Arrendersi ad Elon Musk

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Elon Musk, l’uomo che più di tutti incarna il mito contemporaneo dell’imprenditore-genio, ha scelto di palesare ancora una volta la sua natura politica nel modo più esplicito possibile: alzando il braccio nel gesto inequivocabile del saluto romano durante l’inaugurazione della campagna di Donald Trump. Un episodio che non è né una provocazione né una leggerezza, ma un’affermazione. Musk sa esattamente cosa sta facendo e come lui lo sa la classe che rappresenta: quella degli ultraricchi, la classe dominante per eccellenza, che da sempre comprende il potere della propria coscienza di classe e lo esercita con una coerenza spietata. 

Nel mondo della grande finanza, della Silicon Valley e del capitalismo turbo alimentato, non c’è spazio per il caso. Ogni gesto è intenzionale, ogni dichiarazione è parte di un disegno più ampio. Quando Musk alza il braccio in un gesto che richiama il fascismo storico, sta comunicando qualcosa a un pubblico preciso: ai conservatori reazionari, ai suprematisti bianchi, a quella borghesia che nel fascismo vede un’arma perfettamente funzionale alla conservazione del proprio dominio. La destra economica e la destra ideologica non sono due entità separate: sono il volto di uno stesso meccanismo, in cui il capitale si fonde con la violenza politica per garantire la stabilità di un ordine sociale basato sullo sfruttamento. 

La destra sta avanzando ovunque con una linearità impressionante, con obiettivi chiari, risorse infinite e una strategia che non si perde nei moralismi, nelle ambiguità e nelle esitazioni della sinistra istituzionale. Il continuo fallimento della sinistra, che si perde in dibattiti sulla propria identità e individualismi, la destra si organizza e agisce. Quando la classe dei super-ricchi individua una minaccia al proprio dominio – che si tratti di sindacati, movimenti per i diritti civili, proteste ambientali – la neutralizza con la repressione o la cooptazione. Musk non è un’anomalia: è il prodotto più perfetto di questo sistema. 

Ma non c’è nulla di nuovo. Questo linguaggio, questa estetica e questa strategia sono in atto da anni, normalizzati a tal punto da scivolare sotto i nostri occhi senza destare allarme. La destra avanza con metodo, insinuandosi nella cultura, nella politica, nell’economia, fino a rendere accettabile ciò che un tempo era impensabile. E noi? Dormiamo. Ci indigniamo solo quando il gesto diventa plateale, quando un braccio si alza in diretta. Ma è proprio questo il segno della loro vittoria. L’allarmismo davanti al simbolismo è lecito ma anche preoccupante. Il saluto romano di Musk e la risposta immediata del web che richiama al fascismo è del tutto comprensibile, tuttavia questa nostra rabbia è limitata dalla notizia sconcertante che prende il tempo che trova. Il simbolismo, da sempre, è un elemento fondamentale per il mantenimento del regime e del suo status quo, ma soprattutto è un ottimo strumento per distrarre la massa che, preoccupata di riconoscere o meno i simboli visivi, non trova spazio e tempo per interrogarsi realmente sulla classe sociale in cui vive (Psychologie des Foules, 1895 Le Bon) 

Tratto da https://www.psicolinea.it 

Il vero pericolo oggi non è l’ennesimo imprenditore miliardario che gioca con simboli fascisti per galvanizzare la sua base. Il pericolo è il sistema che permette a questi uomini di avere un’influenza smisurata sul nostro presente e sul nostro futuro. 

Eppure, di fronte a questo spettacolo, una parte della società continua a vedere la storia come un processo ciclico. Questa lettura è non solo miope, ma profondamente pericolosa. Vedere la storia come un eterno ritorno ci condanna all’accettazione passiva, ci impedisce di riconoscere che il potere, quando si organizza, non si limita a ripetere il passato ma lo reinventa, lo adatta, lo aggiorna per essere più efficace. Il fascismo non ritorna: avanza, si evolve, si adegua ai nuovi strumenti e alle nuove tecnologie, e trova sempre nuovi volti per legittimarsi. 

Uno degli elementi principali del controllo sociale da parte dei regimi (ma anche di uno stato democratico) è la strategia della distrazione di massa. In qualunque Stato, democratico o totalitario che sia, chi governa deve fare affidamento al consenso e deve assicurarsi che i governati, la massa, non comprendano che in realtà sono loro ad avere il potere (Noam Chomsky). Per poter quindi manipolare le persone, l’arma più potente e semplice da utilizzare è la distrazione. Spostando l’attenzione su notizie meno importanti o su attività di puro intrattenimento, le persone si ritrovano a perdere man mano la loro coscienza politica fino ad arrivare ad un’egemonia di pensiero superficiale facilmente controllabile e governabile. 

La distrazione di massa è il perfetto strumento che i regimi totalitari utilizzano per normalizzare la propria illegittimità e annullare totalmente la coscienza politica individuale e quindi collettiva. Siamo tutti quanti distratti dalla superficialità e dal puro intrattenimento del capitalismo, senza trovare tempo per interrogarsi sulla vita politica e su come queste dinamiche ricadano su di noi, la massa. L’esempio più assoluto è chiaramente il social media che, guarda caso, i miliardari in prima fila ad applaudire i discorsi di Trump erano proprio loro: Zuckerberg, Bezos, Musk, Cook, Pichai, le Big Tech che con i loro algoritmi decidono per noi. 

Da una parte la passività, dall’altra l’arresa. Se da una parte la massa rimane immobile a guardare, a volte senza neanche trovare preoccupanti certi passaggi, dall’altra parte è molto consapevole del periodo storico-economico e politico in cui vive, eppure risulta del tutto arresa a questa situazione. L’arresa al regime è l’esempio più assoluto di de-responsabilizzazione personale e collettiva che porta la democrazia nell’oblio e il trionfo del totalitarismo e di coloro che ci vogliono senza ideali, senza valori, senza speranza. 

Che cosa serve per svegliarci? Che cosa serve per fermare questa decadenza? Questo è un tema difficile da sviscerare. Nel frattempo, però, possiamo dire finalmente — finalmente — che la democrazia e la politica di sinistra che l’ha sostenuta senza criticarne più di tanto i limiti, senza mai metterne in discussione le contraddizioni, stanno crollando. Non perché obsolete in sé, ma perché parte di un sistema più ampio, quello occidentale, che si è nutrito dell’illusione di essere eterno, impermeabile al cambiamento, immune al logoramento. Un sistema che, anziché evolversi, ha preferito ripiegarsi su se stesso, reiterando gli stessi errori, gli stessi compromessi al ribasso, la stessa incapacità di adattarsi alla realtà in trasformazione. Oggi, questo sistema si sgretola sotto il peso delle sue stesse promesse non mantenute. E se la sinistra vuole sopravvivere, se la democrazia vuole rinascere, dovranno imparare a fare ciò che per troppo tempo hanno evitato: guardarsi allo specchio e riconoscere i propri fallimenti.. Non per scelta, ma perché costrette. La loro morale, la loro etica, la loro diplomazia: quanto può durare un modello che nasce difettoso? 

La lotta non può più essere gentile, pacata, rassicurante. Deve essere più arrogante della diplomazia, più strafottente del dialogo, più feroce della calma. Deve essere prepotente, deve spaventare. Non può più essere individuale, deve essere collettiva e condivisa. 

Autori

Naomi Kelechi Di Meo, nata a Brescia, con origini nigeriane, etiopi, argentine e italiane, è laureata in Media and Information presso l’Università di Amsterdam e in Arti del Racconto presso la IULM. Si occupa principalmente di temi politici legati a discriminazioni etniche, di genere e di classe, nonché alle migrazioni. È editor di oltreoceano.eu, dove cura contenuti sulla cultura e storia afroamericana. Adotta un approccio post-coloniale e anti-imperialista, promuovendo una visione del mondo che si discosta dalle strutture occidentali e che mira a restituire una conoscenza reale, priva di stereotipi.

Parlo tanto e quando capita scrivo pure. Laureata in comunicazione e media, master in produzione televisiva e cinematografica. Guardare film e serie tv è la cosa che mi riesce meglio, amo Kubrick e sono simpatica.

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