Il nostro credo oggi si chiama post-verità

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La post-verità, secondo l’enciclopedia Treccani, è un’«argomentazione, caratterizzata da un forte appello all’emotività, che basandosi su credenze diffuse e non su fatti verificati tende a essere accettata come veritiera, influenzando l’opinione pubblica».

Un fatto sicuramente non nuovo, in quanto la propaganda ha sempre svolto una funzione vitale in ambito politico. Tanto per chi governa, quanto per chi guida l’opposizione. Eppure, dal 2016, l’espressione post-truth ha avuto una straordinaria risonanza a causa di due eventi: la vittoria al referendum inglese della Brexit e la vittoria alle elezioni presidenziali USA del 2016 da parte di Donald Trump.

Si tratta – come è ampiamente noto – di un personaggio che ha sempre fatto scalpore, e che oggi ritorna prepotentemente a far notizia: il giorno in cui il Parlamento si doveva riunire per certificare i voti delle elezioni, e quindi ufficializzare il cambio della guardia, è diventato teatro di vergognosi scontri. Scontri innescati dall’adulazione di una verità soggettiva, proposta da chi, invece, dovrebbe difendere strenuamente le istituzioni repubblicane e non tentare, indirettamente, di esautorarle per mettere al centro del discorso politico il culto della propria personalità.

Antefatti

Una marcia, un comizio, una campagna propagandistica – ricolma di falsità – attivata già dallo scorso 3 novembre per provare a salvare l’America. Ed è quello che urlavano i suoi sostenitori: Stop the steal! Fermiamo il furto. Il furto di cosa?

Ritorniamo momentaneamente a novembre. La notte del 6, Trump, vedendo una sconfitta imminente, pronuncia un discorso che la CNN ha definito «il più falso della sua presidenza», nel quale si autoproclamava vincitore delle elezioni. Tre canali televisivi americani, ABS, CBS e NBC, decisero di interrompere la trasmissione, mentre CNN e Fox News la continuarono, tenendo però in sovrimpressione la scritta «SENZA PROVE, TRUMP SOSTIENE DI ESSERE VITTIMA DI UNA FRODE». I brogli, a suo avviso, c’erano stati nei voti via posta. Senza considerare che, nel 2016, alla sua vittoria, un quarto dei voti fu espresso proprio per posta, e che questo tipo di votazione negli Stati Uniti va avanti da decenni.

Altro fatto importante, necessario per comprendere i fatti del 6 gennaio, riguarda Kylie Jane Kremer, un’attivista politica, ultra conservatrice, che nel novembre 2020 aveva aperto il gruppo Facebook «Stop the Steal», chiuso per l’eccessiva circolazione di fake news. Ovviamente la censura non ha fermato la loro azione: questo gruppo, che riuniva tutti quelli che credono fermamente nella teoria del complotto, si è radunato a Capitol Hill e ha iniziato gli scontri, cogliendo una polizia colpevolmente impreparata a respingerli.

La scritta in sovrimpressione della CNN durante il discorso di Trump

L’invasione del Congresso

Si può dunque sostenere che la Capitol Police avrebbe dovuto rispondere con più efficacia agli attacchi dei provocatori. Le avvisaglie c’erano, eppure i sostenitori di Trump, superiori numericamente, hanno sfondato le barriere oppure hanno lasciato che gli agenti cedessero loro il passo. Circola in queste ore, poi, il video di un agente che si scatta un selfie con uno degli aggressori entrati nell’edificio.

A questi dati poi se ne aggiunge un altro, ancor più drammatico: riguarda la morte di una donna, uccisa da un colpo di pistola sparato da un poliziotto nel pieno dei disordini. La seduta dunque è stata sospesa, dal momento che invece di essere il tradizionale atto formale, stava diventando qualcosa di molto più grave. 

Biden si è esposto, pregando Trump di intervenire pubblicamente per far rispettare ai suoi sostenitori la democrazia. L’intervento c’è stato, qualche ora dopo. Ma si è trattato di un commento alla sua maniera: «Lo so che siete feriti, ci hanno rubato le elezioni. Un’elezione che abbiamo vinto a valanga e lo sanno tutti. Ma dovete andare a casa ora».

L’assalto al Congresso

Cosa rappresentano i fatti di Capitol Hill?

La seduta, ripresa in piena notte, ha certificato la vittoria di Joe Biden come presidente e di Kamala Harris come vicepresidente. Inutili dunque le pressioni di Trump su Pence. Al di là del fatto meramente politico, però, cosa rappresentano le immagini che tutti stiamo vedendo in queste ore?

Gli elementi che abbiamo visto fino ad ora non ci portano a parlare di golpe, in quanto chi protestava non aveva come obiettivo di conquistare il potere e, soprattutto, non c’è stato un coinvolgimento diretto delle forze armate.

Colpo di stato o meno, però, quanto stiamo vedendo in queste ore è un vergognoso attacco alle istituzioni democratiche. È assolutamente legittimo sostenere con vigore il leader d’opposizione, ciò che non è legittimo è, invece, inventare una propria verità senza avere un minimo di prove tangibili in mano ed attaccare – quindi, senza motivo – i simboli del proprio paese.

È l’epoca della post-verità, quella che alimenta un’inesauribile teoria del complotto, e che, quando non conduce ad un’insensata conflittualità come quella vista nei giorni scorsi in America, porta ad un risultato ancor più avvilente: l’assoluto disinteressamento di massa.

Autore

Francesco, laureato in Lettere, attualmente studio scienze dell'informazione, della comunicazione e dell'editoria. Approfitto di questo spazio per parlare di politica e di dinamiche sociali. Qual è la cosa più difficile da fare quando si collabora con un magazine? Scrivere la bio.

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