. Il “sistema” politico destra-sinistra sembra aver inghiottito di fatto chi se ne tirava fuori, e l’esecutivo non ha sollevato critiche alla notizia degli articoli censurati. Anzi, Macron ha promulgato la legge il prima possibile. 

I rapporti di forza politici in Francia sono cambiati e non si può escludere che la bolla di stabilità creata dal rimpasto non abbia fatto altro che inglobare idee più a destra, per allentare le tensioni del dibattito, e non corra in futuro il rischio di scoppiare ancora. 

In questo allentare le tensioni, Attal si incastra alla perfezione tra il volere dell’esecutivo di spingere su temi come l’istruzione, la laïcité, l’identità nazionale, e il bisogno di reindirizzare a destra una visione centrista, assecondando un trend che si era proposto già alle elezioni del 2022, mentre Macron trova in Attal risposta all’esigenza di risollevare i consensi e, forse, di trovare un erede.

Ma mentre la destra festeggiava la sua “vittoria ideologica”, e il Consiglio costituzionale esaminava il testo approvato, in strada confluivano sempre più persone, che manifestavano, facevano rumore perché questa legge non la volevano. Secondo il Ministero degli Interni erano oltre 75mila, ma per la CGT, il secondo sindacato francese, la cifra supererebbe le 150mila persone. Sui cartelli: “siamo tutti figli di immigrati”; “gli stranieri di ieri sono i francesi di oggi”; “le persone non sono illegali”; “Le Pen la sognava, Darmanin l’ha fatta”. 

La maggior parte si richiamava quindi al tessuto sociale francese, in cui le seconde o terze generazioni raggiungono percentuali di popolazione a doppia cifra. Per comprendere meglio come sono andate le proteste e i lasciti di tutta questa storia – e i provvedimenti precedenti – abbiamo intervistato Loubna Reguig, presidente dell’associazione che rappresenta gli studenti musulmani di Francia, l’EMF. L’associazione rappresenta una parte di popolazione più volte presa in causa da altri recenti provvedimenti politici e che, anche se non sovrapponibile alla popolazione con storie di immigrazione alle spalle, è soggetta anch’essa a discriminazioni: islamofobia, razzismo, xenofobia, incentivate da più fattori, nonché dalla creazione di un clima politico avverso, alimentato da parti politiche a cui l’esecutivo ha più volte teso.

Uno sguardo sulla società francese

Ogni volta che in Francia c’è una sequenza di proteste, una delle prime informazioni date ad un pubblico estero è: “Chi sta protestando? Chi è stato nelle strade?”. Gli studenti musulmani di Francia stanno protestando?

EMF è un’organizzazione che rappresenta gli studenti, perciò siamo più informati su misure che riguardano gli studenti. Nella versione iniziale della legge sull’immigrazione, una sezione rivolta agli studenti internazionali era presente, delineando diverse misure, tra cui l’introduzione di un deposito cauzionale (articolo 11), la richiesta di giustificare annualmente la seria e genuina volontà di perseguire gli studi (articolo 12), e l’adozione di tasse universitarie maggiorate per gli studenti provenienti da fuori l’Unione Europea, senza esenzioni (articolo 13). Inoltre, la bozza iniziale conteneva altri articoli discriminatori, che sono stati conseguentemente eliminati dal Consiglio Costituzionale.

In linea con i principi fondamentali di EMF – servire, difendere e supportare gli studenti indipendentemente da gender, religione, origine o credo politico – abbiamo espresso pubblicamente la nostra posizione riguardo questa legge tramite una dichiarazione postata su X.

Ciononostante, EMF pone significativa enfasi sulla libertà individuale di coscienza e scelta all’interno della sua community. Di conseguenza, non è stato sollevato nessun invito ufficiale alle proteste. Perciò non sono disponibili informazioni relative alla portata della partecipazione di membri dell’associazione in alcuna delle proteste. Tuttavia, la copertura mediatica suggerisce una diversificata rappresentazione tra i manifestanti.

Recentemente, diverse riforme sono state portate avanti in Francia e in qualche modo delineano il modo in cui il governo francese si rapporta con varie problematiche, specialmente quelle collegate, più o meno direttamente, ad istruzione e immigrazione.
Per citarne alcune: il divieto di abaya, la riforma delle medie più volte evocata da Attale, la legge sull’immigrazione al centro di molte critiche, l’ampia riforma delle scuole che Macron ha proposto dopo il rimpasto di gennaio, e che porterebbe, più o meno direttamente, ad un rinforzo dell’identità nazionale francese. In quanto presidente dell’EMF, credi che questo flusso di riforme sarà dannoso nei confronti degli studenti musulmani in Francia?

Come cittadina francese, ed ex-studentessa, posso affermare che queste riforme impattano negativamente su tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. La natura sfaccettata di queste riforme cela alla base un’intenzione di omogeneizzare e plasmare la popolazione, iniziando dalla tenera età e utilizzando il sistema scolastico nazionale come un mezzo per propagare un’ideologia autoritaria. Questo solleva legittime preoccupazioni, amplificate da numerosi attivisti che hanno già esternato la loro apprensione.

D’altronde, è cruciale dare priorità nell’affrontare le problematiche sostanziali e le vere sfide confrontandosi sia con gli studenti che con le istituzioni scolastiche, invece di fabbricare problemi inesistenti con il solo scopo di favorire le discriminazioni.
La carenza di personale docente, la precarietà degli studenti, gli standard accademici, i salari degli insegnanti e altri sono problemi tangibili che meritano soluzioni genuine e vaste riforme.

Sarà un’identità nazionale inclusiva?

La sfida della Francia con l’inclusività nell’ambito della sua identità nazionale è fondamentalmente plasmata dalla sua storia, che ha profondamente influenzato le percezioni della società e le politiche. Nel corso dell’era coloniale, la Francia impose la sua cultura, la sua lingua e i suoi valori sui suoi territori d’oltremare, spesso ignorando o sopprimendo le diverse identità e culture delle popolazioni indigene. Similmente, all’interno della Francia madrepatria, dialetti e culture regionali hanno affrontato soppressione e marginalizzazione. Queste azioni di dimensione storica hanno stabilito una narrativa dell’identità nazionale francese che dava priorità all’uniformità ed emarginava coloro che differivano da essa.

Le problematiche contemporanee intorno all’integrazione e all’assimilazione continuano a evidenziare le difficoltà della Francia nell’abbracciare le diversità. I dibattiti su argomenti come l’indossare capi propri di una cultura nelle scuole o la possibilità delle madri di indossare veli nell’accompagnare i loro figli durante le uscite scolastiche esemplifica le tensioni tra l’assecondare le diverse pratiche religiose e culturali e mantenere un’identità nazionale percepibile. Questi dibattiti sorgono spesso per via di politiche di governo che forzano inutilmente la percezione di una contrapposizione tra pratiche culturali e religiose e la conservazione di un’identità nazionale, a dispetto della loro intrinseca compatibilità.

Gli sforzi volti alla promozione dell’inclusività, come ad esempio positivi programmi d’azione e attivismo antidiscriminazione, hanno incontrato importanti sfide riconducibili a barriere sistemiche profondamente radicate e atteggiamenti politici. EMF, ad esempio, si impegna a facilitare il dialogo tramite i suoi eventi culturali, in particolare con “Odissea culturale”, che esamina criticamente contesti storico-culturali del paese. Tramite iniziative come queste, EMF cerca di promuovere comprensione e consapevolezza, contribuendo al più vasto obiettivo di creare una società più inclusiva.

La comunità musulmana si è sentita in qualche modo strumentalizzata durante gli ultimi mesi?

Questo sentimento non è esclusivo della comunità musulmana; numerose figure politiche e attivisti, senza distinzione di affiliazione religiosa, hanno espresso preoccupazioni in merito alla pratica di usare le persone musulmane come capri espiatori per distogliere l’attenzione da reali problemi sociali che affliggono la società francese. Purtroppo, i musulmani sono spesso utilizzati come una conveniente distrazione ogni volta che il governo cerca di far passare legislazioni impopolari e a svantaggio della società. Mentre c’è una palpabile sensazione di essere strumentalizzati, c’è anche una profonda stanchezza tra i musulmani, riflettendo il sentimento dei loro concittadini, di desiderare riforme sostanziali di cui beneficerebbero davvero tutti i membri della società.

Oltre a ciò, c’è anche il pericolo che questa retorica costituisce e l’impatto che ha sulla comunità che diviene marginalizzata e vittima di giornalieri atti di violenza. Ad esempio, non molto tempo fa c’è stato un attacco di gruppo organizzato dai gruppi di estrema destra. Non è la prima volta che accade e non è normale.

Quindi, non solo ci sentiamo strumentalizzati o stufi, ci sentiamo anche in pericolo.

Credi che ci sia una divisione nella società francese? Se sì, chi è che tende ad essere emarginato?

Le divisioni sociali che riscontriamo derivano primariamente da crescenti disparità economiche, con una borghesia sempre più ricca sempre più sconnessa dalle realtà della popolazione più ampia. Mentre la marginalizzazione di minoranze etniche e religiose è una realtà innegabile ed è in crescita, largamente fomentata dalle agende politiche e dal sensazionalismo dei media, in particolare provenienti da elementi dello spettro di estrema destra.

È essenziale evitare l’eccessiva semplificazione delle divisioni sociali a una linea religiosa o etnica, poiché quelle analisi sarebbero superficiali e modellate unicamente dalla narrazione dei media. L’unità dimostrata e le mobilitazioni contro la legge sull’immigrazione evidenziano come non siano nette come spesso riportato.

In ogni caso, a causa di una pervasiva narrazione d’odio, razzismo e islamofobia si manifestano in svariati modi, inclusa l’impunità di gruppi estremisti e il disturbante aumento dei casi di islamofobia, spesso non adeguatamente trattati dalle autorità. Per fare un esempio, un episodio recente dove un individuo ha cercato di incendiare una moschea durante la preghiera è stato minimizzato come mero vandalismo dal Ministro dell’Interno, mostrando la marginalizzazione e la disumanizzazione vissuta dalla comunità musulmana.

Similmente, il libro dell’ex ministro Edouard Philippe largamente pubblicizzato ha diffuso una narrativa pericolosa, suggerendo che i musulmani costituiscono una comunità distinta che richiede leggi a parte – un approccio che rievoca una segregazione simile all’apartheid. Tale retorica perpetua ulteriormente divisioni sociali e compromette gli sforzi volti verso l’inclusività e l’unità.

È imperativo resistere alle narrative che propagandano di un’inconciliabile incompatibilità tra le differenti etnie o religioni, che disumanizzano un segmento di popolazione e lo mettono in pericolo. Queste narrative sono falsi costrutti perpetrati da coloro che beneficiano dalle divisioni sociali e dalle ostilità, sia che avvenga tramite la stigmatizzazione mediatica, sia attraverso bias educazionali o tramite leggi come la Loi séparatisme. EMF lavora diligentemente nella sfera studentesca per incentivare il dialogo e combattere le disseminazioni d’odio.

L’identità nazionale che il governo vorrebbe rilanciare chiuderà o allargherà questa frattura?

L’identità nazionale che il governo cerca di costruire – più che rilanciare, in quanto non c’è mai stata una vera omogeneità di identità o codici – è un costrutto immaginario e fantastico che rievoca regimi del passato fascisti e autoritari. Questa immaginata identità raffigurerebbe una gioventù uniforme che serve il governo invece che la società, obbligata a partecipare al servizio di leva. Comunque, la gioventù francese è caratterizzata da una vibrante diversità, che incoraggia l’innovazione, la coesistenza e la contemporaneità.

Punendo e marginalizzando questa diversità all’interno della popolazione non è una soluzone; crea, invece, nuovi e duraturi problemi. Il focus del governo nell’occuparsi di problemi inesistenti serve solo ad ampliare il divario tra l’elite politica e borghese e i cittadini ordinari e umili. Invece di favorire l’unità e il progresso, questo tipo di misure inaspriscono le divisioni sociali e perpetuano le disuguaglianze.

L’islamofobia è un flagello che colpisce la Francia da anni, con dati che, se comparati su scala europea, sono abbastanza scioccanti. Dei 527 casi registrati dal CCIE nel 2022, 501 sono accaduti in Francia. Questa sproporzione può essere stata in parte influenzata da alcuni fattori: in primo luogo, la società francese, che include la più grande comunità musulmana in Europa, e poi il fatto che in Francia sono forse fatte più segnalazioni ai centri preposti al monitoraggio di questi episodi. In ogni caso, l’enorme sproporzione resta. Credi che questa identità nazionale – concetto di laïcité incluso – che l’esecutivo vorrebbe rinvigorire anche a partire dalle scuole, porterà ad un aumento degli episodi di islamofobia?

Ancora una volta, il problema in questione va oltre le mere questioni di identità, piuttosto, l’identità funge da catalizzatore per le divisioni. Il delinearsi di “altri” permette agli individui di definire loro stessi, spesso in opposizione a tratti o caratteristiche percepite come indesiderate, anche se queste percezioni di “altri” sono interamente costruite e infondate.

Mentre la diversità in sé stessa non è problematica, l’attuale dibattito spesso ritrae le differenze come un fastidio, attribuendo problemi a coloro che deviano da ciò che è percepito come “norma”. Di conseguenza, questa narrativa sostiene la soppressione di queste differenze nella prospettiva di un’illusoria identità omogenea.

Prospetti sociologici enfatizzano il ruolo della costruzione dell’idea di “altri” nel favorire la coesione dei gruppi e nel delineare confini tra “noi” e “loro”. L’esclusione è violenza psicologica e inevitabilmente prende la forma di discriminazioni, o nei casi peggiori violenza verbale o fisica. E così la normalizzazione della narrativa di un’identità nazionale a cui la comunità musulmana “non vorrebbe assimilarsi”, ovviamente non può far altro che portare a maggior violenza e islamofobia (anche se non è la sola forza motrice).

È cruciale per ognuno di noi educare sé stessi ed entrare in dialogo per ampliare le nostre conoscenze delle differenti culture senza imporre giudizi di valore. Inoltre, è essenziale per ognuno di noi condividere e sensibilizzare al fine di prevenire l’emarginazione e l’abuso di ogni gruppo nella società.

Autore

Nata tra i monti Lepini, non è che la montagna mi piaccia poi così tanto. Leggo, scrivo, arrivo sempre in ritardo ma cerco di compensare con l'impegno che metto nelle cose. Se potessi vivrei in viaggio, nel frattempo mi accontento di immaginarmi giornalista, una di quelli che raccontano mondi lontani. Che poi così lontani non sono.

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